Gli scrittori della porta accanto

L'uomo di casa, di Romano De Marco: incipit

L'uomo di casa, di Romano De Marco

Incipit #150 | Richmond, Virginia. Settembre 1979.

L'uomo di casa

L'uomo di casa

di Romano De Marco
Thriller
Piemme
ebook 9,99€
cartaceo 9,26€



S Laurel Street è una traversa della Idlewood nel quartiere di Oregon Hill. Zona povera della città, modeste case in legno, a due piani, su entrambi i lati della via a doppio senso di circolazione. Gli infiniti strati di vernice colorata non riescono a mascherare la fatiscenza delle abitazioni stipate l’una a ridosso dell’altra, come i pendolari sulla metro nell’ora di punta. Il civico 312 non fa eccezione. Pareti verde pastello e infissi bianchi, come le colonnine del minuscolo portico identico agli altri. Sul fronte strada c’è una piccola aiuola che non ha mai conosciuto le amorevoli cure di un pollice verde e, sul retro, uno spazio aperto che definire giardino sarebbe troppo lusinghiero. È un cortile recintato dove, tra mattoni accatastati e rifiuti di vario genere, fanno capolino rare macchie di erbacce abbandonate a se stesse.
Quando la detective Gina Cardena arriva sul posto, con la luce intermittente fissata sul tettuccio dell’auto di servizio, è già buio. Un agente in divisa solleva il nastro giallo che delimita la zona del crimine per farla parcheggiare a ridosso dell’abitazione. Gina scende e si guarda intorno, fissando il distintivo dorato sul taschino della giacca. Tre ambulanze, almeno quattro auto della polizia più il furgone della Scientifica. Due potenti fari alogeni, alimentati da un gruppo elettrogeno portatile, illuminano a giorno la facciata della casa. Tutt’intorno decine di curiosi stanno accalcati ai margini della zona circoscritta dai nastri di plastica, mentre gli agenti armati di taccuino interrogano chiunque sia disposto a rilasciare una dichiarazione.
«Logan!» esclama Gina richiamando l’attenzione di una agente in divisa blu. «Chi è stato il primo ad arrivare?»
«King e Sullivan, detective, pattuglia Bravo quarantuno. Hanno dato loro l’allarme. Dovrebbero essere sul retro, può arrivarci da lì» dice la ragazza indicando uno stretto passaggio che divide la villetta dal civico 314.
«Stia attenta a non sporcarsi, è un vero porcile.»
«Se si fa vivo il mio collega, digli di raggiungermi.»
«Affermativo.»
Il passaggio tra le due case non è più largo di una cinquantina di centimetri. Gina sorride. Bosco, il suo attempato partner, con i centoventi chili di stazza che si porta dietro, di certo rimarrebbe incastrato se si avventurasse in quella strettoia.
Sul retro sono stati piazzati altri fari. Due uomini in tuta bianca trafficano intorno a uno scavo, sotto al patio in legno. Estraggono qualcosa dal terreno: sono delle buste nere. Le passano a colleghi, con la pettorina arancio e la mascherina sul volto, che le allineano a terra. Gina ne conta tre. Una puzza nauseabonda l’aggredisce, è come se qualcuno avesse staccato da un mese la spina di un congelatore pieno di bistecche. Quel tanfo le provoca un conato di vomito, subito represso. Ormai ha imparato a controllare le sue reazioni quando sente l’odore della morte.
Nel trambusto generale, agenti, paramedici e uomini della Scientifica si muovono a loro agio, consapevoli di occupare un ruolo prestabilito in quella sorta di caos organizzato. Gina vede l’agente Titus King, seduto in un angolo poco illuminato, su una vecchia sedia da giardino. Fissa il terreno, immobile, sembra stravolto.
«Titus! Spiegami che cavolo sta succedendo.»
«Gina!» esclama l’agente sollevando lo sguardo. «Abbiamo risposto alla chiamata di una vicina che si lamentava per una puzza insopportabile. In casa non ci ha aperto nessuno e così abbiamo ispezionato l’esterno. C’erano due cani randagi che stavano banchettando. Con dei resti.»
«Resti di cosa?»
«Di un cadavere. Il cadavere di un bambino. Poteva avere massimo tre mesi.»
«Cristo...»
«Finora ne hanno contati quattro, avvolti in buste nere della spazzatura. Li stanno estraendo da quel buco scavato sotto al patio.»
«Figlia di puttana... è lei, l’abbiamo trovata, finalmente.»
«L’abitazione risulta affittata da una certa Angela Carradine, trent’anni, residente qui da meno di un anno. Nessuno dei vicini pare conoscerla bene. Un tipo schivo, la vedevano entrare e uscire soprattutto la sera. Pare che guidasse una berlina Ford azzurra messa male, ma nei dintorni non ce n’è traccia.»
«Avete avvisato la polizia di stato?»
«Certo, è la prima cosa che ho fatto.»
«Devo perquisire subito l’interno. Vieni con me, mi darai una mano prima che arrivi quel ciccione di Bosco.»
«No, non ce la faccio... In trentacinque anni di servizio passati per strada, ne ho viste di tutti i colori, ma questo è davvero troppo.» L’agente scuote la testa, nella vana speranza di scacciare dalla mente l’orrore di cui è stato testimone. «Sono mesi che diamo la caccia a quella donna, Gina. Per tutto questo tempo abbiamo sperato... abbiamo creduto di poter ritrovare quelle povere creature, di poterle salvare. E ora invece... Sono vecchio e sono stanco di tutta questa merda. Come lo dimentichi un bambino divorato dai cani, Gina? Come?»
La Cardena appoggia la mano sulla spalla dell’anziano agente di colore. È uno dei pochi che l’ha sempre spalleggiata sin dall’inizio della sua carriera. Non è stato facile per una donna afroamericana, promossa detective giovanissima, farsi rispettare in un ambiente maschilista e repubblicano come il dipartimento di polizia di Richmond. Da subito è stata additata come un semplice prodotto statistico della politica di integrazione voluta dal sindaco per garantirsi i voti delle minoranze. Per dimostrare di essere un buon poliziotto e approdare alla Omicidi ha dovuto faticare il doppio degli altri.
«Va bene, resta qui. Mi farò aiutare da Sullivan.»

