Gli scrittori della porta accanto

[Libri] "Lettera a Dina" di Grazia Verasani, incipit #89

Tutto è cominciato circa un anno fa.

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Lettera a Dina

di  Grazia Verasani
Giunti

ebook 8,99€
cartaceo 11,90€
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No, non è esatto.
Tutto è ricominciato circa un anno fa, e più precisamente quando R. è entrato nella mia vita.
Sentendolo suonare Schubert, a un suo concerto, pensai che non era solo un virtuoso del pianoforte. Era intenso, ma di un’intensità quasi casuale, da mezzo genio inconsapevole, ed era anche affascinante: occhi più grigi che azzurri, capelli scuri con qualche filo bianco e un sorriso lento, pacato. Verso mezzanotte, al tavolo di una trattoria, mi si strinse vicino con la sua sedia per fare posto ad altri amici comuni che erano sopraggiunti. Gli feci i miei complimenti per il suo concerto e lui mi ringraziò alzando un po’ le spalle e versandomi il vino con galanteria. Quando gli chiesi qual era il suo musicista preferito, R. rispose: «Chopin».
Mi piacque da subito, credo. Ma restai lì senza sapere cosa dire, rigida come al solito, sorpresa, paralizzata dall’abitudine di tenere l’amore, o quel che è, a una certa distanza.
Sorprendentemente, alla fine della cena, R. mi chiese il numero del mio cellulare.

Te la faccio breve, dopo quella sera cominciò una sequela di maliziosi sms da una città all’altra. Lunghe telefonate piene di battute, risate, piccole confidenze, insomma tutte le trafile del corteggiamento, tra titubanze, euforie, timide avanscoperte.
In quei giorni passavo da attacchi di panico al sorridere ai cani che incrociavo al parco, e il dottor B. mi prendeva in giro citando Battisti: Tu chiamale se vuoi emozioni
Il problema era che nella vita di R. c’era già una donna.
Un’altra. Quella fissa. Quella con cui non fai più l’amore da un secolo ma che, ragionevolmente, ha smesso di fartene una colpa.
Quella sopravvissuta a tournée, egoismi, infedeltà e, soprattutto, al patto di non parlare mai di figli e matrimonio. L’unica, insomma, che ha saputo tenerti mollando la presa.
È saggio innamorarsi, a questa o a un’altra età?, mi chiedevo. Ecco il dubbio su cui si basa la letteratura mondiale, e non c’è una risposta. Al dottor B. dicevo: «Tutte le storie finiscono, prima o poi». E lui: «Tutte le storie finiscono, prima o poi. Sa com’è, si muore». E io ridevo.

Ero attratta da R. Lui era così charmant, talentuoso, cavalleresco, ma non dimenticavo che era già impegnato. Della sua donna sapevo che anche lei era una musicista e che convivevano da anni senza pestarsi i piedi, entrambi votati al sacerdozio della musica, che li portava anche a esibirsi all’estero. O, almeno, questo mi disse R., minimizzando con gesti vaghi e distratti per tranciare in fretta il discorso, quando ci rivedemmo. (Ce ne sono altre oltre a lei?, mi chiedevo.)
Un giorno, al telefono, mi chiese a bruciapelo: «Tu cosa vorresti?». Risposi prudentemente: «Passare del tempo con te». Sospirò e disse: «Anch’io».
A metà aprile ero a Genova per assistere a un suo concerto, con una camera prenotata nel suo stesso hotel.
Seduta in platea, ascoltandolo suonare, ero incantata dalla sensibilità con cui interpretava la musica di altri facendola sua. Il viso serio, concentrato, il fascino indolente dell’artista che non ha mai fatto code davanti a uno sportello, che è superiore alle ordinarie burocrazie, e quella voce grave, distaccata, con cui illustrava i brani che andava a eseguire. Dopo il concerto, nel camerino, la gente gli si accalcava intorno per stringergli la mano. Gli piaceva fingere umiltà per ricevere una doppia dose di ovazioni, e io mi intenerivo per quel suo smaccato desiderio di piacere.
Cenammo da soli in una pizzeria vicino all’albergo e poi io gli proposi di camminare un po’. Non mi ricordo il nome della piazza in cui ci fermammo, scegliendo a caso una panchina. Ma fu lì che, alle due e qualcosa del mattino, ci baciammo. Con furia, timore, allegria. Insomma, con tutti i sinonimi e i contrari dell’innamoramento. E questo succedeva circa un mese prima di ritrovare te.

