Gli scrittori della porta accanto

Il sogno dell'isola, di Tamara Marcelli

Il sogno dell'isola, di Tamara Marcelli - Incipit, Gli scrittori della porta accanto

Incipit #142 | Questa è la storia di due stelle.

Il sogno dell'isola, di Tamara Marcelli - Gli scrittori della porta accanto, Incipit

Il sogno dell'isola

di Tamara Marcelli
Narrativa
StreetLib
Gli Scrittori della Porta Accanto

ebook 0,99€
cartaceo 9,99€



“Con l'anima dell'uomo, succede come con l'acqua:
viene dal cielo,
e al cielo risale, per tornare alla terra,
in eterna alternanza.”
Goethe

Vi è mai capitato di vedere un'anima salire in Cielo, così, davanti ai vostri occhi? Impossibile?
No, a me è successo. E quel che è successo dopo è ancora più straordinario.

2 maggio, mattina.
C'è un tiepido sole nel cortile, una mattina perfetta per fare una passeggiata. È una mattina stanca, insolita. Potrei fare molte cose, ma sono inquieta, continuo ad andare avanti e indietro per la casa, come senza meta. Guardo dall'enorme vetrata, guardo il giardino. Il gelsomino, seppur piantato da poco, è in fiore. Piccoli e profumati fiori bianchi, sembrano dondolare come minuscole campanelline silenziose. Una leggera brezza scuote le rose gialle e, più in là, la camelia, un po' come fossero in balìa di un'onda.
Il giardino è vuoto.
Non sono ancora tornati.

“… Ti ricordi i giorni chiari dell'estate
quando parlavamo fra le passeggiate
stammi più vicino ora che ho paura
perché in questa fretta tutto si consuma...”
Due destini - Tiromancino, 2000

Io e Laurence ci conosciamo da molti anni. Non ricordo bene neanche come è iniziata, so solo che è accaduto e basta.
Ci siamo conosciuti per lavoro. Delle strane e quantomeno singolari coincidenze ci hanno portato a lavorare insieme per un periodo delle nostre vite. Un gran bel periodo, indimenticabile. Grande affinità, grande stima e da subito il germe di qualcosa di più grande. Ma che avrei compreso solo molto tempo dopo.
Laurence era un tipo particolare, la mia prima impressione fu quella di un uomo misterioso e affascinante. Quelli da cui paradossalmente sarebbe bene stare alla larga. Molto impegnativo, un uomo di poche parole e profondi sguardi. Una grande forza interiore, due occhi scuri e limpidi, una persona vera, con pregi e debolezze. Di lui ho sempre apprezzato il suo modo di affrontare la vita di petto e di non perdersi mai d’animo. La sua forza era quella determinatezza che sapeva di roccia di mare. Immobile, sicura, anche se sferzata dalle onde in tempesta.
“C’è sempre una soluzione a tutto” mi ripeteva spesso.
E poi quella sua capacità di farmi sentire al centro dell’universo anche solo con un sorriso, con uno sguardo. Ma come faceva? Non me lo sono mai spiegata.
Difficile sopportarmi quando mi ritrovavo catapultata nei miei tunnel di tristezza, come pure quando prendevo troppa quota. Lui sapeva come riportarmi ad un apprezzabile e sostenibile equilibrio.
Mi ha conquistata con i suoi sguardi, le serate in spiaggia a bere ottimo vino rosso nei calici di cristallo e a parlare, parlare, parlare. Con la sabbia ancora calda tra i piedi. Senza malizia.
Una notte mi ha guardata correre al buio sul bagnasciuga, sotto una luna stanca, mentre piangevo, nella vana speranza di riuscire a liberarmi dai miei pesantissimi fardelli mentali. Un altro uomo sarebbe scappato, senza pensarci molto. Si sarebbe chiesto se fossi evasa da qualche ospedale psichiatrico, non mi avrebbe sicuramente dato altra chance.
Mi sono chiesta spesso perché non trovò una di quelle fantastiche scuse che trovano solitamente gli uomini per mollare le donne. Invece, avevo l’impressione che, più ero tragicamente e spudoratamente me stessa, più quest’uomo straordinario ed enigmatico dimostrava di volermi stare accanto. Non sapevo se esserne più felice o spaventata.
Mi ero domandata tante volte se esistesse al mondo una persona che volesse condividere pienamente la sua esistenza con la mia. Soprattutto se potesse esistere un uomo in grado di bilanciare l’altra parte di me, quella più instabile, quella che tenevo gelosamente nascosta. Difficile darsi una risposta. Non ci ero mai riuscita, o meglio, non potevo crederlo possibile.