«Allora, che sia ben chiaro» dice Gina ai cinque agenti armati di torcia elettrica e disposti davanti all’ingresso della casa.

«Qualsiasi cosa troviate, attenti a non inquinare le prove: evitate di toccare oggetti o altro e chiamatemi immediatamente. Io, Sullivan e Roberts al piano di sotto, voi tre a quello di sopra, intesi?»
Gli agenti annuiscono all’unisono.
«Vai» dice Gina rivolta a Greg Sullivan.
L’agente, un ragazzone palestrato con i capelli a spazzola, colpisce la serratura della porta d’ingresso con un mini ariete. L’anta si spalanca subito, rivelando un’estrema fragilità. L’interno della casa è buio. Gina entra per prima, polsi incrociati con la semiautomatica d’ordinanza e la torcia MagLite puntate avanti a sé, verso l’ignoto. Davanti al minuscolo ingresso c’è la scala che conduce al piano superiore, sulla sinistra il soggiorno. La detective prova ad azionare l’interruttore generale, ma senza risultato. Non c’è energia elettrica in casa.
Gina fa un cenno ai primi tre agenti che, in fila indiana, iniziano a salire verso il primo piano, mentre lei guida il resto della squadra nell’ispezione del pianoterra. Il soggiorno misura all’incirca quattro metri per otto, ed è arredato con un mobilio scarso e fatiscente. Al centro della parete, un caminetto che sembra non essere più in funzione da anni.
Dappertutto vestiti sporchi, scarpe spaiate, piatti di plastica e, soprattutto, bottiglie vuote. Di birra e di liquori. In mezzo al pattume ci sono anche un paio di giocattoli rotti e qualche fumetto. Gina intuisce un movimento a terra, con un gesto fulmineo punta la torcia giusto in tempo per inquadrare un ratto che fila a nascondersi sotto a un divano di velluto verde sporco e sfondato. «Cristo... che porcile! Occhio a dove mettete i piedi.»
«Detective! Venga su, presto!» È la voce di uno degli uomini che ispezionano il primo piano.
«Continuate qui» ordina Gina, prima di correre verso le scale. Le sale a due a due e si ritrova in un piccolo disimpegno sul quale affacciano quattro porte. «Guardi!» dice un agente indicando l’interno di un ripostiglio.
«Mio dio.» La detective ripone la pistola d’ordinanza nella fondina sul fianco e afferra la radio portatile dalla cintura. «Sono Cardena, mandate subito una squadra di paramedici dentro, piano superiore! Ne abbiamo trovato un altro!»
«Un altro cadavere?» risponde la voce nella radio.
«No... questo è ancora vivo.»

Quarta di copertina
"L'uomo di casa" di Romano De Marco, Piemme, 2018.

La vita perfetta di Sandra Morrison è andata in pezzi il giorno in cui Alan, suo marito, è stato ritrovato morto in uno squallido parcheggio. Era seduto nella sua auto, con la gola tagliata e i pantaloni calati. La polizia non ha dubbi: un banale caso di omicidio a scopo di rapina, probabilmente un incontro finito male con una prostituta. Per Sandra, è come essere precipitata in un incubo: ora è rimasta sola nella bella casa di Bobbyber Drive, a occuparsi della figlia adolescente ferita e arrabbiata e a rimettere insieme i pezzi di un puzzle senza senso. Chi era l'uomo con cui ha condiviso vent'anni? Un irreprensibile uomo di casa, marito e padre amorevole, stimato professionista? Oppure un ipocrita dalla doppia vita?
E la situazione peggiora quando Sandra scopre che, all'insaputa di tutti, Alan stava indagando da tempo su un caso di cronaca nera rimasto irrisolto trent'anni prima: il rapimento e l'uccisione di sei bambini a Richmond, Virginia, per mano di una donna che nessuno è mai riuscito a identificare. Ma perché Alan era tanto ossessionato dall'enigma della Lilith di Richmond? Cosa lo legava a quella vecchia storia di orrore e morte? E perché aveva tenuto segreto quel morboso interesse?
Nella sua angosciosa ricerca della verità, Sandra scoprirà che non solo suo marito, ma tutte le persone che la circondano hanno qualcosa da nascondere. E, soprattutto, che il filo di sangue che unisce l'omicidio del presente a quelli del passato non si è ancora spezzato. E la prossima vittima potrebbe essere proprio lei.

★★★★★

Il buon giorno si vede dal mattino, dicono, e un buon incipit e una copertina accattivante possono essere il perfetto bigliettino da visita di un libro.
Secondo voi, quante stelline si merita il biglietto da visita di questo libro?

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