Gli scrittori della porta accanto

[Libri] "Tutto il tempo che vuoi" di Francesco Gungui, incipit #128

Tutto il tempo che vuoi, di Francesco Gungui, incipit - Banner

«Ritardo…»

Tutto il tempo che vuoi - copertina

Tutto il tempo che vuoi

di Francesco Gungui
Giunti
ebook 8,99€
cartaceo 12,67€



«Quanto?!»
«Una settimana. Vado a comprare il test e poi ti chiamo.»
Il messaggio arriva mentre sto tornando dalla pausa pranzo e prima di una lunga serie di riunioni e appuntamenti che mi terrà occupato fino a sera.
Lo rileggo tre volte in ascensore, la terza sottovoce, come faccio con le mail importanti prima di spedirle, e il risultato è che il toast già freddo che stavo ingurgitando mi si pianta in gola provocandomi un attacco di tosse con conseguente fontana di briciole sputacchiate sullo specchio.
Lucia è incinta.
Forse, sicuramente, non lo so, ma lo scoprirò tra poco.
Le porte dell’ascensore si aprono e scappo fuori, supero la macchinetta del caffè e attraverso al trotto il corridoio che taglia in due l’open space. Un labirinto in compensato verde delimita i diversi cubicoli di editor, redattori e grafici, ma l’impressione generale non è squallida perché lo skyline di libri impilati sopra gli scaffali, sui tavoli e a terra, crea un’atmosfera calda da vecchia caotica libreria.
Chissà se a mio figlio piacerebbe questo posto. Chissà se sarebbe orgoglioso di raccontare ai suoi amici che lavoro fa il suo papà.
Lungo il tragitto verso il mio ufficio saluto i colleghi in base al livello di amicizia, confidenza, simpatia reciproca, subalternità, con la gamma di espressioni e parole adatte: un sorriso a labbra strette per i colleghi, un asciutto «buongiorno» per i superiori, strette di mano per autori e agenti commerciali.
Al termine di questo rituale quotidiano, mi rintano ansimante nel mio ufficio, un dignitoso e invidiato appezzamento di quattro metri per quattro tutto per me, con tanto di ficus accanto alla finestra e due sedie aggiuntive per riunioni ristrette. Tre librerie costituiscono le pareti, mentre il quarto lato è occupato da un’ampia vetrata, sulla quale al momento scivola la pioggia torrenziale di un tardivo temporale estivo. Oltre il muro di pioggia si intravede il laghetto artificiale che circonda l’edificio.
Accendo il computer, apro la pagina di google e digito in rapida sequenza una serie di domande idiote: una settimana di ritardo, sono incinta? Incinta al primo colpo? Cosa deve fare un uomo quando scopre che la sua fidanzata è incinta? Mi ritrovo a navigare in un mare in tempesta di siti per famiglie, forum femminili, negozi di vestiti usati per bambini e sportelli psicologici virtuali per donne alle prese con la gravidanza.
Il telefono squilla salvandomi da un più che probabile naufragio.
«C’è qui Paolo Serafini» annuncia Chiara con tono scazzato.
«Dice che non ha un appuntamento.»
«E infatti non ce l’aveva.»
«Che faccio?»
«Digli di venire.»

L’arrivo imprevisto di Paolo Serafini mi riporta in parte coi piedi per terra ricordandomi le incombenze del mio pomeriggio. 

