Gli scrittori della porta accanto

"Viteliú. Il nome della Libertà." di Nicola Mastronardi, recensione di Fiorella Paris

Dopo le formule rituali, in perfetto italico elevò preghiere alla madre Kerres, Mamerte Herakles perché benedicessero quella terra dandole un nuovo futuro di pace, invocò la loro protezione sul ‘sangue del suo sangue’ e chiese la grazia che fossero salvi, un giorno, la memoria e l’onore del popolo, sacrificato, dei Safinos.
Ci sono parole che abbiamo dimenticato, nel nostro tempo accelerato. Ci sono parole di cui abbiamo perso il significato. Parole come onore, lealtà, dignità, coraggio, sacro.
Ci è concesso di incontrarle raramente nella realtà. Sempre più spesso invece in epici racconti.
Ci è capitato di ritrovarle e riconoscerle, nel loro bagliore, nel bel libro di Nicola Mastronardi, Viteliu, il nome della libertà.
Quando, indietro di migliaia di anni, le popolazioni italiche esperivano il paesaggio nel suo mutare di ora in ora, di giorno e di notte nei grandi slanci delle stagioni. Intraprendiamo, così, congiuntamente al romanzo, attraversando laghi, montagne, vallate, un cammino iniziatico che passo dopo passo, riesce a farci raccogliere lo sguardo verso altre realtà interiori, verso un mondo che credevamo perduto.
Non sono soltanto, infatti, le gesta di popoli antichi obnubilati dai fasti di Roma, dalla storia dei vincitori. È il racconto di anime indomite che hanno lasciato nella durezza delle rocce del suolo, nello scroscio dei ruscelli montani, nel luminoso splendore dei prati in fiore, un sogno di libertà. Viteliù. Italia, nell’antico linguaggio osco.
Gli avvenimenti sono quelli che abbiamo studiato (e dimenticato) nelle poche polverose nozioni della gente italica. In quei tempi lontani (siamo nel 91 a.C.) Roma era retta da una casta di famiglie rigidamente conservatrici che, ostinatamente, negavano diritti politici ai popoli Italici, nonostante questi avessero contribuito al successo di tante guerre combattute a fianco dei Romani.
Per la casta romana ammettere gli Italici al pieno diritto della cittadinanza avrebbe significato perdere gran parte dei praedia, i latifondi. Allargare e concedere diritti a tutte le popolazioni che lo chiedevano significava, infatti, perdere privilegi.
Non rammenta nulla, oggi, tutto questo?
Per farla breve, insomma, nonostante i tentativi di mediazione, l’odio serpeggiò. E fu guerra. Una grande guerra che riuscì a mettere insieme popolazioni audaci, bellicose: Safinos, Marsi, Peligni, Frentani, Marrucini, Vestini, Piceni, Pretuzi, Irpini, Lucani, Iapigi. Tutti uniti contro Roma.
Non riuscirono a vincere la guerra, ma diverse battaglie sì. Di loro, dalla nebbia della memoria riemergono soprattutto due grandi condottieri: Quinto Poppedio Silone, princeps marsorum, e Papio Mutilo, embratur sannita.

«…Il richiamo di un cuculo s’udì in quel momento preciso dal basso, all’altezza del muro di cinta diruto. Ottenne subito l’eco di un secondo e poi di un altro, più lontano. Il quarto richiamo venne dalla strada di cresta, sulla sinistra.
‘Forse oggi morirò, Macellaio…’ disse inaspettatamente calmo Gavio Papio Mutilo riprendendo la posizione eretta. Gonfiò il petto e su quella cima apparve nuovamente il comande supremo di tutti gli eserciti safini. Ogni cenno di timore e incertezza era improvvisamente scomparso dal volto. ‘Ma quel che è certo è che tu non vedrai l’alba di domani’ concluse. Non disse altro, ma urlò con quanto fiato aveva nei polmoni. ‘Safinum!’ Il Macellaio fu sorpreso, disorientato e così tutti gli altri. ‘Safinum!’ riprese Gavio Papio Mutilo, Embratur degli Italici e dei Safinos, ‘Safinum!’. Il grido di guerra fu ripetuto tre volte un attimo prima che tutti capissero. Frecce e giavellotti piovvero sui soldati romani più lontani dalla vetta…»

