Gli scrittori della porta accanto

L'incipit | #62 "Le dee del miele" di Emma Fenu

«Nell'orto rinasceva l'erba, e i fiori dei mandorli, sfogliati dal vento, coprivano i viali con una specie di nevischio profumato. Una distesa di cavoli fiori copriva quasi tutto l'orto, ma lungo i muri, sotto i mandorli che rinverdivano, crescevano già le altre piantagioni, e la rugiada brillava come polvere di perle sui piccoli steli verdi delle cipolle.» Grazia Deledda, Anime Oneste, 1895

Santa Ausanna è la mamma di Sant’Anna, Sant’Anna è la mamma di nostra Signora…

Profumo di pomodori e salsedine, linguaggio di una terra talvolta generosa, dea dal grembo fecondo e gravido di sole, che sfama i suoi figli.
Seduta su una sedia impagliata, sotto il porticato di canne antistante alla casupola, Caterina si accarezzava la rotondità del ventre, agitando, con l’altra mano, un ventaglio di broccato logoro, mentre disegnava nel nulla piccoli cerchi invisibili con la punta dell’alluce. Aveva diciassette anni, un viso tondo dalle gote infantili e due seni gonfi da donna con una bambina ancora da svezzare e un primogenito di cui ricordare solo il primo, flebile, vagito.
Ma questo, che ora scalciava deciso, sarebbe vissuto. Sarebbe nato e cresciuto forte, bello e onesto. E maschio: lei lo sapeva.
Il cognato, poco più che suo coetaneo, dato disperso al termine della Guerra, le era, infatti, apparso, nella penombra di una notte di luna, ai piedi del letto matrimoniale. Era proprio lui: lo stesso sguardo di velluto nero, la stessa pelle di cuoio, gli stessi riccioli scomposti per una corsa a piedi nudi nell’orto, scampando a una sassaiola fra bande rivali.
«Ora sono morto, Caterina» le disse, muovendo lentamente le labbra carnose, «ora puoi chiamare il bambino che aspetti Antonio, come me, e lui, diversamente dall’altro, non spirerà fra le tue braccia divenendo nutrimento della sulvula.»
Solo mesi dopo si ebbe notizia ufficiale dell’infausto evento, quando la ragazza già ne era certa, grazie alla propria visione.
Il suocero e il marito, infatti, dopo aver affrontato un rocambolesco viaggio a bordo di un aereo militare, appresero comunicazioni inconfutabili: fu un compaesano partigiano a sparargli alle spalle e a vederne il corpo, con i muscoli e i nervi ancora in tensione, cadere nella fossa comune, foglia su altre foglie ai piedi dell’albero della divina giustizia, dove perfino le madri si stringono sotto diverse bandiere insanguinate.

Santa Ausanna è la mamma di Sant’Anna, Sant’Anna è la mamma di nostra Signora…

Il sole cedeva al tramonto tingendo di rosso i contorni delle piante. Rosso sangue. Suo marito non era ancora rientrato a casa dopo il faticoso lavoro e, nell’aria densa di echi misteriosi, Caterina ripeteva la formula arcana, cercando un segno che potesse fugare la propria paura.

Santa Ausanna è la mamma di Sant’Anna, Sant’Anna è la mamma di nostra Signora…

Ed eccole, le figlie di Nosoccunudda, camminare a passo veloce, come rane saltellanti, per raggiungere la dimora in cui erano nate e non volevano morire, portando in equilibrio, sulle rispettive teste more, due cesti contenenti i panni lavati alla fontana comune.
«Mi chiede in sposa, Nuccia, me lo ha detto ieri, quando gli ho portato l’acqua, solo a lui, passando come un’ape regina fra gli altri braccianti assetati anche di corpi femminili.»
Ora Caterina sapeva. Le Madri eterne, se pur donne come lei, le avevano concesso una ennesima carezza: secondo una tradizione tramandata per secoli, se si restava ad ascoltare, dopo aver formulato il sacro rituale, si sarebbe avuta risposta al proprio quesito direttamente dalle parole, inconsapevoli, del primo passante.
Suo marito, dunque, sarebbe riapparso incolume, nonostante le minacce di morte ricevute, nei giorni precedenti, dal proprietario del podere confinante.
Anche stasera avrebbero cenato occhi negli occhi, sorbendo un minestrone sempre diverso, che seguiva il ciclo delle stagioni e degli umori, e sarebbero, infine, sprofondati nel sonno tenendosi per mano, dopo essersi amati teneramente.
«Eccomi, ho fatto tardi oggi» disse Pietro, varcando con incedere fiero l’ingresso privo di ostacoli: la porta, per far circolare aria e mitigare la calura, era già aperta.
«So tutto» replicò Caterina, e versò nel piatto due mestolate odorose di fatica e speranza.

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