Così scorro rapidamente sei delle cinquantaquattro mail che ho ricevuto durante la pausa pranzo, ma la mia mente è altrove, persa tra improvvisi flashback della mia infanzia, proiezioni della mia vita futura e ipotesi speculative sul mio ruolo di padre, fermo ma flessibile, presente ma non opprimente, creativo ma anche tradizionalista all’occorrenza. La verità è che non ho idea di chi sarò, di come mi comporterò, di cosa succederà nel momento in cui saremo in tre. E in fondo non mi interessa nemmeno saperlo ora.
È quello che voglio. E questo mi basta.
L’ombra di Paolo si allunga sulla moquette rossa, accompagnata dall’odore dolciastro dei vestiti bagnati e della pipa.
«Vieni, vieni, Paolo» gli dico andandogli incontro. Ci stringiamo la mano e gli faccio cenno di sedersi.
«No, no, sto in piedi, anzi, scusa l’improvvisata. Avevo un appuntamento con quella dell’ufficio stampa e sono passato a salutarti.»
«Gloria?»
«No, Marina, mi sembra.»
«Mani grasse o scarpa col tacco?»
«Non ci ho fatto caso.»
«Come non ci hai fatto caso? Proprio tu» lo prendo in giro bonariamente. «I dettagli sono importanti. Sono quelli che…»
«Rendono credibile un’invenzione. È vero, è vero.»
Paolo ha l’aria distratta, si guarda attorno mentre mi parla e non accenna a togliersi la giacca. L’ombrello fradicio continua a gocciolare sulla moquette accanto al cestino, dove si è formata una chiazza più scura.
«Dai, siediti che guardiamo i dati» gli dico e questa volta mi asseconda.
Apro il server, digito il suo nome e compare un elenco con i suoi tre libri. Clicco su quello più recente e attendo che il programma carichi la pagina.
«Di quand’è quella?» chiede Paolo indicando una foto appesa alle mie spalle. Ci siamo io e un mio vecchio autore su un palco. Lui beve a canna il liquore dello Strega e io sto battendo le mani.
«Cinque anni fa, forse sei, non mi ricordo. Ecco, ho i dati. Sono… milleottocento copie. In due mesi non è male, sei partito meglio dell’altra volta.»
Annuisce, ma si vede che non è convinto. «Speravo qualcosina in più.»
Il suo sguardo si abbassa su “La Lettura” del Corriere in bella vista sul tavolo in mezzo a noi. Apro il giornale e lo faccio scivolare verso di lui.
«L’hai letto? Mezza pagina. Ho scritto un messaggio questa mattina alla Tagliaferri per ringraziarla. “Serafini non sbaglia un colpo. Onesto e spietato nel suo affresco eccetera eccetera…”»
Paolo non si mostra né colpito né lusingato. Sfoglia qualche pagina e si ferma a quella delle classifiche.
«Questi qui quante copie vendono?» chiede indicando gli autori della top ten.
«Tante.»
«Tante quante?»
«Centomila, duecentomila. Dipende.»
Per alcuni secondi rimaniamo in silenzio. Paolo infila distrattamente l’ombrello dentro il cestino della spazzatura e si appoggia coi gomiti sul tavolo.
«Sono un po’ in crisi, Franz» ammette finalmente, svelando in parte il motivo di questa visita improvvisa.
«Eh, lo vedo, ma perché?»
«Non lo so. Questo è il terzo libro. Il primo è andato com’è andato. Il secondo ha fatto qualche numero in più, ma i lettori me lo hanno stroncato. Questo piace a tutti, eppure…»
«Eppure cosa? Questo piace a tutti.»
«Però vende milleottocento copie.»
«Non sono poche. E tu ti stai costruendo un bel pubblico di affezionati.»

«Come sta tua moglie?» mi chiede, cambiando bruscamente argomento.

«Non siamo sposati.»
«Sì, certo, intendevo… la tua compagna?»
«Compagna non fa un po’ seconde nozze over sessanta?»
«Come la devo chiamare?»
«Lucia. Sta bene, grazie.»
«Salutamela.»
«Lo farò.»
«Senti, invece, ma per quella cosa là?» mi chiede Paolo sfoggiando un cauto sorriso.
«Quale?»
«Il romanzo erotico.»
Lo fulmino. «Lo sai cosa penso.»
«È vero, e infatti io ho seguito i tuoi consigli e ho riscritto le prime cinquanta pagine.»
«E hai fatto un buon lavoro, sul serio, ma qui il discorso è un altro. Perché vuoi pubblicare quella roba? È una porcata. E lo sai anche tu.»
«È una porcata che può farmi vendere un sacco di copie.»
«Quindi è questo il punto? Vuoi entrare in classifica?»
«Certo che lo voglio! Franz, a me piace quello che scrivo e ti sono pure grato per tutto quello che fai per me, gli articoli e tutto il resto. Ma io ho bisogno di soldi, soldi veri, io con le royalties mi ci sto pagando le vacanze al mare, ma mi ci voglio comprare la casa coi libri.»
Ci guardiamo negli occhi in silenzio, sul sottofondo ipnotico del ticchettio di centinaia di dita che battono sulle tastiere. Sappiamo entrambi che non esiste una buona battuta per uscire da questo dialogo e abbiamo già sfiorato il litigio un paio di volte.
Così ci accontentiamo di questo silenzio pieno di domande alle quali risponderemo un’altra volta.
Poco dopo, ci salutiamo con le classiche formule di rito: «su quella cosa ci aggiorniamo» e «ne riparliamo con calma, magari ci vediamo a pranzo» o ancora «tu come sei messo questa settimana?». Ma mentre ci facciamo queste promesse, la mia mente è già altrove, tutta rivolta verso un nuovo capitolo della mia vita. Mando un messaggio a Lucia.
«L’hai fatto?»
«Non ancora. Ti scrivo appena sono a casa.»

