Gli scrittori della porta accanto

[Libri] Ponsacco - Los Angeles, di Valentina Gerini, incipit #138

Ponsacco - Los Angeles. Sulle tracce di Bruce Springsteen, di Valentina Gerini - Libri,scrittori, incipit

Ponsacco è un piccolo paese di sedicimila abitanti nella provincia di Pisa.

Ponsacco - Los Angeles, di Valentina Gerini - Libri,scrittori

Ponsacco - Los Angeles
Sulle tracce di Bruce Springsteen

di Valentina Gerini
StreetLib
Gli scrittori della porta accanto

ebook 1,49€
cartaceo 10,99€



Lì tutti si conoscono per soprannome, sanno chi sei e che cosa fai. Se un personaggio è strano o insolito, è facile che gli venga costruito attorno un alone di mistero associato a infinite storie tramandate di bocca in bocca, che alla fine non si sa più quale sia vera e quale sia inventata. Questa minuscola cittadina è sprovvista di scuole superiori, così gli studenti sono costretti a frequentare le scuole a Pontedera, conosciuta anche come eterna rivale di Ponsacco. Per giungervi, si ammassano negli autobus alle sette del mattino finché non raggiungono la maggiore età e prendono la patente. Per questi ragazzi possedere la macchina è un po’ come possedere le chiavi del mondo.
Quindi immaginate Ponsacco nell'estate 2005, quando Facebook e WhatsApp ancora non erano arrivati. I giovani erano soliti fare gli squilli e le uniche chat diffuse erano quelle di MSN Messenger. Però si prediligeva ancora il contatto reale, faccia a faccia. Ogni gruppo di amici, a seconda dell’età e della scuola frequentata, aveva un punto di ritrovo. Muretti, giardinetti, parcheggi, strade sterrate, panchine, cespugli, garage, sale gioco, bar. Qualunque fosse il posto scelto e marcato come territorio del gruppo, le serate ivi trascorse erano un vero spasso.
E proprio in quegli anni, a Ponsacco, alla fine degli esami di maturità, un affiatato gruppo di amici si ritrova ad affrontare una situazione scomoda che li porta a percorrere strade differenti, inseguendo ognuno il proprio sogno, con un denominatore comune: la musica di Bruce Springsteen. Sono Valeria, Fabiana, Marisa e Giulio e si conoscono sin dai tempi delle elementari. Come molti giovani, quando sono in compagnia, hanno la risata facile e il vizio di alzare un po’ troppo il gomito.
Valeria è la più pazza e istintiva del gruppo. Sogna di partire per un lungo viaggio negli Stati Uniti. Spera di realizzare il sogno americano in California e spera di condividere l'esperienza con i suoi amici. Sotto la sua scorza dura si nasconde una ragazza romantica e tutto sarebbe perfetto se accanto a lei ci fosse il suo ex fidanzato, Pepe, un musicista bello e dannato che l’ha fatta tribolare fino a poco tempo fa. Fan sfegatata di Bruce Springsteen, con una passione immensa per la musica, fa delle canzoni che parlano della California il sottofondo musicale della sua vita.
Fabiana è quella più stravagante, decisa a diventare una famosa stilista. Tra colori di capelli improbabili, giornate agli scout e litigi con i genitori, decide di trasferirsi a Roma per raggiungere il successo. Con l’università come obiettivo finale e uno strambo lavoro in una chat del televideo che le fa fare strani incontri, si barcamena nel taglia e cuci su commissione di abiti da lei creati. La sua vita sentimentale è molto allegra, non ha tempo per relazioni stabili e si diletta solo in piccole avventure.
Marisa è la più tranquilla dei quattro, adora gli animali ed è sempre pronta a porgere l’altra guancia. Non ha una grande voglia di studiare ma si iscrive ugualmente all’università. Non si preoccupa molto della vita e del futuro: studia perché lo fanno tutti, si sveglia al mattino perché bisogna svegliarsi, lavora perché c’è da lavorare. Ma lei, in tutta onestà, passerebbe le sue giornate a letto in compagnia dei suoi innumerevoli gatti.
Giulio è l’unico maschio del gruppo e considera le tre amiche come tre sorelle. Sogna fin da piccolo di fare l’avvocato. Si trasferisce a Milano per intraprendere gli studi alla facoltà di legge più importante d’Italia. Ha un’intelligenza fuori dal comune ma si lascia tentare e travolgere dalla trasgressiva e intensa vita notturna milanese, alcol e droghe comprese. Questo cambiamento lo porta a contatto con una realtà difficile da affrontare per uno come lui: i festini universitari.
È una storia bizzarra che racconta di amicizia, amori, pazzie, divertimento. Quattro ragazzi che entrano a passo teso nell'età adulta, che vogliono cambiare e a volte ci riescono, altre invece no. Quattro amici che si immaginano un futuro che li sorprenda. Sognano di diventare avvocati, stilisti, veterinari, musicisti, oppure soltanto viaggiatori sulle note delle più celebri canzoni che parlano del sogno americano.
Ciò che verrà d’ora in poi narrato, con l'aiuto di qualche termine del vernacolo pisano che meglio rende l'enfasi del discorso, non è puramente frutto della mia fantasia bensì una rielaborazione estrema di avvenimenti accaduti durante i primi anni 2000. Lo considero un tributo alle esilaranti serate trascorse con i miei amici del liceo ed è a loro che lo dedico.

