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L'altro 8 settembre: la resistenza degli internati militari italiani

L'altro 8 settembre: la resistenza degli internati militari italiani

Storia Di Tamara Marcelli. 8 settembre 1943, per i militari italiani al fronte l'armistizio segnò l'inizio della prigionia. L'altra resistenza: una scelta d'onore che valse l'internato nei lager.

8 settembre 1943.
Sera.
Si diffonde la notizia dell'Armistizio: la radio raggiunge i militari italiani impegnati al fronte e non sarà una buona notizia. Colti di sorpresa dalla resa senza condizioni, i militari si trovarono improvvisamente privi di una guida, di una indicazione, di un progetto. L'Italia, fino a quel momento al fianco della Germania, si trovò accerchiata dagli ex "amici". I nostri soldati furono rastrellati e arrestati, costretti a consegnare le armi, obbligati a scegliere se continuare a vivere con disonore combattendo a fianco dei tedeschi, o farsi catturare con onore rischiando la vita nei campi di concentramento. In Francia meridionale, sul fronte alpino occidentale, in Corsica, sul fronte balcanico, in Albania, in Grecia, nelle isole Jonie ed Egee: si compì in questi luoghi la reale disfatta italiana.

Messi di fronte all'atroce dilemma, circa 600.000 militari italiani furono fatti prigionieri e deportati in Germania, Austria, Polonia: avevano urlato compatti il loro sdegno, il loro «No».

Rifiutarono di dare sostegno politico e militare al nazi-fascismo. E pagarono per questo.
La scelta è una strada.
La strada per il lager.
Così dopo aver combattuto per anni in Africa, Francia, Russia, Grecia, Albania, Jugoslavia, tra neve, gelo, acqua, fango, deserto e steppa sconfinata, in condizioni proibitive e senza mezzi adeguati, in una guerra non sentita come propria, i militari italiani subirono la terribile rappresaglia tedesca. Caricati su treni in vagoni merci piombati, stipati come bestie, senza acqua né cibo, senza conoscere la destinazione, sotto il tiro dei fucili tedeschi, furono trasportati nei campi di smistamento e poi di concentramento. Umiliati, privati della dignità di essere umani, sfruttati come forza lavoro a costo zero, questi militari furono oggetto della rabbia di un intero popolo che non risparmiò loro nemmeno la pietà umana.
Il viaggio dal fronte ai lager era lungo e molti perivano di fame e malattie, sottoposti al disprezzo e alle torture fisiche e psicologiche, ma il peggio doveva ancora arrivare. Oltre 160 lager e varie succursali dipendenti (Dulag di transito e smistamento, Stalag per soldati e ufficiali, Oflag per ufficiali, reserve lazarett), 133 battaglioni militarizzati di lavoratori, 2000 AK (arbeicht kommand) comandi di lavoro, campi di eliminazione. Costretti al lavoro coatto per agevolare, paradossalmente, l'industria bellica tedesca.


Fu definita "l'altra Resistenza", una guerra sotterranea, frutto di un duplice «No».

Quello urlato spontaneamente e coralmente l'8 settembre e quello ripetuto tra le torture e la forte pressione psicologica nei campi di concentramento. L'onore non si vende.
Hitler dispose da subito che i soldati italiani che avevano rifiutato di aderire al Reich e alla Repubblica di Salò dovessero essere inquadrati come Internati Militari Italiani (I.M.I.) nei lager. Fu una vendetta ma al tempo stesso una necessaria difesa dal coraggio dimostrato da questi uomini. Attribuendo loro la qualifica di I.M.I., Hitler li privava di tutti quei diritti propri dei prigionieri di guerra. Venivano infatti sottratti all'assistenza degli organi internazionali (per esempio la Croce Rossa), come invece previsto dalla Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra del 27-7-1929.

Fu una bassezza intrisa di una certa logica: si doveva evitare che i militari italiani internati raccontassero quello che accadeva nei lager. 

