Gli scrittori della porta accanto

Recensione: L'Arminuta, di Donatella Di Pietrantonio

Recensione: L'Arminuta, di Donatella Di Pietrantonio

Libri  Recensione di Elena Genero Santoro L'Arminuta di Donatella Di Pietrantonio, Einaudi, 2017. Un romanzo femminista che solletica la coscienza delle donne e la loro volontà di autodeterminazione, giocando sui vuoti, sul non detto, sulle assenze.

Anno 1975. L’Arminuta, “la ritornata” in dialetto abruzzese, è la storia di una ragazzina di quattordici anni che improvvisamente scopre di non essere la figlia naturale dei genitori che l’hanno cresciuta, ma di appartenere a un’altra famiglia, povera e piena di figli. I suoi veri genitori l’hanno ceduta all’età di sei mesi a un cugino che non riusciva a concepire. Il cognome è lo stesso, nessuna adozione ufficiale è stata mai formalizzata. Così, ad un certo punto, i genitori affidatari decidono di restituirla, per motivi che si chiariranno alla fine, ma che al lettore forse non appariranno comunque giustificabili.

La protagonista, che non ha un nome e viene chiamata solo con l’appellativo di Arminuta, scopre in pochi giorni di essere oggetto di un doppio abbandono.

Il primo da parte della famiglia biologica, che ha accettato di lasciarla andare per garantire un futuro migliore a lei e agli altri numerosi figli. Il secondo, ancora meno comprensibile, da parte della famiglia affidataria che non le spiega neppure le ragioni di quella decisione.
L’Arminuta viene catapultata da una realtà agiata in cui era figlia unica, viveva in una bella casa, frequentava corsi di nuoto e di danza e veniva trattata come una principessa, a un’abitazione misera e parecchio sporca in cui non si lesinano le botte ai figli. Non c’è neppure un letto che la attende e, infatti, per un certo periodo sarà costretta a dormire con la sorella minore Adriana su un materasso puzzolente di urina. All’inizio, il disagio dell’Arminuta si percepisce proprio da questo: l’espediente stilistico è la menzione di tutti gli odori di ascelle, di urina e di genitali, la descrizione dei vomiti e degli attacchi di enterocolite e di tutto ciò che è sgradevole e maleodorante.

I primi capitoli scorrono veloci in questa girandola di puzze e di sudicerie. Poi iniziano gli eventi, nonché una tragedia familiare,  che avvicinerà un po’ l’Arminuta alla famiglia naturale.

Inoltre, l’incredulità della restituzione lascia il posto, nell’Arminuta, a un filo di rabbia e alla sensazione di impotenza per non poter raggiungere Adalgisa, la madre affidataria, la quale, pur continuando a inviare cibo e denaro e a finanziare i suoi studi, fa di tutto per non incontrare la ragazzina, sfugge in ogni modo, forse si vergogna, ha cambiato casa, comunque non ha la forza di darle una spiegazione onesta.
All’inizio, l’Arminuta attribuisce il proprio ritorno nella vera famiglia a una presunta malattia di Adalgisa e quasi giustifica la sua assenza, anzi si preoccupa per lei, teme che la donna sia addirittura morta. Poi pian piano capisce che non è questo il problema e apprende che tutti, intorno a lei, compresa la sorella Adriana, conoscono la verità. La sensazione di essere stata turlupinata è totale.
Con i genitori naturali, appena abbozzati nel testo, l’Arminuta raggiungerà una sorta di equilibrio, pur chiamandoli, dall’inizio alla fine “la madre” e “il padre”, a sottolinearne la distanza. I genitori inizieranno a rispettarla perché lei è una figlia diversa, più colta, meno chiassosa, meno selvatica degli altri. Accetteranno di lasciarla studiare. Ma la confidenza non andrà mai oltre qualche pacca sulla schiena.
La figura che stimola la rabbia ovviamente è quella di Adalgisa, che spinge il lettore a porsi molte domande: come può una donna restituire una figlia che ha cresciuto per quasi quattordici anni? Le voleva davvero bene o cercava in lei una bella bambolina da esibire e di cui potersi liberare in caso di problemi? E allora perché continua a sostenerla finanziariamente? È mossa da senso di colpa?
In compenso l’Arminuta svilupperà un rapporto molto intenso con la sorellina Adriana, che nel testo è caratterizzata benissimo. Magra, coi capelli unti, i modi spicci e diretti e un’intelligenza superiore alla media. È la ragazzina che ha imparato a cavarsela dappertutto. Sarebbe un peccato non fare studiare anche lei.