Poi, all’improvviso, appare lui nella mia vita scombussolata.

Per Laurence fui un fulmine a ciel sereno, una nota diversa ed inaspettata su uno spartito ormai noto. Aveva avuto una vita lineare fino ad allora, una di quelle vite che non hanno sbavature strane, che rimangono rigidamente ancorate a dei prototipi ben consolidati. Innamorato di se stesso, eppure sempre in lotta aperta con la vita e le sue occasioni mancate, aveva deciso di trovare il suo equilibrio convincendosi che il meglio lo avesse già avuto. Una vita coerente nella sua singolarità, con qualche deviazione amorosa così, tanto per sentirsi vivo. Il cliché perfetto dell’uomo bastardo.
Amava la compagnia, seppur breve ed intensa, delle donne, quelle belle, ma in cuor suo le odiava tutte.
Laurence era sempre alla ricerca di “un’altra sé”. Di quella parte mancante che gli facesse credere nella vita. Fino ad allora aveva vinto numerose battaglie, lotte che lo avevano portato a non voler più credere nella semplicità e nella genuinità di una storia d’amore. No, Laurence non credeva all’amore, non lo riteneva un sentimento possibile. Almeno in questo mondo.
Eppure nessuno meglio di lui conosceva l’universo femminile. Era capace di scarnificarti ed arrivare alla tua anima in pochi secondi, in un battito di ciglia.
Sapeva dove colpire se voleva ferirti e sapeva perfettamente dove mirare se voleva centrare il cuore. Cosa dire e come dirlo.
Non era generoso di complimenti, piuttosto aveva un modo tutto suo per farti capire che apprezzava o, al contrario, non sopportava qualcosa di te.
Stargli di fronte non era facile. A volte sembrava volesse farti vomitare fuori tutte le insicurezze che avevi nascoste. E ci riusciva. Stare di fronte a lui significava essere senza paraventi. Se stavi nascondendo qualcosa, per le ragioni più disparate, lecite o meno, lui sapeva tirartele fuori. E ti lasciava così, meravigliata e stizzita al contempo.
Come faceva quest’uomo a leggere così bene tra le righe? Come poteva essere capace di intuire, anche solo da uno sguardo, le intenzioni o le paure di chi gli stava davanti? Era davvero un profondo conoscitore dell’animo umano, dei funzionamenti più contorti della nostra psiche, quelli atti ad assicurarci l’immunità nei confronti del nostro crudele inconscio? O c’era dell’altro? Qualcosa che ancora non riuscivo ad afferrare nella sua interezza. Qualcosa che mi attirava a lui come ad una calamita.
Cominciai a convincermi che c’era dell’altro. Che Laurence non era tutto lì, non era solo quello che mostrava. Quella parte di sé era solo un vestito, un abito bellissimo ma difficile da indossare, come quelli che usano i frati. Un vestito con una storia, con un significato implicito, non un banale abito alla moda.
No, non c’era niente di usuale e banale in lui. Proprio niente.
Ero confusa.

Mi sembrava di avere davanti un bivio: conoscere o non conoscere quest’uomo. 