La voce di quel figo di Bruce Springsteen echeggia nelle mia testa con le parole di Waitin’ on a sunny day.

Mi sono addormentata con le cuffie nelle orecchie, il lettore è incantato su questa canzone da chissà quanto tempo. Mi giro dall'altra parte, immersa in un sonno che non è un sonno ma un riposo travagliato a causa dei fiumi di alcol che scorrono dentro le mie vene. Ieri abbiamo fatto serata con il mio gruppo di amici. Amici che per me sono come fratelli tanto che mia madre li considera proprio come figli. Si fa in quattro per farli sentire a loro agio quando vengono a casa nostra e le piace che loro la considerino una di famiglia. Rompe un po’ le scatole, come tutte le mamme, ma è così gentile e carina che non si può non amarla. Si chiama Sirvana, con la erre al posto della elle. I miei amici all’inizio non ci credevano. E invece si chiama proprio così. Il suo nome è la versione pisana del classico Silvana. Probabilmente quando venne registrata all’anagrafe era presente una persona che scriveva proprio come parlava: in ponsacchino. Lei non se ne è mai fatta un problema. Firma e porta questo suo nome con grande orgoglio. Mio padre invece si chiama Claudio, ma tutti in paese lo conoscono come il figliolo di Sego. Sego era suo padre, così chiamato perché magro come un grissino. Dunque quando nacque lui, in automatico gli fu affibbiato il soprannome il figliolo di Sego. Se invece di nascere a Ponsacco fosse nato in America sarebbe probabilmente stato chiamato Sego Junior.
Ma torniamo a ieri. Con Giulio, Fabiana e Marisa abbiamo trascorso la serata in macchina a bere e ascoltare musica. Ci siamo diplomati da poco e siamo di fronte al grande bivio. Le nostre strade presto si divideranno perché abbiamo scelto scuole diverse in città diverse. Io, a dir la verità, non ho scelto nessuna scuola. Voglio trovare un lavoro a Ponsacco, il paesino in cui sono cresciuta, nella provincia di Pisa, e intraprendere il viaggio della ma vita.
Ieri dovevamo festeggiare il compleanno di Marisa e lasciarci alle spalle il passato, le scuole superiori, gli amori, le delusioni. Volevamo accogliere il futuro che ci sta aspettando, quel futuro tanto sognato, ma che ci dividerà per sempre. Il grande salto lo abbiamo appena fatto: gli esami di maturità si sono conclusi e li abbiamo passati tutti. Abbiamo ottenuto voti differenti, ma ciò che importa è che siamo stati tutti e quattro promossi. Per tutto l’anno scolastico abbiamo fantasticato su come sarebbe stata la nostra vita dopo la scuola, come sarebbe stato non vedersi ogni giorno, non veder sbucare la macchina rossa di Giulio dal fondo della strada pronta a portarci tutte a scuola, come avremmo fatto ad abituarci al cambiamento. Saremmo rimasti amici? Ci saremmo dimenticati gli uni degli altri? Ci saremmo visti ogni tanto? Siamo terrorizzati al pensiero di perderci. Ma una cosa sappiamo essere certa: siamo così uniti e ci conosciamo da così tanto tempo che, qualsiasi cosa succederà nelle nostre vite d'ora in avanti, non perderemo mai definitivamente i contatti. Ci siamo ripromessi che almeno una volta l’anno, per ogni Natale, ci ritroveremo a cena per trascorrere una serata come ai vecchi tempi, raccontandoci tutto ciò che durante quell’anno abbiamo vissuto.
