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Referendum costituzionale: cosa prevede la riforma?

Referendum costituzionale: cosa prevede la riforma?

Di Davide Dotto. A novembre, un referendum, un unico quesito per cambiare un terzo della carta costituzionale. Informarsi è importante, per un voto che non sia di pancia ma di testa.
Qualche saggio per una rilettura consapevole della Costituzione.

Negli ultimi mesi ho seguito il dibattito che si è avvicendato sul tema scottante della riforma costituzionale. Il testo del disegno di legge costituzionale (A.C. 2613-D) si può consultare e scaricare. Consta di una sessantina di pagine, la lettura è un pochino impegnativa. Per i più volenterosi ci sarebbe anche la relazione finale della apposita commissione che supera le 800 pagine, ma direi di soprassedere.
Entrando nel merito, la riforma riguarda il Senato (art. 57 e seguenti della costituzione), il procedimento legislativo (art. 70), la Camera dei deputati (art. 55), il referendum e l’iniziativa legislativa popolare (art. 71, 75), la soppressione del CNEL (abrogazione dell’art. 99), la riforma del Titolo V (Regioni, Città Metropolitane, Comuni: art. 114 e ss.), l’elezione del Presidente della Repubblica (art. 83).
In sintesi – come vuole la rubrica del provvedimento – la riforma contiene le disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento di costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione. Parecchia carne al fuoco, insomma.

Qualche saggio, per una rilettura consapevole della Costituzione.

Non è per niente facile tirare le fila di un discorso piuttosto complesso e di così larga portata per le questioni dibattute. Da dove cominciare se non dando una rilettura (o lettura) alla Costituzione?
A tal proposito non mancano pubblicazioni per un utile ripasso. Segnalo per esempio il recente e agile testo di Gianfranco Pasquino, La Costituzione in trenta lezioni. Si tratta di un saggio divulgativo scritto non da un giurista, ma da uno scienziato della politica, allievo di Norberto Bobbio e di Giovanni Sartori. Di quest’ultimo ricalca, nel titolo, il volume La democrazia in trenta lezioni, che varrebbe la pena di sfogliare. 
Il libro di Pasquino è importante in quanto fa uscire la Costituzione dal proprio testo, disegnandone la mappa e facendo emergere le forze storiche (oltre che politiche) che hanno contribuito alla sua formulazione. Ci induce, altresì, a un’importante riflessione di fondo: non è opportuno che la costituzione disciplini tutto perché non è suo compito risolvere tutti i problemi. Per questo c’è la politica. È bene, cioè, che il legislatore abbia le mani libere per approntare, materia per materia, l’opportuna disciplina. Molte censure che vengono opposte alla riforma riguardano la legge elettorale, il c.d Italicum, la quale alimenta un combinato disposto che, al lato pratico, potrebbe creare più di un problema. Il quale però non è oggetto della consultazione referendaria anche se, in qualche maniera, vi è collegato.
Il dibattito sui sistemi elettorali è infinito e, per sua natura, è soggetto a oscillazioni, ripensamenti, aggiornamenti che ne sconsigliano una puntuale previsione costituzionale. E tanto basti.

È consigliabile avere una panoramica del processo che ha dato luogo alla Costituzione che conosciamo (e dovremmo conoscere).

Tra le pubblicazioni più recenti segnalo Aggiornare la Costituzione – Storie e ragioni di una riforma, di Guido Crainz e Carlo Fusaro. Il primo saggio è dedicato a un periodo vorticoso fatto di emergenze, di conti da chiudere col passato, con la comprensibile paura del nuovo che avanzava.
Per capire in che condizioni versassero l’Italia e l’Europa all’epoca, mi permetto di segnalare un altro volume di recente uscita: 1946, di Victor Sebestyen. Il quale ci fa capire la corsa contro il tempo dei singoli ordinamenti per far ripartire un’economia distrutta dalla guerra, e quali fossero le parole d’ordine dell’immediato: garantire a tutti l’istruzione gratuita, improntare un sistema di assistenza sanitaria e di assicurazione sociale, incoraggiare la piena occupazione, ricreare dal nulla un’economia che consentisse all’Occidente di rialzarsi e prosperare di nuovo.
La situazione del momento, piuttosto inedita, esacerbava il confronto politico.

Il testo costituzionale ha inteso costruire tutta una serie di pesi e contrappesi (tra cui il bicameralismo paritario oggetto di riforma oggi) volti a impedire a chicchessia di modificarlo a colpi di maggioranza.

Ciò ha da una parte blindato il testo costituzionale, ma ha anche contribuito all’enorme difficoltà di approntare riforme istituzionali di largo respiro. Inoltre non si può negare che tutto questo abbia creato un testo non sempre pronto a essere applicato nell’immediatezza, per via di tutta una serie di norme programmatiche lasciate per anni sulla carta e non pienamente attuate.
Terminata l’urgenza costituente del 1948, di riforme istituzionali si comincia a parlare verso gli anni Ottanta, dando luogo a diverse commissioni bicamerali che non hanno mai avuto seguito a causa della fine della legislatura o della caduta del governo. Ha avuto un buon esito solo la riforma del Titolo V della II parte della Costituzione (dedicato agli enti locali), il cui testo è stato confermato dalla consultazione referendaria del 2001. Nel 2006 è stata approntata una riforma costituzionale di largo respiro e non troppo dissimile da quella odierna, bocciata, stavolta, dal corpo elettorale.