Erano trattati come schiavi. Arrivati ai campi venivano bastonati e privati di tutto, anche dei loro pochi oggetti personali. Costantemente perquisiti, venivano assegnati a lavori pesanti nelle fabbriche di armi, in quelle chimiche, nelle acciaierie e fonderie, miniere, raffinerie, nelle industrie belliche e civili. Furono impiegati nella costruzione di rifugi antiaerei e gallerie sotterranee, con orari di 10/12 ore di lavoro al giorno. Senza cibo se non piccole razioni di acqua e scarti di patate andate a male, senza cure mediche né igiene. Dormivano in baracche fredde e buie, ammassati a gruppi. Baracche gelide e sporche infestate da cimici e pidocchi. Sempre sotto la minaccia delle armi. Le sentinelle tedesche li seguivano ovunque, sempre attente a che non sprecassero energie in chiacchiere o altro. Al minimo errore venivano sottoposti a gravissime torture, come essere rinchiusi in fosse al buio e al freddo per giorni, senza acqua né cibo. Queste punizioni servivano a fiaccarne la resistenza psicofisica.
La loro tragedia durò a lungo, furono annientati nel corpo, rapinati dei loro pochi averi, ridotti a scheletri, ma mai comprati nella loro dignità di uomini, militari e Italiani. Molti morirono in terra ostile, "maledetta", come la definirono alcuni IMI nei loro diari di prigionia, senza poter rivedere o almeno leggere una lettera dei propri cari. Quegli stessi familiari che li aspettavano da anni a casa, in Italia, invano.

I ricordi di guerra degli IMI, sprazzi di vita, onore, dignità e torture.

Quelli che, a partire dalla primavera del 1945, riuscirono a rivedere la Patria, furono segnati a vita dalla terribile esperienza vissuta. Molti non vollero raccontare mai a nessuno quegli anni. Altri trascrissero la propria esperienza in memoriali, diari. Sprazzi di vita spesso annotata in quadernetti gelosamente custoditi per non permettere agli aguzzini di sequestrarli e distruggerli. Le SS erano sempre attente a requisire qualsiasi foglio con date e commenti annotati dai soldati italiani. La tragedia non doveva avere testimoni diretti. Così pure la censura sulla corrispondenza era totale.

Ogni IMI ha una sua data di liberazione che spesso non coincide con quella ufficiale del 25 aprile, ma con quella corrispondente alla effettiva liberazione dal Campo di Concentramento in cui era prigioniero. 

Molti arrivarono a casa solo nell'autunno del 1945. Tornati in Italia fortemente debilitati dalla grande fame patita nei campi, molti IMI arrivarono a pesare 40 kg. Uomini un tempo forti e robusti, invecchiati e piegati come fuscelli. La Guerra li aveva cambiati per sempre. E i dolori fisici, seppur gravi, nulla furono rispetto a quelli dell'anima. Questi uomini che affrontarono il proprio destino con grande spirito di fratellanza umana, con onore e grandissima dignità, vissero la vera tragedia della guerra. Sentirono su di sé il peso del dovere verso la Patria e quello dei patimenti a cui furono sottoposti.


60.000 internati militari italiani morirono nei lager. 

Di molti non si seppe più nulla da quella data spartiacque dell' 8 settembre 1943. Una data che, per l'Italia significò l'inizio della guerra di liberazione e che invece per gli IMI segnò l'inizio della prigionia. Pagarono due volte, pagarono per tutti. Pagarono con la propria vita, ma furono eroi, dignitosamente Grandi Uomini Italiani.
Il nostro dovere è non dimenticarli.
Jean Paul Sartre, scrittore francese esponente dell'esistenzialismo, prigioniero politico internato nel campo di concentramento di Trier in Germania, come mio nonno, scrisse: «Basta che un uomo odi un altro perché l'odio vada correndo per l'umanità intera».

- Ma la guerra è finita... - obiettai
- Guerra è sempre... - rispose.
Primo Levi, La tregua

Numerosi sono i testi sull'argomento. Non solo i celebri Primo LeviRigoni SternGuareschi, ma anche i meno noti I prigionieri dimenticati di Claudio Tagliasacchi e Ho scelto il lager di Mario Avagliano e Marco Palmieri.
In molti raccontarono la propria esperienza nei lager... per non dimenticare.



Tamara Marcelli


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