La storia di Mastronardi non ci racconta però quegli anni di guerra. Con un salto temporale in avanti, un’ingegnosa prolessi, il romanzo inizia ben diciassette anni dopo e tra realtà storica e fantasia ci racconta un’altra avventura. Tutt’altra avventura.
Ritroviamo Papio Mutilo, l’ultimo Meddis toutico, vecchio, stanco, cieco. Ritroviamo Marzio, nipote di Silone e Mutilo, unione di popoli audaci, di stirpi fiere, cresciuto senza sapere la propria origine. E così a cavallo, prende il via un viaggio nella memoria, nei territori che Marzio non conosce.
È un romanzo di formazione che permette di ritrovare dentro noi, non soltanto nei protagonisti, la storia, la propria storia. E radici smarrite e remote divinità. E nonostante il tempo abbia modificato, inevitabilmente, quasi tutto, il romanzo riesce a far emergere una melodia del cuore che ci permette di avvicinarci a quel tempo sacro.

«…In alto , l’imponente propaggine meridionale dei monti di Maja. A destra, in basso più vicino a loro, il vasto pascolo ove nasceva la sorgente del Verde e ancora più a destra il Monte Formoso, che da lì vedevano calvo verso il mezzogiorno e folto di abeti soprani a settentrione. C’era un’armonia sacra in quella vista. Respirarono il verde nelle sue numerose sfumature, l’azzurro del cielo e una forte sensazione di spazio, libertà e bellezza. Dinanzi a loro si dispiegava la terra che la Dea Madre in persona aveva progettato per far da cornice al suo tempio e al suo monte….»

E pagina dopo pagina, lo riscopriamo sepolto dentro noi, quel vecchio mondo. Un mondo di diversa percezione dello spazio, del tempo. Un universo sinfonico, armonico, equilibrato.
Siamo in cammino per imparare a riconoscere quei paesaggi. Dentro e fuori di noi.




Viteliú, termine osco da cui derivò la parola latina Italia, è un viaggio nel mondo nascosto dei popoli italici. 
E sono proprio gli Italici i protagonisti di questo sorprendente romanzo d’esordio: i Sanniti, i Marsi, i Peligni, i Piceni, i valorosi dodici popoli dell’Appennino centrale che si unirono per costruire il loro sogno di libertà contro la prepotenza romana. Un sogno temporaneamente infranto da Lucio Cornelio Silla che operò un vero massacro dell’etnia sannita.
Il romanzo inizia diciassette anni dopo quei tragici eventi. 

Un incubo del passato spinge un vecchio cieco – l’embratur sannita Papio Mutilo che su di sé sente tutta la responsabilità del genocidio subìto dal suo popolo – a riprendere in mano il proprio destino e quello del nipote Marzio, salvato dalle stragi dei sicari di Silla.
Il loro avventuroso viaggio porterà Marzio, e con lui il lettore, a conoscere la storia e le terre delle genti che costruirono la prima nazione cui fu dato il nome di Italia.
Una storia mai raccontata in un romanzo; un viaggio avvincente ed emozionante alle radici stesse della nostra identità nazionale.



di Nicola Mastronardi | Itaca Edizioni | Romanzo storico  
ISBN 978-88-526-0325-9 | cartaceo 18,00€  Acquista


Fiorella Paris
Giornalista-tuttologa, per curiosità e necessità professionali. Si è occupata di comunicazione politica nel Consiglio regionale lombardo. Per molti anni notista politica, responsabile della pagina Donna di un settimanale dell’Altomilanese, blogger e testimone dell’evoluzione del femminile plurale nella società.
Quote Rosa in Lombardia, Aracne editrice.
Il presidente e tutte le donne dell'harem, Cavinato Editore.


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