Gli scrittori della porta accanto

Biglietto di terza classe, di Silvia Pattarini: incipit

Biglietto di terza classe, di Silvia Pattarini: incipit

Incipit #126 Biglietto di terza classe di Silvia Pattarini (PubMe – Collana Gli Scrittori della Porta Accanto).



Biglietto di terza classe

di Silvia Pattarini
PubMe
Collana Gli Scrittori della Porta Accanto

Romanzo storico
ISBN
Ebook 2,99€
Cartaceo 18,00€

Arrivò un’altra lettera, a lei toccò l’ingrato compito di leggerla. A fare la differenza erano le notizie che conteneva. Riportarne di buone le risultava facile, ma quando non era così, si sentiva in colpa verso i famigliari.
Aveva imparato a modificare qualche parola di sua iniziativa, per edulcorare il tutto. La frase “ho perso il lavoro” si trasformava in un più accettabile “sto cercando una nuova occupazione”.
Le era capitato di mentire senza pudore sulla sorte di qualcuno. Non era riuscita a riportare a una madre che il figlio era morto sul lavoro. Si era limitata a riferire che il giovane era rimasto vittima di un grave incidente e che al momento non era in grado di inviare denaro. Il tempo avrebbe fatto il resto, e la povera Pireina avrebbe imparato ad aspettarsi il peggio.
Quella volta, però, in preda ai rimorsi di coscienza, era corsa al confessionale. Il reverendo l’aveva rimproverata, poi assolta con una settimana di rosari da recitare la sera.
Il prete non capiva. Come poteva una ragazza di diciassette anni assumersi una responsabilità così gravosa, riportare a una madre della morte del figlio? Spettava alle autorità, non a lei.
D’altro canto Lina era l’unica ragazza della zona a saper leggere e scrivere. Per buona sorte era una persona riservata, non andava a spifferare in giro i fatti altrui.
Ogni volta che giungevano lettere dalla lontana Merica, tutti correvano da lei, impazienti di sapere.
Riconoscenti le portavano piccoli doni: chi delle uova quando era la stagione, chi della frutta o della verdura, chi un pane che in certi giorni di carestia non era cosa da poco, o chi, non avendo nulla per contraccambiare il favore, si limitava a ringraziarla: «Pradess at ringràsi».
Qualcuno le chiedeva di rispondere, quindi le capitava di spendere buona parte di tempo prezioso, a scapito di mansioni ben più urgenti. Non se la sentiva di rifiutare un favore a un vicino di casa, era fatta così. Le sue faccende avrebbero aspettato.
Quelle persone erano analfabete, lo sapeva bene. Lo scrivano più vicino distava sette chilometri a piedi; un vero ficcanaso, voleva sempre sapere il perché e il percome.
Lina, invece, era discreta. E confidava nel proverbio “una mano lava l’altra”. Sapeva che quel favore sarebbe stato restituito.
Nel complesso era affascinata dal Nuovo Continente, ne aveva lette e sentite di tutti i colori. Qualcuno dotato di fervida fantasia si divertiva a descrivere Nuova York con “case che arrivano a toccare il cielo, non si salgono le scale a piedi ma si entra in una porta magica che trasporta fino alla cima del palazzo”.
Altri parlavano di “acqua che esce dai rubinetti dentro le case”, e di luce in casa. Raccontavano di cibo e lavoro per tutti. Insomma, una vera pacchia!

Il genovese stava diffondendo in giro un vero e proprio mito della Merica.