La ragazzina, le due madri, la sorella: sembra una storia tra donne, ma lo è solo in apparenza. Le figure maschili, pur vissute indirettamente, sono più determinanti di quanto possa sembrare.

I fratelli.
I più tenero è Giuseppe, il più piccolo. È dolcissimo, ma, verrà spiegato, è affetto da un ritardo mentale non meglio specificato, una cosa congenita a cui si è aggiunto il disagio ambientale in cui è cresciuto. Da grande vivrà in una specie di istituto.
Il fratello Sergio: appena abbozzato, sempre mal disposto verso tutti e in particolare verso l’Arminuta.
Il fratello diciottenne Vincenzo: sviluppa per l’Arminuta un’attrazione incestuosa. Non è abituato a considerarla una sorella.
Altri fratelli vengono menzionati in modo generico, non si sa esattamente quanti siano né che nome abbiano, ma sono maleducati, chiassosi, abituati a rubarsi il cibo e le cose perché vissuti sempre nella miseria che li ha portati alla ricerca della sopravvivenza.
I padri. 
Il padre naturale non si discosta molto dalla madre naturale: sono entrambe persone un po’ rudi, di poche parole, poco avvezze a esprimere i sentimenti. Educano col bastone, in un contesto di indigenza e ignoranza. Non sono cattivi, però.
Il padre adottivo: è il grande assente. Riconsegna l’Arminuta e scappa. Si dilegua. Non lo si vede praticamente più, non si interessa della figlia neanche dopo. Smette, con nonchalance, di essere padre. L’uomo che è il motore immobile di tutto il racconto si manifesta solo alla fine, nelle ultime pagine. È il compagno che sembra gentile, ma che rende succube la propria donna tanto da piegarne la volontà e costringerla a fare delle scelte non sentite. È quello a cui la donna debole non riesce a opporsi. È la chiave del mistero, del motivo dell’abbandono.
Pertanto, quella di Donatella Di Pietrantonio non è solo una storia al femminile: è un romanzo femminista, che solletica la coscienza delle donne e la loro volontà di autodeterminazione. Lo fa giocando sui vuoti, sul non detto, sulle assenze, su quanto viene lasciato intendere, ma alla fine raggiunge il suo scopo.


L'Arminuta

di Donatella Di Pietrantonio
Einaudi
ISBN 978-8806232108
cartaceo 14,88€
ebook 8,99€

Sinossi

Ci sono romanzi che toccano corde cosí profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con L'Arminuta fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell'altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia cosí questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all'altro perde tutto - una casa confortevole, le amiche piú care, l'affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l'Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo. Ma c'è Adriana, che condivide il letto con lei. E c'è Vincenzo, che la guarda come fosse già una donna. E in quello sguardo irrequieto, smaliziato, lei può forse perdersi per cominciare a ritrovarsi. L'accettazione di un doppio abbandono è possibile solo tornando alla fonte a se stessi. Donatella Di Pietrantonio conosce le parole per dirlo, e affronta il tema della maternità, della responsabilità e della cura, da una prospettiva originale e con una rara intensità espressiva. Le basta dare ascolto alla sua terra, a quell'Abruzzo poco conosciuto, ruvido e aspro, che improvvisamente si accende col riflesso del mare.

Elena Genero Santoro

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