Gli scrittori della porta accanto

L'incipit "L'amore è un foulard" di Shelina Zahra Janmohamed | #77



L'amore è un foulard
di  Shelina Zahra 
Janmohamed
Piemme

ebook 8,99€
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In cucina friggono le samosa, in bilico tra una doratura perfetta e il nero bruciacchiato. Mia madre è concentrata sull’enorme padella piena d’olio che sfrigola, i capelli avvolti in un vecchio asciugamano, i pensieri rivolti alle persone in arrivo. Sono ospiti importanti, forse i più importanti di tutti.
Il campanello suona. Io schizzo su per le scale con in mano uno strofinaccio da cucina. Nella casa serpeggia il panico. Si sprimacciano i cuscini. Vengono sistemate le tende. La porta della cucina si chiude sbattendo e mio padre è investito da una cacofonia di voci gracchianti:
«Sono arrivati! Sono arrivati! Va’ ad aprire!». A quel punto sulla casa scende un’immobilità vigile. I gigli in salotto esprimono compostezza. Mio padre, imperturbabile, si dirige verso la porta d’ingresso per accogliere il suo potenziale genero.
È la prima volta che io e la mia famiglia siamo presentati formalmente a un pretendente. Scegliere che cosa indossare è stato un incubo. Devo essere attraente per l’uomo in questione, e al contempo abbastanza modesta e riservata per la sua famiglia. Il contenuto del cassetto in cui tengo i foulard è sparpagliato artisticamente sul pavimento di camera mia in mucchietti rosa, porpora, azzurro e verde. Ogni foulard è stato accuratamente drappeggiato e appuntato, quindi analizzato dal punto di vista dell’estetica e dell’effetto. Ne ho scelto uno di seta rosa scuro. Il colore è morbido e invitante, femminile ma non infantile. Ho ripiegato la stoffa quadrata a formare un triangolo e me la sono messa in testa, fermandola sotto il mento con spilli invisibili e gettandomi sulle spalle le estremità libere. La stoffa avvolge morbidamente i capelli e le spalle. La fortuna è dalla mia, è una buona giornata per il foulard.
La camicia è della stessa tonalità di rosa, con le maniche lunghe e i polsini arricciati, e stacca sulla gonna lunga color crema con le frange che sfiora il pavimento. Tutta la famiglia è in subbuglio per l’abbigliamento. Il primo incontro è un rito di passaggio obbligato. Potrebbe
essere il mio unico incontro. Tendo invano l’orecchio per sentire una voce tonante che annuncia: «Adesso sei una donna». Nessuno dice: «Buona fortuna». Nessuno mi guarda orgoglioso e protettivo, registrando il momento della transizione dalla condizione infantile a quella adulta. Sono uguale a milioni di altre giovani donne sulla soglia del matrimonio.
Sto in piedi davanti allo specchio, fissando nervosamente il mio riflesso, cercando con grande sforzo di controllare il battito furioso del cuore. Inspiro, espiro. Inspiro, espiro. Come sarà lui? Che cosa gli dirò?
Ho diciannove anni e sto per entrare in un mondo al quale sono stata preparata sin da quando ero bambina. Il peso della tradizione, che poggia così delicatamente sulle mie spalle di asiatica musulmana, è stato non meno potente dell’innocente, deliziosa attesa dell’amore. Tutte le voci che mi echeggiano in testa sono sicure dell’amore. Le commedie romantiche di Hollywood sono certe dell’esistenza del vero e glorioso amore appassionato. Le favole per bambini lo proclamano. Gli insegnamenti dell’islam promettono a ogni individuo un partner che lo completerà. La cultura asiatica pone il matrimonio al di sopra di tutto. E l’amore, l’amore dolce, piccante e onnicomprensivo fiorisce nel cuore di qualunque idea del matrimonio.
Il fatto che io stia per incontrare il mio pretendente per capire se ci piacciamo è considerato da alcuni una cosa scandalosamente moderna. Io ho sempre saputo che avrei conosciuto in questo modo il mio futuro marito. Allora perché il cuore mi batte così forte? L’uomo e i suoi accompagnatori stanno venendo per “darmi un’occhiata” e io, naturalmente, “darò un’occhiata” a lui. L’equilibrio della situazione non fa nulla per alleviare il mio nervosismo. Qui non si tratta soltanto di un appuntamento al buio, ma di un appuntamento al buio con famiglia.
Potrebbe essere l’unico Principe Azzurro che incontrerò, che avrò mai bisogno di conoscere. E che cosa c’è che non va? Muoio dalla voglia di avere il mio Principe Azzurro e sogno di far parte di una coppia di “innamorati”. In realtà, è molto più probabile che lo conoscerò con una presentazione formale.
Nella sua visita sarà accompagnato da almeno uno, se non più, “adulti”. Conoscere la sua famiglia e capire il suo background è importante almeno quanto stabilire su quale gradino della scala “alto, tenebroso e affascinante” si colloca. Lui e la sua famiglia valuteranno me nello stesso modo: un appuntamento allargato dipende da una decisione presa in comune, e io e lui saremo al centro dell’attenzione.
Mi guardo di nuovo allo specchio e mi esercito a sorridere. Monna Lisa o Julia Roberts? Mi metto il profumo e poi crollo sul pavimento con un sospiro nervoso. Recito alcuni versetti del Corano che in teoria mi aiuteranno a calmarmi e mi consentiranno di recuperare il controllo di me stessa. La melodia ritmica e la saggezza delle parole mi restituiscono l’equilibrio. Metto qualche monetina in una speciale cassetta per l’elemosina che teniamo in casa, chiamata sadaqa, poi mi sistemo gli abiti. Offrire denaro a chi ne ha bisogno ha qualcosa della teoria del caos: una piccola fluttuazione aumenta e si moltiplica finché l’energia positiva torna ad aleggiarti intorno. Un buon karma è decisamente quello di cui ho bisogno in questo momento.
La porta d’ingresso si apre: resto in apnea. Il signor Quello Giusto è arrivato.
Corro di sopra per dare un’occhiata al gruppetto in arrivo dalla finestra mentre parcheggiano l’auto. Mi inginocchio e mi metto a sbirciare dalla fessura tra il davanzale e la tenda. Noto una Toyota marrone grigiastro. O è un’Honda? Ma poi chi se ne frega della marca, è solo una tipica auto familiare asiatica. I miei occhi scattano verso la coppia che trotterella sul vialetto di casa nostra. Il ragazzo, Ali, cammina tranquillamente dietro di loro.
Gli ospiti arrivano allegramente alla porta d’ingresso, fingendo che non ci sia nulla di insolito nella loro visita. Persino all’incontro di presentazione non viene fatto alcun cenno esplicito allo scopo di quel ritrovo.
Gli ospiti hanno un’aria troppo innocente, troppo carina per essere venuti a stravolgermi l’esistenza. Sono qui per strapparmi dal grembo della mia famiglia? A me piacciono i miei, sono felice qui. Non vedo perché dovrei andarmene. Il loro arrivo mi ha messa in apprensione. Agito le mani, in preda al panico, abbandonata da sola al piano di sopra a camminare avanti e indietro in silenzio mentre aspetto il momento adatto per fare il
mio ingresso. Una ragazza a un appuntamento deve fare un ingresso. Lo sanno tutti.
Mi fermo di colpo e me la prendo con me stessa. Non voglio forse innamorarmi e vivere per sempre felice e contenta? Quest’uomo potrebbe essere il Principe Azzurro. Il mio. Potrebbe condurmi in un mondo di rose e abiti da ballo alla Cenerentola. Sentirò le farfalle nello stomaco e mi innamorerò di lui a prima vista?
So quattro cose, che ho classificato in “importanti” e “non interessanti”. Il fatto che sia un contabile e abbia ventitré anni è importante. Che sia un ragazzo “carino” e che provenga da una “buona” famiglia mi è indifferente. A diciannove anni sono cose irrilevanti di fronte al mio semplice desiderio di innamorarmi.


