Gli scrittori della porta accanto

Lo stupro, la violenza nell'indifferenza

Lo stupro, la violenza nell'indifferenza

Di Tamara Marcelli. Storie di donne comuni, studentesse, lavoratrici, casalinghe, vittime di una violenza che non si dimentica e che spesso non ha nemmeno giustizia. Sono poche le donne che riescono ad affrontare quella che viene vissuta come una seconda violenza, quella della burocrazia.

Non è bastato trovare il coraggio, ancora adolescente, di denunciare il proprio stupratore. 
Non è bastato trovare il coraggio di denunciare le continue minacce che lo stesso individuo, per anni, continuava a farle attraverso messaggi sms, telefonate. Non è bastato rivolgersi alle forze dell'ordine per segnalare che lo stesso uomo spesso la seguiva fin sotto casa, o al lavoro; non è bastato cercare di dimenticare la profonda sofferenza che quell'uomo le aveva procurato e continuava, con la sua presenza ossessiva, a ricordarle. Non è bastato voler ricominciare a vivere cercando di lasciarsi alle spalle la brutta esperienza, lavorando, conducendo una vita il più possibile normale. Non è bastato. In una fredda giornata di novembre, lui l'ha raggiunta nel parcheggio del lavoro, l'ha brutalmente accoltellata e poi l'ha investita impietosamente, lasciando quell'esile corpo sull'asfalto.
All'arresto è apparso sorridente, spavaldo, quasi compiaciuto della risonanza mediatica del suo atto efferato: felice della sua nuova notorietà. Una personalità profondamente narcisistica, tanto irrimediabilmente immatura quanto violenta.

Rientrava a casa dopo una giornata di studio. Era tranquilla, sull'autobus che taglia in due la città di Bologna.

Una città all'avanguardia, sempre al passo con i tempi, fortemente cosmopolita, "tollerante", integrata, multietnica. Rientrava a casa. È stata aggredita subito dopo essere scesa dall'autobus, lungo una strada trafficata, tra gli sguardi indifferenti della gente. Lui l'ha trascinata in un angolo del parco condominiale. Non ha avuto pietà delle sue grida soffocate, dei suoi lamenti, delle sue lacrime disperate. Il tutto si è svolto nel silenzio caotico di un angolo di parco, a pochi metri dalla strada, dalla fermata dell'autobus, dalle palazzine borghesi. Solo il rumore della pioggia e del traffico. Niente più. Non una parola. Ha trovato il coraggio di denunciarlo. Lo ha riconosciuto tra tante foto segnaletiche. Chiede Giustizia. Il suo nome è noto, ma è sparito, si è reso irreperibile, forse, anzi sicuramente, aiutato da qualcuno nella sua latitanza. Ha già vari precedenti penali, anche per reati violenti. È libero.

Camminava all'alba sul viale verso la casa di riposo in cui lavorava. Camminava nel freddo gelido di quella mattina. Ignara di quel Male che la seguiva. 

Non si è fidata di quello sconosciuto che le si era affiancato con il suo fuoristrada per avvertirla che qualcuno la stava seguendo. Voleva offrirle un passaggio. Il suo aiuto. Non si è fidata, non gli ha creduto.
È stata beffata dalla sua naturale diffidenza. È stata beffata dalla Sorte.
C'era davvero un giovane che la seguiva, quel giovane che era stato notato dall'uomo sul fuoristrada. Esisteva davvero quel Male che aspettava il momento giusto per colpirla.
E quel momento, inesorabile, si è presentato.
L'ha strattonata e, dopo una prima disperata fuga, l'ha raggiunta di nuovo, l'ha scaraventata a terra, tra le auto in sosta, sull'asfalto bagnato.
Nessuno ha visto nulla. Minuti interminabili, infiniti, pesanti. L'odore acre di quell'uomo le resterà sempre appiccicato addosso. Nell'anima. La graffierà ogni istante della sua vita.
Lei ha telefonato ai suoi familiari e, con un filo di voce, ha detto: «Aiutatemi, mi è successa una cosa terribile».