Erano almeno un paio di mesi che bazzicava nella zona. Lo conoscevano tutti, ma nessuno sapeva il suo vero nome, così lo apostrofavano “Al genuès”. Ogni giorno cambiava paese, si spostava lungo la Valtrebbia. Si posizionava in una zona di forte passaggio nei dintorni della piazza principale.
Con fare teatrale, esponeva alle ingenue folle ciò che di allettante e positivo avrebbero incontrato gli emigranti nella nuova patria. Era un abile oratore, parlava per ore e ore. Le frasi che uscivano sotto quei baffoni neri erano di gran lunga più attraenti delle parole che usava il reverendo Franco nelle sue prediche.
Nugoli di giovani lo attorniavano e ascoltavano tutt’orecchi, meravigliati.
«Alla Merica le strade sono lastricate d’oro, non ci credete? Chiedetelo alle zitelle che hanno trovato marito, anche le zoppe e le orbe si sono maritate! E i loro figli frequentano le scuole. Di lavoro ce n’è. Chiedetelo a chi è già partito, vi confermerà che ci sono ponti enormi, sospesi per aria con cavi d’acciaio.»
I più anziani non si fidavano di lui e lo guardavano con sospetto. I giovani lo ammiravano.
Il suo era un compito facile: la maggior parte di quelle genti viveva tra stenti e fatiche, quindi non aveva nulla da perdere, piuttosto qualcosa da guadagnare una volta giunti nel nuovo mondo. Raggirare quelle persone era un gioco da ragazzi. Non era preda dei rimorsi, lo pagavano per questo.
Sapeva bene che grazie alla sua opera di convincimento, e non solo la sua a dirla tutta, in pochi decenni migliaia di giovani attraversarono l’oceano, incrementando i profitti delle compagnie di navigazione. La sera, quando si coricava nella branda alla locanda, pensava che la sua fosse un’occupazione gratificante. Non proprio pulita, ma nei limiti della legalità.
Centinaia di agenti come lui erano sparpagliati in tutta Italia, col compito di convincere i giovani a partire per la Merica.

La trama

Biglietto di terza classe, di Silvia Pattarini

Lina ha poco più di vent’anni. Per sfuggire alla miseria lascia la sua Valtrebbia, si imbarca sulla Prinzess Irene per New York, inseguendo il sogno di una vita migliore.
Il viaggio in mare aperto non è confortevole ma pieno di insidie e di pericoli.
Il 25 febbraio 1904 sbarca a Ellis Island – L’isola delle lacrime. Dopo umilianti controlli l’attende la estenuante ricerca di un lavoro, la non facile esistenza da cittadina americana. Non sa ancora cosa il destino ha in serbo per lei e per chi le sarà a fianco: affronta le contraddizioni di un grande paese, la lotta per i diritti della donna, lo sfruttamento del lavoro minorile. Troverà l’amore della sua vita, ma dovrà pagarlo a caro prezzo.

Silvia Pattarini



★★★★★

Il buon giorno si vede dal mattino, dicono, e un buon incipit e una copertina accattivante possono essere il perfetto bigliettino da visita di un libro.
Secondo voi, quante stelline si merita il biglietto da visita di questo libro?

Tutti i nostri incipit:




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3 commenti
  1. Che bella questa nonna, Silvia non può che essere contenta di seguirla e assecondarla nella ricerca del biglietto del treno, testimone di un viaggio, forse l’unico della sua vita. Una volta diventare vecchi era sinonimo di diventare saggi, si viaggiava magari poco, ma quell’unico viaggio in treno rimaneva vivo , fortemente vissuto. Si lavorava sui campi e si imparava, la vita portava a questo risultato. Ho difficoltà a pensare che sia ancora vero, noi diventeremo facilmente dei vecchi rincitrulliti da lavori ripetitivi e poco fantasiosi, e da una vita di televisione che, beati loro, i nostri nonni non guardavano. Che belli i nonni di una volta, anch’io ricordo il mio, era un pescatore, analfabeta, dolce e sensibile, si commuoveva a guardare il tramonto, e da quel tramonto doveva capire se il giorno dopo avrebbe potuto uscire in mare oppure no. Non c’era “meteo.it”, e al contrario di loro, lui le previsioni le indovinava. Si, davvero bella questa nonna. Angelo Gavagnin autore di “non sono nato e mi sento molto bene”

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  2. Grazie Angelo, devo fare chiarezza su un punto e che dal testo in questione non si capisce: il biglietto era quello del "bastimento" non del treno, il biglietto di terza classe del piroscafo "Europa" che rientrava in Italia dagli Stati Uniti dopo un lungo viaggio di 15 giorni per mare. E quel piroscafo riportava "a casa" mia nonna, da NY città che nel lontano 1913 le diede i natali.

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    1. Leggendo una sola pagina mi sono fatto un mio romanzo, comunque "ancora più bella questa nonna", a parte gli scherzi, il biglietto, mi ha ricordato il mio buon nonno che forse avrà fatto un solo viaggio in tutta la sua vita. saluti

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