Gli scrittori della porta accanto

Disincanto di Natale, un racconto di Elena Genero Santoro

C’era una parola che nell’ultimo anno era rimbalzata senza sosta e senza posa tra le pareti di quella casa bianca e bassa della periferia americana. La parola era “crisi”. 

E la casa bianca e bassa era una delle tante case bianche e basse allineate sulla strada principale di quella piccola “town”.
Maggie, sei anni, riccioli castano chiari, guance paffute e gli occhi azzurri della mamma, non capiva bene. Non capiva, ma intuiva. Della sua breve vita non poteva avere ancora una grande visione d’insieme, eppure c’era stato un tempo in cui le cose erano diverse.
Solo fino all’anno prima, suo padre Frank era sempre fuori casa per lavoro e sua madre, la bionda Kirsten, ex cheerleader sulla quarantina dal fisico ancora asciutto e dalla labbra siliconate, non aveva mai avuto problemi a comprarle qualunque cosa lei volesse. C’era stato un tempo che a Maggie appariva lontano, ma che risaliva solo a qualche mese prima, in cui lei e la mamma spendevano interi pomeriggi in città a fare shopping, magari univano un giro dal parrucchiere, e poi si fermavano da Starbucks a bere cappuccino e mangiare muffin al cioccolato ricoperti di glassa, mentre dalle loro borse di carta colorata faceva capolino un nuovo orsacchiotto di peluche o una nuova bambola. E lei e la mamma, complici, a ridere, a scambiarsi confidenze come due signore, e a gustare dolci delizie, tanto poi Kirsten andava in palestra tutte le mattine mentre lei era a scuola.
Ma poi qualcosa era cambiato. Quei pomeriggi lieti, di pieno appagamento materiale, che a lungo erano stati la norma, non erano più stati organizzati. Di punto in bianco, il nulla. Nessuna uscita in città con la mamma, al limite un giro allo “store” del paese, dove Kirsten le comprava, se andava bene, un pacchetto di caramelle o qualche snack al mou. E se lei sperava di ottenere qualcos’altro, una Barbie, un pupazzetto, la risposta era sempre una: "Per carità, non vedi quanto costa, Maggie? Non ce lo possiamo permettere, c’è la crisi. E papà adesso non lavora."
Maggie non ricordava di preciso quale fosse stata l’ultima volta che lei e la mamma fossero andate a divertirsi insieme, forse era stato quando, subito dopo il Natale, Kirsten le aveva comprato il cappottino rosa con i polsi e il girocollo di pelo bianco che le sue amiche tanto le invidiavano. Quello era stato l’ultimo capo trendy che aveva esibito a scuola. Da allora nessuno l’aveva più invidiata e la sua popolarità era improvvisamente scesa.
In compenso la mamma era spesso nervosa, adesso, mentre il papà, che prima era sempre via, che quando tornava dai suoi viaggi le portava sempre un giocattolo, ora era costantemente seduto sul divano, inerte, intento a riempirsi un bicchiere dopo l’altro e a gonfiare quella sua pancia prominente che, a forza di whisky, diventava sempre più voluminosa.
A volte la sera Maggie sorprendeva i suoi genitori intenti a litigare, a parlare fitto fitto attorno al bancone della cucina, in penombra, mentre la luce del lampione filtrava dalla finestra. Discutevano, ma lei non capiva, di un’ipoteca e della possibilità di vendere la casa, di trasferirsi da qualche altra parte, di affittare una roulotte.
Kirsten dava velatamente dell’incapace al marito per non essere ancora stato in grado di trovare un altro lavoro, Frank per risposta la guardava con disprezzo e le rinfacciava di essere sempre stata una mantenuta e una spendacciona.
Così Maggie li trovava divisi da un tavolo e dal reciproco astio e rimaneva talmente spiazzata da domandare con la sua vocina squillante:
"Perché dobbiamo cambiare casa?"
Quando in realtà la ragione per cui si era alzata dal letto sarebbe stata:
" Posso avere un bicchiere d’acqua?"
E non la convinceva neppure la risposta accondiscendente di sua madre, che nel riaccompagnarla a letto le assicurava:
"Non dobbiamo cambiare casa. Non ancora. Adesso dormi."

Eppure Maggie aveva ancora una speranza, confidava in una possibilità di riscatto: presto sarebbe arrivato il Natale. 

A quel punto sarebbe stata ricolmata di doni, come un tempo, perché ci avrebbe pensato Babbo Natale. Lo sapevano tutti, no?, che Babbo Natale lavorava strenuamente per un anno intero con il solo scopo di ricoprire di doni i bimbi buoni e giudiziosi. E lei era indubbiamente una bimba buona e giudiziosa, ubbidiva alla mamma, riordinava la cameretta e faceva i compiti di buona lena. Perciò Babbo Natale avrebbe fatto giustizia e l’avrebbe premiata, glielo avevano sempre detto che succedeva così e poi Maggie lo vedeva anche nei film e nelle pubblicità. Quel vecchio barbuto con l’aria di essere un vero bonaccione a Natale compiva il miracolo di Natale, appunto, e persino i bimbi poveri e malati per un giorno potevano vedere realizzati i loro desideri. Figuriamoci lei, dunque.
Ancora serbava un vago ricordo del Natale precedente, della carta rossa lucida appallottolata e sparpagliata per tutto il pavimento del salotto dopo l’apertura dei numerosi pacchi. Aveva ancora in mente il grosso abete che troneggiava tra il divano e il camino, ricoperto da luci e da palline colorate. Era un’immagine così rassicurante!
Per scrivere la letterina si fece aiutare da sua cugina Sandy che era più grande e ricontrollò a lungo per essere sicura di non aver scordato nulla. Nel dubbio aggiunse un paio di voci in più, che altrimenti avrebbe evitato, oppure che avrebbe chiesto direttamente alla mamma, ma la mamma ora non poteva più accontentarla.
A fine lettera chiese anche un lavoro per papà, perché era una bambina buona e perché non ne poteva più di vedere Frank triste e depresso a bere whisky sul divano tutti i giorni per tutto il pomeriggio.
Quando mostrò la lista e con essa i suoi sogni di gloria a Kirsten, la povera Maggie, fiera e fiduciosa, non colse che il sorriso tirato di sua madre era più simile a una paresi che a un’espressione di imbarazzata condiscendenza.