Lucia all’inizio non era molto interessata ad avere figli.

Non che escludesse a priori l’idea, ma tra i due ero sicuramente io quello più deciso. Ho impiegato cinque anni a convincerla, anche se lei non ammetterebbe mai il mio ruolo in questa decisione e sosterrebbe, come ha già fatto una volta durante una cena tra amici, di aver capito che era arrivato il momento giusto.
Le mando un messaggio.
«Novità?»
«Sono in negozio adesso.»
«Ma non stavi andando a casa?»
Non risponde, costringendomi a visualizzare un possibile scenario futuro: sa già che è incinta, ma non me lo vuole dire al telefono. Me lo dirà stasera, mi aspetterà in piedi dietro la porta, con il test di gravidanza in mano e un sorriso gigante e commosso. Magari farà anche un paio di saltellini infantili mentre io lascerò cadere la borsa a terra e la abbraccerò.
Quasi troppo, penso.
Magari tolgo la borsa che cade a terra, quindi: mentre io lascerò cadere la borsa appoggerò la borsa a terra e la abbraccerò. Ma chi se ne frega di ’sta borsa poi? È un dettaglio inutile. Quindi: mentre io lascerò cadere la borsa appoggerò la borsa a terra e la abbraccerò.
Che poi un abbraccio… troppo prevedibile. Un ironico cinque? Un bacio sulla bocca? Un pianto a dirotto?
Mentre io lascerò cadere la borsa appoggerò la borsa a terra e la abbraccerò… non lo so.
Non ho idea di come reagirò perché c’è un limite alle esperienze che si possono raccontare non avendole mai vissute direttamente. Parlate di quello che conoscete, lo dico sempre ai miei autori. L’immaginazione, a patto di essere dotati di una buona fantasia, è direttamente proporzionale all’esperienza. Non devi toccare il fuoco per sapere che brucia, ma devi bruciarti per poterlo raccontare.

Quarta di copertina
"Tutto il tempo che vuoi" di Francesco Gungui, Giunti, 2017.

Francesco Gungui con "Tutto il tempo che vuoi" ci regala un romanzo fresco, ironico, intelligente, che si interroga sul precario equilibrio tra le aspettative che culliamo e quello che la vita, di testa sua, ci apparecchia di fronte e sul fatto che a volte, proprio come si corregge la trama di un libro, sta solo a noi mettere mano alla nostra storia per farla funzionare.
Un mutuo per un bilocale in centro, un lavoro da editor in un grande gruppo editoriale, una fidanzata di lungo corso, il progetto di un figlio.
Per Franz, 36 anni, la vita, almeno sulla carta, sembrerebbe avviata sui binari giusti. Fino a che tutto crolla all'improvviso: il suo capo gli dà il benservito per aver rifiutato un romanzo erotico che sta scalando le classifiche per la concorrenza, mentre a casa Lucia lo aspetta in lacrime.
Di punto in bianco Franz è costretto a inventarsi un piano B e ripartire dal via.
Unica àncora di salvezza: la passione per la cucina. Da ghostwriter a ghostchef, da giovane uomo in carriera ad affittacamere, fino all'incontro con Camilla, madre divorziata di un ragazzino preadolescente, e ancora scottata dalla sua ultima relazione.
Ma proprio quando le cose sembrano sul punto di raddrizzarsi, un altro colpo di scena rischia di far saltare completamente i piani di Franz...

★★★★★

Il buon giorno si vede dal mattino, dicono, e un buon incipit e una copertina accattivante possono essere il perfetto bigliettino da visita di un libro.
Secondo voi, quante stelline si merita il biglietto da visita di questo libro?

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