La violenza sessuale è uno dei traumi più atroci ed indelebili che possano capitare ad un essere umano. Ti segna a vita. 

A nulla valgono sedute infinite di analisi, ipnosi, cure farmacologiche: quel dolore è sempre lì, in un angolo dell'anima. Fermo come un macigno, ma sempre pronto a scattare fuori ad ogni seppur lieve sollecitazione. È una sofferenza infinita che ti scava dentro, ti svuota, lascia una voragine e non sa darsi un perché. Una ferita che sanguina sempre. Ci si sente come depredate di qualcosa di profondo, di un parte di sé. E non ci si rassegna, non si riesce a capire perché sia avvenuto, perché proprio a te. Perché non sei riuscita ad opporti. Non si può accettare una violenza simile. Non si può metabolizzarla, è indigesta. Ti avvelena.
Le reazioni alla violenza possono essere molteplici, ma tutte maturano dopo una prima fase di shock in cui vi è incredulità, quasi una forma di ottundimento. Poi i sensi di colpa, rabbia, disperazione, vergogna, paura. Sono solo alcune delle emozioni che pervadono tutto l'essere. Disturbi del sonno, inquietudine, attacchi di panico, incubi, pensieri negativi ricorrenti, difficoltà nei rapporti interpersonali, depressione o crisi d'ansia che possono evolvere in veri e propri disturbi psichici, in paranoia e ossessioni.

Le denunce per abusi sessuali costituiscono un numero esiguo rispetto alla realtà. 

Purtroppo sono poche le donne che riescono ad affrontare quella che viene vissuta come una "seconda violenza", quella della burocrazia, delle domande delle forze dell'ordine, dei controlli medici, delle deposizioni in tribunale, degli sguardi della gente che sa. Non è facile e non si può generalizzare. Non si può credere che tutte le donne reagiscano allo stesso modo, magari auspicabile, di affrontare il tutto con la rabbia necessaria, sfogando così quel dolore, denunciando immediatamente la violenza. Sono numerose le motivazioni che stanno dietro ad una scelta. Figuriamoci una scelta simile. Ed infatti è consistente il cosiddetto "numero oscuro", quel numero che non rientra nelle statistiche dei casi, quel numero che sta ad indicare le violenze subite ma non denunciate.

Molte donne preferiscono il silenzio.

E anche dopo aver scelto questa strada si può rischiare di crollare da un momento all'altro. Si può non avere la forza per sopportare una sofferenza simile, si può smettere di credere che tutti quegli sforzi abbiano un senso. Si può smettere di credere che esista una Giustizia. Deve essere quello che ha pensato la madre di una giovane vittima, uccisa barbaramente dopo una violenza. Deve aver smesso di credere nel senso di Giustizia dei suoi compaesani, della sua famiglia. Deve aver smesso di credere in quella Giustizia che le aveva portato via anche il conforto del marito, agli arresti domiciliari in una regione lontana dalla sua. Nessuno ha potuto lenire il dolore immenso di aver perso la propria figlia in quel modo, e nemmeno di vederla esposta alle pubbliche e crudeli dicerie. Nessuno le ha potuto impedire di vivere quel suo dolore così disperato. Nessuno le ha impedito di porre fine al suo dolore. Nessuno le ha impedito di uccidersi.

Sono queste donne segnate dalla violenza, tutte donne che in città e realtà sociali diverse si sono ritrovate a subire la decisione, l'ossessione, la brutalità di un altro essere umano. 

Sono donne a cui è difficile provare a dire "vedrai che il tempo guarirà ogni ferita". No, non è vero. Non si dimentica.
Provate a pensare anche solo per un attimo ad una sola di queste donne. Provate a pensare a quel dolore acuto, invincibile, nauseante. Tutte queste donne sono donne comuni, studentesse, lavoratrici, casalinghe, sono tutte vittime.
Quelle donne siamo noi. Sono le vostre figlie, le vostre sorelle, le vostre mogli.



Tamara Marcelli


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