"Maggie, c’è la crisi!
Nemmeno Babbo Natale
può permettersi tanti regali!
Babbo Natale
è diventato povero!"

"Quante cose hai chiesto, Maggie! Troppe! La bambola che cammina? La casa dei sogni di Barbie? Non ce le possiamo permettere!"
Era paura quella che attraversava il suo sguardo? Maggie si affrettò a spiegare e a rassicurare la mamma: "No, mamma, non me le dovete regalare tu e papà! Leggi bene! Questa è la lettera per Babbo Natale! Porterà tutto lui, – disse sgranando gli occhioni.
"Babbo Natale non ti può portare tutte queste cose! – commentò la donna.
"Perché no? – obiettò Maggie delusa, con il broncio.
"Perché se tutti i bambini chiedessero così tanti oggetti, la slitta non riuscirebbe nemmeno a decollare! – Kirsten fece una risatina forzata.
"Ma l’anno scorso mi ha portato tanti regali, anche di più!"
"L’anno scorso eri piccola. Babbo Natale porta più regali ai bimbi più piccoli!"
"Sono ancora piccola! Mi dici sempre che sono piccola!"
"È perché quest’anno è più vecchio, - Kirsten cercava di scantonare, mentre in cucina impastava i brownies con le sue mani in un vano tentativo di risparmiare i soldi dei dolci confezionati. – Quindi è più stanco."
"Ma Babbo Natale è magico! – insistette Maggie, che non si capacitava. Non si rassegnava: - E io sono stata buona.
"Maggie, - si spazientì alla fine Kirsten. – C’è la crisi. Nemmeno Babbo Natale può permettersi tanti regali! Babbo Natale è diventato povero! E non può trovare un lavoro per papà. Non è un’agenzia di collocamento!
Poi si quietò, si ammorbidì: "Senti, amore, scegliamo tre di questi regali e vediamo se Babbo Natale riesce a portarti qualcosa. Magari meglio gli oggetti più utili, per esempio i jeans coi ricami rosa. E non la casa della Barbie che è molto pesante. Che ne dici?"
Detto questo tornò ai suoi brownies, alle sue teglie scrostate e alle sue presine bruciacchiate. Aveva i capelli in disordine, non andava dal parrucchiere da mesi ormai e neppure in palestra. Aveva messo su qualche chilo e la sua pelle non era più tonica e tirata come un tempo. Le labbra gonfie di silicone spiccavano solitarie su un viso secco e sciupato. Ma Maggie, che non badava a tali dettagli, si ritirò in camera sua con i lucciconi agli occhi.

Non capiva. E il miracolo di Natale, allora? E i bambini poveri che lui aiutava? Come poteva Babbo Natale risentire della crisi, se era magico?

Natale arrivò e Babbo Natale passò, trovò la casa anche se l’albero era più piccolo dell’anno prima. Era un esemplare spelacchiato, di plastica, non il sontuoso abete appena reciso che ogni anno veniva sostituito.
Maggie trovò i jeans, il vestito di Ken e i trucchi con le perline. Non fu né delusa né sorpresa. Fino alla sera prima Kirsten le aveva ripetuto che Babbo Natale era diventato povero e aveva insistito al punto che la figlia ci aveva creduto. Non solo, ma poiché era una bambina buona, Maggie si era persino intenerita per quel vecchio barbuto caduto in disgrazia che non poteva più soddisfare appieno i desideri dei suoi piccoli amici, né trovare un nuovo impiego per i loro genitori.
Comunque quel giorno suo padre Frank si mostrava meno triste del solito e Kirsten, per cercare di rendere la giornata allegra, dopo pranzo propose: "Perché non andiamo a prenderci un cappuccino e un muffin da Starbucks tutti insieme?"
Maggie si riempì di entusiasmo e corse a indossare il cappottino rosa col pelo bianco che ormai iniziava ad andarle un po’ corto. Sperò che il miracolo di Natale fosse arrivato, consentendole così il ritorno ad una consuetudine lieta.
Fu per strada che avvenne il fattaccio. Maggie, Kirsten e Frank avevano appena girato l’angolo quando s’imbatterono in Samuel, un compagno di scuola della bambina, per mano al suo papà.
"Ciao! Guarda cosa mi ha portato Babbo Natale! – esordì Samuel, grasso, rubizzo e lentigginoso, esibendo con genuina felicità un cellulare di ultima generazione. – E poi mi ha pure regalato la pista delle macchinine telecomandate, il tablet e la bicicletta. A te cos’ha portato? – domandò senza malizia, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Per lui lo era.
Maggie non badò all’espressione imbarazzata dei suoi genitori, e nemmeno al fatto che il padre di Samuel, con gli occhi bassi, strattonò via il figlio adducendo delle scuse. Rimase soltanto sospesa nel dubbio dal retrogusto amaro che Babbo Natale non fosse chi millantava di essere.


di Elena Genero Santoro


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