Quindi ieri sera, schiavi dei festeggiamenti, siamo passati dal rum e pera al Long Island senza rendercene conto e la concezione del tempo si è distorta. Io ho iniziato a strimpellare la mia chitarra e abbiamo cantato a squarcia gola qualche pezzo di Springsteen finché non riuscivo più ad azzeccare una nota. Ero davvero troppo ubriaca per pizzicare le corde. Il punto di non ritorno l’ho raggiunto quando, cosciente di essere talmente ubriaca da vedere due Fabiana, tre Marisa e un Giulio e mezzo, ho continuato a ingurgitare tutto ciò che transitava davanti ai miei occhi. Ricordo che una bottiglia di Martini è terminata in maniera tanto rapida da chiederci se fosse mai esistita! Ero così ubriaca che quando sono tornata a casa non mi ero resa conto fossero già le sei del mattino. Appena arrivata, mi ero seduta sullo scalino davanti alla porta in meditazione. Avevo le gambe che mi tremavano e, con la testa tra le mani, me ne stavo accovacciata sul gradino, pensando a come avrei potuto tirarmi su, mettermi in piedi e comportarmi come se niente fosse. Se i miei mi avessero beccata ubriaca mi avrebbero massacrata questa volta! Nella mia mente scorrevano immagini sconnesse, senza un filo logico si susseguivano pensieri dedicati ai miei amici, brevi flash della serata appena passata, il fighissimo zaino che avevo comprato pochi giorni prima per il mio viaggio d’avventura, quel bastardo di Pepe… Pepe è il soprannome di Giuseppe, il ragazzo con il quale la travagliata storia si è conclusa tra grida e calci. Mi ha tradita, anche se continua a sostenere il contrario. Lui e quella sua musica di merda! È convinto che prima o poi diventerà un chitarrista affermato e, quando stavamo insieme, preferiva suonare nello scantinato di Paolo con tutta la sua band invece che uscire con me. Poi ci si sono messi di mezzo dei messaggini. Fino a pochi anni fa si viveva tutti una vita tranquilla, senza cellulare. E se ce lo avevamo lo usavamo solo per telefonare. Poi sono arrivati i messaggi di testo: 160 caratteri in cui concentrare un pensiero, una frase, a volte importante, decisiva, altre volte una semplice domanda. Quante volte ho cancellato ciò che stavo scrivendo per paura di non aver espresso bene il concetto? E quante volte, da quando anche Pepe si è comprato il cellulare, gli ho controllato i messaggini di soppiatto! Lui andava un attimo al bagno, io prendevo il suo telefono, scorrevo alla sezione messaggi e tac, potevo leggere tutto. Di solito non c’era niente di preoccupante, solo stupidi messaggi dei suoi amici musicisti per organizzare le serate musicali. Fin quando, un pomeriggio, ho trovato i messaggi di una certa Erica che diceva quanto fosse stato bello passare del tempo con lui. Pepe aveva negato. Non era successo niente, lui diceva, niente di niente. Era solo un'invasata che seguiva il suo gruppo e si era fissata su di lui. Mah... Io non gli ho creduto. Perché conservare il messaggio di una che non conta niente? Che fosse vero o meno io due sberle gliele avevo date, a Pepe. Nel dubbio è sempre meglio agire. Quindi per me il tradimento c’era stato. Donna o musica, faceva poca differenza perché sceglieva sempre l’altra invece che me! D’altronde Pepe era di Pontedera e i miei amici mi avevano avvertita fin dall’inizio: tra ponsacchini e pontederesi non scorre buon sangue e una storia d'amore non poteva funzionare. Ma io, testarda come sono, ci ho voluto provare lo stesso. Col risultato che adesso possiedo due belle corna da alce sulla testa. Lui ha tentato di convincermi del suo amore immacolato, ma non gli ho creduto. A niente era servito anche l’album di Bruce Springsteen appena uscito, Devil and dust, con un mazzo di rose rosse. Non bastava regalarmi l’album del Boss per farmi dimenticare l’accaduto. Ci sarebbe voluto ben altro. Forse, e dico forse, se insieme al cd di Bruce avesse reperito anche un suo contatto, un suo numero di telefono, una sua email, allora avrei potuto pensare al perdono.

