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La ruota delle meraviglie: la recensione

La ruota delle meraviglie: la recensione

Cinema | Di Davide Dotto. La ruota delle meraviglie: il ritorno al dramma di Woody Allen. La parola d’ordine è vivere, sfuggire agli ingranaggi devastanti di un sogno dentro il quale ci si ostina a rifugiarsi.

Woody Allen sperimenta in varie occasioni il genere drammatico. Fin dall’inizio desidera mettersi alla prova accantonando la commedia. Strada difficoltosa perché è conosciuto in primis quale autore di testi umoristici e regista comico. Il pubblico non è molto avvezzo ai mutamenti di rotta, lo racconta lui stesso in Stardust Memories (1980).
Concretizzare simili aspirazioni, ed essere preso sul serio, vuol dire dirigere film in grado di sfondare al botteghino, far dimenticare le produzioni più divertenti. Questo comporta uno snervante braccio di ferro tra il successo artistico perseguito da Woody Allen, e quello di mercato al quale tendono i produttori. Eppure niente gli ha impedito di proporre una pellicola all’anno da ben cinque decenni. Al di là di tutto, l’affermazione artistica garantisce nel lungo termine la sopravvivenza anche di opere di minor riscontro finanziario.
Wonder Wheel (La ruota delle meraviglie) è l’esito estenuante di un percorso inteso a ghermire un segreto rincorso da anni. Essendo votato alla tragedia, non è semplicemente un dramma. Parlano da sé i richiami ad Amleto, a Edipo, la scena e il cambio d’abito finali, capaci di proiettarci nel teatro greco. Se il dramma in sé riguarda la natura degli eventi che ciascuno, secondo l’indole, è tenuto ad affrontare, la tragedia impegna la totalità dello spirito e, insieme a esso, una volontà forte nell’assecondare e trascendere il destino stesso.
È una questione di componenti, cosa che Shakespeare sapeva benissimo e Woody Allen ha intuito. Deve essere assente il pagliaccio, quel personaggio sgangherato e zeppo di nevrosi in grado di far soccombere il tragico, smascherando le mira dello Jago di turno. Per non parlare dell’amore, sguarnito della sua missione salvifica che, anzi, si fa fucile, coltello, spada sguainata; dismisura, sregolatezza, follia.
Quando si tratta d’amore, finiamo per essere i nostri peggiori nemici.
Ginny, La ruota delle Meraviglie.


È anche disputa di personaggi impegnati a mostrarsi all’altezza. Non lo era Abe Lucas (Irrational Man, 2015). Il quale presenta elementi spuri e antidoti a un epilogo tragico. A ostacolarlo è l’inadeguatezza, l’inettitudine tipica dei protagonisti dei romanzi novecenteschi. Abe Lucas insegue qualcosa che lo elevi e lo giustifichi. Lo scopre nell’azione irrazionale, assurda. Non una liaison sentimentale, non la battuta di un comico, ma un omicidio che elimini dalla società una persona malvagia.
Avevo ragione a pensare che l’omicidio sarebbe stato un atto di creatività…




La ruota delle meraviglie

REGIA Woody Allen
PRODUZIONE Erika Aronson, Letty Aronson, Edward Walson, Ronald L. Chez, Mark Attanasio, Adam B. Stern
DISTRIBUZIONE Lucky Red
SCENEGGIATURA Woody Allen
FOTOGRAFIA Vittorio Storaro
ANNO 2017

CAST
Kate Winslet, Justin Timberlake, Juno Temple, Jim Belushi, Jack Gore, Tony Sirico, Steve Schirripa, Max Casella, David Krumholtz, Bobby Slayton, John Mainieri





Nella Ruota delle meraviglie le tematiche esistenzialistiche di un Camus o di un Sartre sono trascurate. Le vicende si sviluppano con rigore geometrico, lineare e disperato.

Entra in funzione un marchingegno pronto a stritolare chi si trova al suo interno. Si spezza la speranza di un accomodamento tra sogno e realtà, che renda quest’ultima sopportabile. Qualsiasi adattamento evita gli estremi, propone un equilibrio di massima, sia pur precario. È quello che accade dopo ore trascorse al cinematografo, quando si torna alla vita di ogni giorno:
Tanto era piacevole stare al cinema quanto era mostruoso quello che ti aspettava all’uscita.
Woody Allen
Perfino nelle opere più surreali (La rosa purpurea del Cairo,1985) il confronto (o meglio, la competizione) con la vita reale non viene meno. In fondo è il buon senso, prima che l’istinto, a suggerirlo. Le stesse sceneggiature (di fatto dei manuali di istruzioni) si piegano alla realtà e alle esigenze delle riprese.
Non riesco mai a ricreare sullo schermo le cose che immagino quando scrivo.
Una cosa è sentire i dialoghi nella testa, un altro sentire gli attori.
Si tratta di un presupposto indispensabile per avere il controllo su tutto (non solo sulla propria creazione artistica).
La realtà non è addomesticabile, si può prendere una pausa, ma non le si chiude impunemente la porta in faccia. Tornando a La ruota delle meraviglie, è quanto fa Carolina (Junie Temple), andata in sposa a un pericoloso gangster; è ciò che fa Ginny, la matrigna (Kate Winslet) che, ovviando a una vita priva di prospettive, punta molto sulla relazione con Mickey (Justin Timberlake), un bagnino di Cuney Island il quale, a sua volta, sarà attratto dalla figliastra. Humpty (Jim Belushi), irruente, ingestibile e non meno fragile, alla fine è quello con i piedi per terra, dotato di maggior equilibrio (sebbene precario). Lo stesso può dirsi di Mickey nel suo apparire recalcitrante, in linea con il ruolo di dongiovanni conquistatore.


La parola d’ordine è vivere, sfuggire agli ingranaggi devastanti di un sogno dentro il quale ci si ostina a rifugiarsi: Ginny nel ricordare la precedente esperienza di attrice, crede di poter trasformare (o trasfigurare) l’esistenza recitandola. Solo che gli eventi, nella cruda dinamica di causa ed effetto, hanno il sopravvento in un finale al di fuori della sua portata. Come se il tragico lo si potesse prefabbricare intensificando gli accenti, muovendosi sopra un palcoscenico, nemmeno tanto finto.




Davide-Dotto

Davide Dotto
Sono nato a Terralba (OR) vivo nella provincia di Treviso e lavoro come impiegato presso un ente locale. Ho collaborato con Scrittevolmente, sono tra i redattori di Art-Litteram.com e curo il blog Ilnodoallapenna.com. Ho pubblicato una decina di racconti usciti in diverse antologie.
Il ponte delle Vivene, Ciesse Edizioni.


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