Per me cominciò ad equivalere al voler andare oltre l’apparenza. Oltre la regolarità della vita quotidiana. Oltre la banalità di un rapporto d’amore.
Sentivo che c’era altro in lui, qualcosa che poteva portarmi altrove. In un posto diverso dove potevo vivere me stessa.
Ero attratta inesorabilmente dal suo mondo interiore, anche se lo sentivo pressato, contratto, pronto ad esplodere.
Una sera, così, senza preavviso, sola nella mia stanza d’albergo cominciai a pensare a lui. Una camera bianca, con delicati mobili color smeraldo, una piccola finestra sulla piscina blu e la profumata macchia mediterranea intorno. Era uno di quei momenti in cui, per poter riflettere, devi guardarti necessariamente e pericolosamente dentro. E rischi di cadere e farti male.
Il giorno dopo, arrivata con molto anticipo al lavoro, come in preda ad una strana adrenalina, mi ritrovai ad annusare la sua camicia appoggiata all’anta di un armadietto nel triste e freddo spogliatoio dell’ufficio. Cominciai ad immaginare Laurence davanti a me, chiudendo gli occhi. Mi ritrovai a sospirare e mi sentii idiota. Una perfetta idiota. Forse anche patetica. Risi guardandomi intorno. Pareti grigie e scrostate, alcuni armadietti in legno laccato, due sedie malconce e uno specchio che rimandava una scena surreale. Potevo solo ridere.
Così, giorno dopo giorno, camicia dopo camicia, dopo incursioni ricorrenti nei miei sogni ad occhi aperti, compresi che Laurence non sarebbe potuto essere solo un frammento della mia vita, ma qualcosa di fondamentale.
Pur conoscendolo da poco tempo, il legame che ci univa sembrava venisse da lontano, da anni luce. Era qualcosa di grande che mi faceva paura e mi stordiva al contempo.
Non riuscivo a spiegarmi il senso di sicurezza che quell’uomo mi infondeva, anche solo se pronunciavo il suo nome.
In quel periodo, difficile e decisamente critico per me, non sopportavo alcun contatto fisico ma nello stesso tempo mi rendevo conto di quanto mi piacessero già le sue mani.
Una svolta. Eppure era difficile da accettare.
Io ero una bomba ad orologeria, sempre pronta ad esplodere, in perenne lotta contro me stessa. Sì, avrei potuto ferire anche lui.
“Sono pericolosa, lasciami perdere.”
Glielo ripetevo spesso e lui mi guardava compiaciuto, silenzioso, come se quella mia affermazione gli confermasse qualcosa che sapeva già di me. Come se gli rendesse il cammino più chiaro. Più io ero confusa e più lui dipanava le sue incertezze. Una parabola inversamente proporzionale.
Per mesi l'ho rifiutato, l'ho respinto.
“Lascia stare, tu non dovresti essere qui con me, ma a casa tua.”
Quante volte lo avevo ripetuto. Tante, forse troppe. E lui nel sentire quelle parole reagiva male, mi diceva che non potevo capire, non ancora. Ci aveva provato, ma nella sua vita mancava qualcosa di fondamentale, qualcosa che aveva sempre cercato altrove. Lo ritrovai a parlare di amore e di dolcezza.
Ricordo che i primi giorni in cui lavoravamo insieme, ore ed ore uno affianco all’altra, uno nelle mani dell’altra, non facevamo altro che discutere.
“Cos’è l’amore? Cerca di farmelo capire. Cosa si prova? Non credo esista…”
Questo mi diceva, serio e, a tratti, desolato.
Quale effetto potevano avere nella mia anima parole simili?
Io che per amore, in un passato non troppo lontano, avevo pensato di morire.

Quarta di copertina
"Il sogno dell'isola" di Tamara Marcelli, Gli Scrittori della porta accanto per StreetLib, 2017.

La mia vita è tutta qua. La mia follia sempre accanto per non soccombere al tempo, per non ingrigire, risucchiata dalla desolazione del mondo. Spesso serve bloccarsi, respirare e guardare indietro, per poter guardare avanti. Per guardare ad un sogno. E stare tra le stelle
Questo romanzo non è semplicemente il racconto di una storia d'amore, in tutte le sue accezioni, ma piuttosto quello di una vita che si interseca con molte altre. Un viaggio nel tempo che rappresenta un viaggio dentro se stessa. Fino alla consapevolezza dei propri incubi più segreti.
È la storia di Tara, la protagonista instabile e romantica, perennemente inquieta, innamorata della Vita, dell'amore e dell'arte. Il suo incontro con un Poeta, con un Musicista e con Laurence, l'uomo che diventerà il suo alter ego e la salverà dall'autodistruzione.
Una vita vissuta intensamente, tra luce e ombra. È la storia di un sogno che, una volta raggiunto, chiude il cerchio e rivive, trasfigurandosi, in nuovi occhi verdi. Nei sogni e nella vita, in un continuo scambio di dimensione e di senso, i segni diventano indizi, vanno colti e compresi.
Ciò che sembra squilibrio e irrazionalità, è emozione e istinto nel momento in cui incontra il mondo reale, le sue maschere, quelle che spesso si è costretti ad indossare per apparire "in linea" e sopravvivere. Ma l’anima va altrove.

★★★★★

Il buon giorno si vede dal mattino, dicono, e un buon incipit e una copertina accattivante possono essere il perfetto bigliettino da visita di un libro.
Secondo voi, quante stelline si merita il biglietto da visita di questo libro?

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