Bruce è il mio mito e io sogno di incontrarlo. 

Devo incontrarlo prima di morire. È un profeta, un poeta e un gran pezzo di gnocco. Più passano gli anni e più diventa bello. Lui non invecchia, stagiona come il formaggio, decanta come il vino.
Tutto nacque due anni fa, nel 2003, quando andai, con Marisa, Fabiana e Giulio, ad un suo concerto a Firenze. Ci capitammo per caso, l’estate stava aprendo le sue porte, su Ponsacco era planata una cappa d’afa già da qualche settimana e noi, per ovviare alle solite serate di chiacchiere seduti in terra al parcheggio del supermercato, andammo al concerto. Avevamo sentito dire che sarebbe stato un evento stupendo e che era molto atteso dai fan più sfegatati. Noi conoscevamo, sì e no, tre o quattro canzoni. Beh, fu amore a prima vista per me. Un turbinio di emozioni mi ribaltarono lo stomaco, proprio come lo svolazzo delle farfalle al primo innamoramento. La sua carica, la sua grinta, il suo modo di parlare al pubblico così diretto e quasi personale che alla fine, anche se stava guardando un punto indefinito nella massa, a me venne da pensare: “cavolo, sta dicendo proprio a me!”. Improvvisamente avevo avuto un’illuminazione: lui era il mio dio e l’avrei, d’ora in poi, seguito e ascoltato. Nei secoli dei secoli. Amen.
Quella stessa sera, in mezzo a quell’ondata di gente mossa dal vento delle canzoni del Boss, incontrai Pepe. Anche lui era andato al concerto. A differenza nostra però lui era un grande esperto di Springsteen. Era un musicista, lo si capiva guardandolo da lontano e, in quanto tale, era un vero appassionato di qualsiasi genere musicale.

Nel bel mezzo di tutti questi pensieri io ero ancora seduta sui gradini del portone. Pensare a Bruce mi aveva aiutata. Lui, da due anni a questa parte ormai, mi dava la carica ogni mattina. Pensare a Pepe mi aveva innervosita, l’immagine del suo ciuffo ribelle e dei suoi occhioni, leggermente ravvicinati tra loro, mi aveva regalato una certa rabbia che mi aveva, finalmente, spinta ad alzarmi e, con tutta la nonchalance che solo l’alcol può donare, mi ero eretta barcollando e avevo cercato di aprire la porta. 

Quarta di copertina
"Ponsacco - Los Angeles. Sulle tracce di Bruce Springsteen" di Valentina Gerini, StreetLib - Gli scrittori della porta accanto, 2017.

Un paesino di provincia, quattro amici, quattro sogni e due grandi passioni comuni: Bruce Springsteen e le serate alcoliche.
"La nostra amicizia profuma di erba fresca, di campi in fiore, di primavera. Dentro è soffice come il pelo di un gatto, ma fuori ha una corazza croccante come la crosta del pane caldo appena sfornato” - Marisa
“L’ultima cosa che ricorderanno di questa scena è ciò che più mi rappresenta: la chitarra con su appiccicato un adesivo di Bruce Springsteen e il saluto di una che sta andando a costruire il proprio futuro a Los Angeles” - Valeria
“Tra di noi non ci sono mai stati tabù o segreti, o quasi. Loro sono la mia parte femminile, mi fanno vedere sempre l’altra faccia della medaglia e riescono a farmi entrare nella mente delle ragazze” - Giulio
“Ho smesso di bere ogni sera perché tanto al domani ci si penserà domani. No, adesso al domani ci penso oggi e bevo solo se domani non ho niente da fare. Questo, ne sono convinta, vuol dire crescere” - Fabiana

★★★★★

Il buon giorno si vede dal mattino, dicono, e un buon incipit e una copertina accattivante possono essere il perfetto bigliettino da visita di un libro.
Secondo voi, quante stelline si merita il biglietto da visita di questo libro?

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