Gli scrittori della porta accanto

Il cielo pallido della Dublino di Maeve Brennan

Il cielo pallido della Dublino di Maeve Brennan

I luoghi dei libri | Di Ilaria Biondi.  Il cielo pallido di silenzio nella Dublino di La visitatrice, di Maeve Brennan.

Anastasia King ripulì un piccolo riquadro del finestrino e guardò fuori, ma nell’oscurità che sfrecciava via si distinguevano soltanto alcune luci isolate, sfocate dalla pioggia.
È trascorso un mese – feroce e impossibile – dalla morte della madre. Anastasia, indifesa di malinconia e assenze, eppure armata di affilata determinazione, lascia Parigi per tornare nella Dublino della sua infanzia.
Sei anni, dal giorno lontano della sua partenza fatale. 
Dal suo distacco. 
Dalla sua scelta. 
Lasciare il padre, la nonna, la città natale, per seguire la mamma nella capitale francese. 
Lasciare il vuoto dolente e il silenzio buio di una casa consegnata alla regola metallica del disamore.
Fuggire dal respiro soffocante di un’algida non felicità.
Un tempo lungo, e perduto, è trascorso. 
Accenti di memoria tagliati in due dalla scomparsa del padre e della madre. 
Il fiotto amaro della disperazione per la perdita – colto e reso con stile piano, limpido e sommesso dalla superba penna della Brennan – si congiunge con il vuoto affilato del rancore della nonna paterna, del suo impossibile perdono, del suo rifiuto impietoso.
Come uccellino spaurito proteso sul davanzale dei ricordi, Anastasia reclama con docile fermezza il proprio posto. Fra le braccia della nonna, nella sua casa, nella città che l’ha vista crescere.
Tanto è cambiato, nel riflesso frantumato delle ore, dei giorni, degli anni. 
Eppure, tanto è rimasto immutabile.

La visitatrice

La visitatrice

di Maeve Brennan | BUR | ebook 4,99€ | cartaceo 6,72€

La ventenne Anastasia, orfana di entrambi i genitori, torna nella Dublino della sua infanzia. La aspetta la nonna, consacrata all'ossessiva memoria del passato, chiusa in un dolore freddo, ancora incapace di perdonare Anastasia che aveva scelto, alla separazione dei genitori, di seguire la mamma a Parigi. In equilibrio tra amore distorto e amore respinto, crudeltà delle situazioni e tersa limpidezza dei dialoghi, si dispiega tra le due donne un duello di sentimenti tanto intensi quanto controllati, che si snoda fino a un epilogo malinconicamente inatteso, una svolta orchestrata con spietata eleganza.

La casa d’ombra della sua famiglia, dove crepitano l’angoscia controllata e l’amarezza cupa della nonna, sovrana gelida di un regno di latta e fantasmi opachi.
Il giardino buio, affondato in un perenne inverno, con le sue aiuole rigide, severe, vuote, fradice di perenne pioggia, intirizzite da un freddo quieto, tenace, silente.
La panchina vuota, bagnata, inospitale. A ricordare ad Anastasia la spinosa mancanza della madre, che in quello spazio di bruma e solitudine amava rifugiarsi, per sottrarsi allo sguardo perentorio di marito e suocera, alla loro inclemenza tagliente.
Immutata, immutabile, paralizzata è la città tutta, che la distanza di tempo e di geografia non ha potuto scalfire.
Recinto cupo e grifagno.
Cielo quadrato che si svuota senza sosta di dense, infinite, implacabili gocce.
Tetti chiusi d’ardesia, che piovono malinconia.
Piazze mute, avvolte da una luce fioca e sparpagliata, che si arrende al passo sempre uguale di un presente soggiogato da un eterno passato.
Edifici alti, grevi di orme e memorie, coi loro pesanti gradini di pietra.
Alberi incombenti, che succhiano il buio della sera, disabitandosi di luce e chiarezza, vestendosi di stanca e pigra oscurità.
Persone anziane, invecchiate nelle loro abitudini, che trascinano “giornate grinzose e vacillanti”.

Dublino, porta chiusa.

Dublino, soglia inerte.
Dublino, polvere sul cuore e sui gesti, lavata da lacrime di nuvole impenitenti e ostinate.
Dublino, tace.
Dublino, annotta anche una speranza piccola.
Dublino, sorrisi caduti, forse sconosciuti.
Dublino, umida di rancori.
Dublino, avara di consolazione.
Dublino, mancato abbraccio.
Dublino, ventre ingrato e intransigente.
Anastasia, cortesemente rifiutata.
Anastasia, gentilmente invitata ad andarsene.
Dalla casa dove ha vissuto.
Dalla città dove è nata.
In una sorta di fosco continuum, la casa e la città divengono prolungamenti della figura gretta, ostile e impassibile della nonna. Anastasia si muove come un’ospite, una visitatrice mal tollerata in luoghi e affetti agghiacciati, bui, silenti e stantii.
Non c’è posto per la sua freschezza, né per la sua fame d’amore, nel lungo e infinito inverno della città.
Solo il giardino sembra salutarla, regalando al suo sorriso e al suo canto d’addio il giallo tremolante della prima forsizia…

ilaria-biondi

Ilaria Biondi
Laurea in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università di Bologna. Durante il Dottorato di Ricerca in Letterature Comparate vive per lunghi periodi in Francia. Si occupa di traduzione letteraria e critica della traduzione, di letteratura francese e belga (in lingua francese) e letteratura tedesca dell’Ottocento. È appassionata di letteratura fantastica , science-fiction, letteratura al femminile, di viaggio, per l’infanzia e poesia.
Raymond Radiguet. Giovinezza perduta, eterna giovinezza, Delta Editrice.
In canti di versi, Il papavero.


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