Gli scrittori della porta accanto

La soffitta sul lago, di Viola Shipman: incipit

"La soffitta sul lago, di Viola Shipman - Copertina

Incipit #130 «Credo sia l’ultimo scatolone, tesoro. Ti serve qualche minuto da sola?»


La soffitta sul lago

di Viola Shipman
Giunti
ebook 8,99€
cartaceo 12,67€



Mattie Tice fece correre lo sguardo all’interno della stanza, fissò suo marito Don e infine annuì.
Come posso dire addio alla casa che amo quando non riesco nemmeno più a parlare?
Dopo quasi cinquant’anni insieme, Don sapeva leggerle d’istinto nel pensiero. Si avvicinò, si inginocchiò davanti alla sedia a rotelle e si piegò fino a sentire sul viso abbronzato il solletico dei capelli biondo platino della moglie.
«Sarà sempre la nostra casa sul lago» sussurrò. Il suo alito era dolce come il latte macchiato al caramello di cui era goloso, soprattutto quando era stanco. «La nostra casa è dove siamo.»
Mattie capì che voleva consolarla, ma era troppo abbattuta per trarre conforto dalle sue parole. Aprì la bocca ma, anche se avesse urlato, nessuno l’avrebbe udita.
La mia voce si sta indebolendo.
«Ripeti, cara. Fallo per me.» Don sollevò il piccolo microfono che le penzolava davanti al viso.
«Tutte... cazzate» disse Mattie a fatica.
Don rise della sua irriverenza e la baciò sulla guancia.
«Lo so. Mi dispiace... so che detesti i luoghi comuni.»
«Sai cosa si dice sulla morte e sui traslochi» replicò Mattie, una parola distorta alla volta. «Molto stressanti.»
La parola «morte» restò sospesa nel silenzio del cottage vuoto e rimbombò nella mente di Don.
Lui sorrise e si morse l’interno della guancia: l’unico modo in cui riusciva a impedirsi di piangere in momenti come quello.
Massaggiò le spalle della moglie.
«Anche le tasse rientrano nella stessa categoria. So quanto è difficile, amore mio.»
Mattie inclinò la testa verso destra fino a toccargli il palmo.
È un uomo caldo, dentro e fuori.
«Non affliggerti» lo consolò, intuendo ogni sua emozione.
«Sono una donna adulta.»
Sua moglie era la persona più forte che Don avesse mai conosciuto e da cinque anni quella forza la aiutava a convivere con la SLA.
Ma ora non poteva più abitare nella sua amata casa sul lago.
È troppo grande. Mattie si guardò intorno. Il cottage apparteneva alla sua famiglia da quando lei aveva dieci anni.
Due operai dell’impresa di traslochi scesero rapidi la scala angusta reggendo uno scatolone. Mabel, l’adorata meticcia dei Tice, abbaiò con disappunto.
«Pensavo fosse tutto!» esclamò Mattie prima che uscissero dalla porta. «Che cosa c’è lì dentro?»
I due giovani – spalle larghe e torace sporgente – si bloccarono, incapaci di decifrare le sue parole.
«Vuole sapere cosa c’è lì dentro» spiegò Don.
«Certo, signora!» gridò uno dei due, che forse aveva vent’anni.
Si avvicinò, facendo segno all’amico di seguirlo, e si fermò davanti a Mattie. «Vuole vedere?»
Con grande sollecitudine posò lo scatolone a terra e lo aprì in modo teatrale, come se dovesse mimare una fiaba per un gruppo di bambini dell’asilo.
Don dovette trattenersi per non alzare gli occhi al cielo.

Le persone si rivolgevano a Mattie come se fosse una poppante, oppure sorda.