Quarta di copertina. «Non capisco perché non trovate un uomo, siete così belle e intelligenti». Così inizia la tipica conversazione tra Shelina e le sue due amiche Sara e Noreen, single come lei. È il primo dei sei stadi dell’autocommiserazione, come li ha ribattezzati Shelina. Da lì si passa a: Dove sono finiti gli uomini decenti? I migliori sono tutti impegnati (stadio 2), forse non esistono più (stadio 3). O forse siamo noi quelle sbagliate (stadio 4). Al quinto stadio esplode lo sgomento: non ci sposeremo mai e moriremo vecchie, zitelle e con la casa piena di gatti. Solo a quel punto arriva un barlume di speranza, il sesto stadio: l’uomo giusto è da qualche parte che aspetta noi, solo non è ancora pronto. Ogni donna sa di cosa si sta parlando.
Nel caso di Shelina, la faccenda è ancora più complicata. Perché lei, nata in Inghilterra, studentessa di Oxford, e cresciuta a Grease, musica pop e curry, è di origini musulmane. E nella sua cultura trovare Quello Giusto è una cosa seria, un’impresa collettiva che coinvolge tutta la famiglia. Shelina non si fa mancare niente di ciò che fanno le sue coetanee in cerca d’amore. Appuntamenti al buio, i dubbi: gli piacerò, mi piacerà, come mi devo vestire, chiamo io o aspetto che mi chiami lui? Le delusioni, per quello che non si fa più sentire, quello che mi piaci, ma sei troppo bassa, quello che la lascia aspettare due ore al bar per vedere finire la partita. Solo che per lei, gli incontri sono “allargati”, e tutti, genitori, cognati, lontane zie comprese, dicono la loro.
Deliziosamente sospeso tra jeans e velo, mascara e samosa, speed date e incontri combinati, una memoir ironica e spiritosa che unisce riflessioni profonde e universali sul senso dell’amore, della diversità, del rispetto tra le culture e dei pericoli dei pregiudizi a una gustosa vena chick-lit.

★★★★★

Il buon giorno di vede dal mattino, dicono, e un buon incipit e una copertina accattivante possono essere il perfetto bigliettino da visita di un libro.
Secondo voi, quante stelline si merita il biglietto da visita di questo libro?

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