Quella che si andrà a votare a novembre è una riforma essenzialmente tecnica, intesa a modificare un terzo della carta costituzionale.

Toccando ben 47 articoli. Lo scopo, oltre a quanto già detto, è anche permettere che si formi una maggioranza in grado di governare per un’intera legislatura.
Ponendo un solo segno sulla scheda (sul SI o sul NO) si diranno però troppe cose. Tuttavia, proprio perché si tratta di una riforma tutt’altro che puntuale e circoscritta, non sembra opportuno dare altri significati alla consultazione referendaria se non quello di un consenso di fondo espresso sul testo costituzionale (scaturente o no dalla riforma) destinato ad assorbire qualsiasi vertenza.

L’alternativa era quella (poco pratica e non appropriata allo scopo) di preparare una pluralità di quesiti nei quali ciascun elettore potesse dire la sua, manifestando il proprio convincimento sui singoli punti.

  1. a Tizio sta bene la riforma del Senato. Però, per una sorte di coerenza, non vede perché dovrebbe riformare il testo del Titolo V che lui stesso ha confermato nella consultazione referendaria del 2001.
  2. Caio è d’accordissimo sull’abolizione del CNEL ma non comprende bene il meccanismo dell’abolizione delle Province. E poi ha da ridire sul procedimento legislativo divenuto assai più complicato.
  3. Mevio, che è uno studiato, è d’accordo di ridisegnare il Titolo V della costituzione per arginare il contenzioso tra Stato e Regioni, però ha i suoi dubbi sulla disciplina del nuovo Senato che sposterebbe altrove lo stesso tipo di contenzioso.
Il quesito referendario è posto in maniera tale da imporre al singolo elettore ben altro approccio. Deve valutare la riforma nel suo complesso, accettandola o rifiutandola in blocco.

Il testo della riforma è scritto come una legge finanziaria, rende difficile, da parte anche del più accorto dei cittadini, farsi un’opinione approfondita.

Per far questo ciascuno è invitato a leggere la Costituzione e a confrontare il testo attualmente in vigore con quello che risulterebbe con l’approvazione della riforma. Questo suggerisce un’altra – e non ultima – serie di riflessioni: quella del linguaggio utilizzato.
Che il testo della riforma non sia ben scritto lo dicono tutti. Ma quale testo di legge è scritto come si deve e in modo tale da non richiedere tortuosi passaggi interpretativi che ne consentano una applicazione quanto meno ragionevole? Il testo della riforma non è semplice, è scritto come una legge finanziaria, a tratti come un decreto mille proroghe o una legge omnibus, con pericolosi rimandi ad altre norme. Penso al recente avviso di rettifica pubblicato in Gazzetta Ufficiale volto a correggere sviste ed errori di compilazione del nuovo codice dei contratti pubblici (il D.Lgs. 50/2016, v. qui). Non credo che il cittadino debba pronunciarsi sulla corretta formulazione delle disposizioni o su un’errata e imprecisa rubricazione delle stesse, destinate comunque a essere superate in via interpretativa. È che non si fa una gran bella figura: si tratta di questioni (tecnico-giuridiche, di compilazione e di raccordo) che dovevano porsi a suo tempo ed essere risolte in fase di scrittura e di rilettura, raccogliendo tutti i pareri possibili da parte degli organi e figure competenti. Va da sé che, una scrittura simile, rende difficile, da parte anche del più accorto dei cittadini, farsi un’opinione approfondita del tutto. E dire che nel 2006 la Costituzione Repubblicana, per come era stata scritta, ha meritato un premio Strega speciale. Non per nulla – ricorda Valerio Onida – il testo, in occasione del suo coordinamento finale, fu sottoposto per una revisione a un gruppo di letterati.
Generazioni di studenti (di giurisprudenza e no) hanno mandato a memoria molti dei suoi articoli. Si provi a fare altrettanto con il nuovo art. 70. O si consideri l’art. 117 riformato nel 2001 e ora oggetto di ulteriore revisione.

Informarsi è importante, per un voto che non sia di pancia ma di testa.

Io mi fermerei qui. È chiaro che non si può chiedere troppo, né troppo poco, a questa riforma. Ciascuno è chiamato a valutare se le promesse verranno mantenute, specialmente se risponda all’urgente bisogno di governabilità e di stabilità di cui si parla da più parti. L’esperienza insegna che anche le migliori riforme trovano ostacoli tortuosi e il cammino incidentato. E non è detto che una riforma che appare buona sulla carta, al lato pratico lo sia. Penso al gran parlare, negli anni ’90, della privatizzazione che sembrava la panacea di tutti i problemi, ma che invece ha prodotto il dilemma delle società partecipate che il legislatore sta affrontando in tutti i modi, non da ultimo con un testo unico a esse dedicato. Qualche nodo, insomma, la riforma costituzionale potrebbe anche scioglierlo, in fondo.
L’invito che si può e che si deve fare è, quando giungerà il momento, di pronunciarsi cum grano salis, con un voto che non sia di pancia ma di testa, ponderando al meglio le ragioni del SI e del NO così come ci vengono esposte dai media, magari troppo animosamente.
Davide-Dotto

Davide Dotto


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