Urlavano, cantilenavano, erano nervose e a volte arrivavano a inventare un linguaggio tutto loro.
Perché la gente è sempre così a disagio in presenza di un disabile? si domandò tra sé e sé, innervosendosi. Ha la SLA! Per quanto possa sembrare impossibile, il suo cervello è forte quanto il suo corpo è debole.
Ma non disse niente di tutto questo. Fece un sorriso educato e restò in silenzio: sua moglie odiava le scenate.
Lo scatolone era pieno di grossi album di ritagli. Il giovane ne tirò fuori uno e lo posò sulle ginocchia di Mattie. Don si affrettò ad aprire il vecchio volume cartonato.
«I miei fiori» disse Mattie. «Oh!»
Aveva creato quegli album nel corso degli anni, documentando lo sboccio di ogni fiore che le avevano regalato: nomi comuni accompagnati da quelli latini, colori, date in cui li aveva ricevuti e piantati.
Accanto alle annotazioni aveva dipinto un acquerello per ogni esemplare. Anni dopo, quando ormai la pianta era cresciuta, ne aveva aggiunto un secondo che la rappresentava in piena fioritura.
Gli album erano stati anche la sua firma professionale: Mattie consegnava ai clienti elaborati disegni dei suoi progetti e, a distanza di anni, tornava da loro – spesso senza preavviso – per dipingere i giardini rigogliosi che aveva ideato. La sua clientela comprendeva noti imprenditori, politici, attori famosi e musicisti.
La terra ci unisce tutti, pensò.
Passò un dito tremante sull’acquerello di una peonia bianca con la parte interna della corolla rosa, uno dei suoi fiori preferiti.
Tornò indietro nel tempo. Adesso poteva sentire le sue mani nella terra e la sintonia con la natura.
Allora riuscivo a sentire.
«Grazie» disse all’improvviso e Don chiuse immediatamente il libro. «Sola... adesso... per favore.»
«Certo» replicò Don. «Facci sapere quando sei pronta.»
Nonostante il raffinato accento di città, Mattie captò ancora una vaga cadenza dell’altopiano d’Ozark. Senza che Don se ne accorgesse, quell’inflessione riemergeva quando era sotto tensione. Lui cercava di nasconderlo, ma si tradiva con la parola «pronta», che usciva sempre in tre ondate: «pr-on-ta».
«Vai.» Lei fece un sorriso forzato.
Spesso Don era l’unico che la capiva senza doversi concentrare troppo. Conosceva i suoi timbri e i suoi ritmi vocali, persino ogni suo borbottio, rantolo, passaggio di tonalità, colpo di tosse. Guardandola negli occhi nocciola – screziati da pagliuzze verdi che gli ricordavano le alghe che ondeggiavano sulle dune di sabbia intorno al lago Michigan –, Don riusciva quasi a leggerle nel pensiero.
La baciò sulla fronte, indugiando un secondo per inalare il suo profumo.
Odora sempre di sole.
Mattie staccò appena il capo dal poggiatesta per guardare suo marito – ancora così giovane, forte e pieno di vita – che usciva dal cottage. Quando le passò davanti, la ghirlanda primaverile appesa alla porta gli disegnò un’aureola gioiosa sopra la testa.
Prima che il battente si chiudesse, Mattie riuscì a udire un coro di cinguettii. Don le diceva sempre che la sua voce, anche adesso, assomigliava al canto di un uccello.
Ancora melodiosa, ripeteva ogni giorno.
Mattie premette l’indice destro sui comandi della sedia a rotelle e disegnò un lento cerchio all’interno del salotto, poi spinse il joystick e si fermò davanti alla finestra panoramica affacciata sul lago.
Il vetro era appena accostato. «Per far uscire l’aria viziata e i fantasmi» aveva scherzato Mattie poco prima. Chiuse gli occhi, ascoltando il sibilo della brezza che soffiava dall’acqua verso le dune e, da lì, verso la terraferma. Alzò le palpebre e girò la testa a sinistra, guardando le peonie, la digitale, il delfinio e i papaveri gialli che danzavano e l’erba che ondeggiava. Quando finalmente il venticello la raggiunse, le increspò il colletto della camicia bianca e le scompigliò i capelli.
Ruotò il capo verso destra e vide suo marito che caricava decine di vasetti nel retro del furgone per «diversamente abili».
Le si spezzò il cuore.

È tutto quello che mi resta? Piante da vaso... come me.

Quando le avevano diagnosticato la SLA, la sua vita all’aria aperta e la sua carriera di architetto paesaggista erano svanite in un lampo.
Per anni aveva lavorato da sola nel suo giardino, nel cortile dei suoi clienti o nello studio in soffitta, che ormai le era diventato inaccessibile. Quelli erano stati i suoi luoghi privati.
Adesso, invece, non era mai sola: tutti le volteggiavano intorno come fantasmi, preoccupati per ogni respiro, ogni colpo di tosse, ogni sorso d’acqua.
Mai più niente che attecchisca, che cresca, che sbocci. Sono inchiodata per sempre su questa sedia, pensò battendo i pugni sui braccioli.
Si spostò dal salotto alla sala da pranzo, con Mabel alle calcagna.
Si fermò al centro della stanza, dove l’imponente tavolo aveva troneggiato a lungo. Nella testa le risuonarono le voci della sua famiglia durante i festeggiamenti passati: anniversari, compleanni, feste del Ringraziamento, 4 luglio.
Passò in cucina e ripensò alle cene, ai biscotti e ai cestini da picnic che aveva preparato. Le piastrelle vintage azzurre che aveva acquistato da Pewabic Pottery – lo storico laboratorio di ceramiche del Michigan – riflettevano i raggi del sole e inondavano il locale di una luce calda.
Andò nel tinello affacciato sul lago e fu investita dall’odore del fumo che usciva dal camino. Sorrise vedendo gli splendidi sassi levigati – raccolti da suo padre e da Don sulla riva del lago Michigan – che circondavano il focolare.
Ricordò la prima volta in quella casa – una gelida sera di giugno – quando suo padre aveva appena acquistato il cottage.
Ignorando che alcuni tipi di legno erano fatti per bruciare e altri no, aveva acceso il fuoco con i rami di betulla che aveva trovato nel bosco e per poco non aveva incendiato tutto.
Mattie guardò il quadrato sbiadito sopra la mensola del camino. Decenni prima aveva incorniciato per suo padre una riproduzione di The Firewood Poem, ed era in grado di recitarla verso per verso anche se ormai non c’era più.