Ti dicevo, con R., all’inizio, fu come tenere a bada un tifone quel tanto da non affondare la barca. Pur facendo una certa resistenza, mi lasciavo coinvolgere, e arrivai al punto di interrompere la stesura di un romanzo giallo su cui lavoravo da mesi, spossata dall’attesa delle sue telefonate, distratta dal pensiero di lui.
R. sapeva farmi ridere, la sua ironia da aforista mi sollecitava in modo intellettuale e il suo sense of humor era in sintonia col mio.
Si autodefiniva un melanconico. Ma d’altronde – diceva – Richard Strauss soffriva d’ansia fobica, e Ravel, Satie, Mahler erano famosi per le loro tendenze ossessive. Sarò sincera, come la maggior parte degli uomini, non era esente da gigionate narcisistiche e aveva paura di invecchiare, persino più di me.
Ero in preda all’ansia.
Cos’era mai successo dopotutto?, mi ripetevo.
Una cosa bella. Una cosa che non mi succedeva da tempo. Pazienza se R. aveva una donna e io la depressione. Pazienza se avevo incrociato spesso sulla mia strada dei Werther di mezz’età o dei giovanotti usciti da Twilight. Pazienza se lui aveva definito la nostra storia un’amicizia speciale. Pazienza se eravamo due idioti o due che avevano appena vinto una specie di lotteria. C’eravamo incontrati. Tutto qui. Con quel che di buono e di cattivo un evento del genere può comportare. Non ignoravo le difficoltà: la distanza geografica, la sua convivenza con un’altra donna. Ero stupita, eccitata, spaventata. Ed è stato nel bel mezzo di questo stupore che tutta in una volta è tornata l’infanzia e sei tornata tu.

Quarta di copertina
"Lettera a Dina" di Grazia Verasani, Giunti, 2016.

Un passato di sogni e ideali, un'amicizia unica e irripetibile, una canzone che ritorna dopo trentasette anni. "Lettera a Dina", il nuovo, toccante romanzo di Grazia Verasani.
È una mattina del 1973 e nella classe 2a H entra per la prima volta Dina. Ha dodici anni, indossa abiti costosi, è bionda e sovrappeso. Si volta verso la sua nuova compagna di banco e le dice: ''Io sono fascista''. L'altra le risponde: ''Io sono comunista''. E' un colpo di fulmine. Tra le due nasce un'amicizia travolgente, fatta di sotterfugi, giuramenti, chiacchiere, litigi, riconciliazioni appassionate. Due mondi diversi, due famiglie di estrazione opposta, una di matrice operaia, l'altra, quella di Dina, decisamente borghese, che le due ragazzine mescolano e alternano in una Bologna animata dalle prime lotte studentesche.
Trentasette anni dopo, mentre parcheggia l'auto, la protagonista di questa storia sente alla radio la canzone che lei e Dina ascoltavano fino allo sfinimento su un giradischi. E di colpo, vivissima, Dina è di nuovo lì. Dove si è persa l'adolescente ribelle sempre in lotta con una madre fredda e seducente? Qual è stato il momento esatto in cui qualcosa si è spezzato? E perché quella tentazione irrefrenabile di camminare a occhi chiusi sul bordo di un precipizio?
''Lettera a Dina'' di Grazia Verasani è il racconto toccante di un'amicizia assoluta e dei segni che ha lasciato; una riflessione sui sogni e gli ideali della giovinezza attraverso un paesaggio esistenziale che tocca un decennio importante della storia italiana, in una sovrapposizione tra passato e presente il cui raccordo emotivo - e provvidenziale - è la musica.

★★★★★

Il buon giorno di vede dal mattino, dicono, e un buon incipit e una copertina accattivante possono essere il perfetto bigliettino da visita di un libro.
Secondo voi, quante stelline si merita il biglietto da visita di questo libro?

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