...Ceppi di betulla e di abete ardono troppo in fretta,
divampano splendenti e si spengono in mezz’oretta...
Ma il frassino verde o il frassino marrone
son degni d’una regina con tante corone.
Il pioppo un fumo acre dà
che gli occhi e la gola bruciare ti farà.
Il legno di melo profuma la magione,
quello di pero odora come fiori a profusione.
I ceppi di quercia, se vecchi e asciutti,
tengono il freddo dell’inverno lontano da tutti,
ma il frassino umido o il frassino secco, da’ retta a me,
riscaldano persino le pantofole di un re.


Mattie si voltò verso la veranda coperta che dava sull’ampio giardino, sul patio e sulla piscina.

Le felci giganti si schiudevano ovunque, come ballerine sonnolente che si stiracchiano dopo il lungo letargo invernale. Ammirò il lago, la lontana costa sabbiosa del Michigan e l’orizzonte dell’acqua ammantato di nuvole che assomigliava a un miraggio.
Molto Cime tempestose. Mi mancherai.
Osservò le raffiche che agitavano i rami e le tenere foglioline degli aceri. All’improvviso una folata si alzò dal lago e spazzò la scogliera, portando con sé una fragranza che le aggredì le narici. Chiuse gli occhi e inspirò.
Il profumo del cedro.
Con il cuore che accelerava di colpo, fissò il tronco rossiccio del vecchio albero che si stagliava sul limitare del giardino.
Quanto tempo è passato? Cercò di ricordare quanti anni avesse quando aveva preso un alberello a casa dei suoi genitori a St. Louis e l’aveva trapiantato lì con suo padre.
Le fronde si protendevano verso il cielo. Il vecchio cedro, con i rami bassi ormai radi, creava un netto contrasto con la flessuosa betulla bianca che Mattie aveva piantato molto tempo prima. Ma il cedro aveva una grazia inconfondibile.
Proprio come me, rise.
Sollevò il naso e annusò di nuovo l’aria, imitata da Mabel.
Senza accorgersene, si avvicinò alla zanzariera.
Quel profumo scatenò dentro di lei qualcosa di potente, ancestrale, indimenticabile.
ricordi le turbinarono nella mente e d’un tratto udì la voce di suo padre.
«Papà, secondo te quanto diventerà grande?» aveva chiesto Mattie quando avevano piantato il cedro.
«Quanto sono grandi i tuoi sogni e le tue speranze?» aveva ribattuto lui, con la pala in mano.
Il cuore le batté ancora più forte e le salirono le lacrime agli occhi. Diede la colpa alle allergie, ma sapeva di sbagliarsi.

Quarta di copertina
"La soffitta sul lago" di Viola Shipman, Giunti, 2017.

Immersa in un bosco di betulle bianche e inondata dal profumo di un cedro secolare, la vecchia casa di famiglia sul lago Michigan è da sempre il rifugio di Mattie.
L'ampio focolare in soggiorno, la cucina dalle piastrelle azzurre, la soffitta in cui disegnava magnifici giardini: tutto risuona di voci e ricordi felici. Ma da tempo Mattie lotta contro un destino avverso, con il sostegno e l'amore di suo marito Don, accanto a lei da cinquant'anni.
Finché all'improvviso nella loro vita irrompe Rose, una ragazza madre che per sbarcare il lunario accetta un posto da badante, insieme alla figlia Jeri, una bambina di sette anni dai ricci ramati e dall'incredibile vitalità.
E in mezzo allo scompiglio portato dalle nuove arrivate, Mattie e Don capiscono che era proprio questo che avevano sempre desiderato: una grande, chiassosa famiglia.
Qualcuno a cui affidare i ricordi più cari: una bambola di pezza, un ciondolo di vetro, un album di ritagli... Ogni oggetto una storia, un momento di allegria. E forse per Mattie, Don e Rose, una nuova chiave per guardare la vita in modo diverso.

★★★★★

Il buon giorno si vede dal mattino, dicono, e un buon incipit e una copertina accattivante possono essere il perfetto bigliettino da visita di un libro.
Secondo voi, quante stelline si merita il biglietto da visita di questo libro?

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