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Joker, un film di Todd Phillips: la recensione

Joker, un film di Todd Phillips: la recensione

Cinema Recensione di Stefania Bergo. Joker di Todd Phillips strizza l'occhio a Fight club e Taxi driver. Joaquin Phoenix non è semplicemente Joker, il personaggio, ma Joker, il film, è Joaquin Phoenix. Una interpretazione da Oscar per uno dei cattivi più folli della DC Comics. La malattia mentale che diventa rabbia incontrollata, la devastante solitudine di un invisibile di cui finalmente la società si accorge.

Questa è una recensione a caldo, di pancia. Ho ancora nelle orecchie la risata di Joaquin Phoenix e addosso la seduzione del suo personaggio, Joker. E il primo aggettivo che mi viene in mente per descriverlo è: immenso. Joaquin Phoenix non è solo Joker, è tutto il film. Non è un semplice protagonista. Lo è talmente tanto che avrebbero benissimo potuto risparmiare su scenografie e attori secondari, ridotti a semplici comparse, pure Robert De Niro, lui, che paradossalmente è stato protagonista dei due film di cui Joker pare essere un riadattamento in chiave DC Comics, Taxi Driver e Re per una notte, entrambi di Martin Scorsese.

Joker è un susseguirsi di primi piani ipnotici che sondano la mente di Arthur Fleck e ne raccontano la folle depressione, contornati da atmosfere e scenografie noir. 

Si ha l'impressione che Todd Phillips non voglia solo raccontare la malattia mentale. No, la vuole proprio far comprendere dal di dentro. La telecamera pare sondare la mente di Arthur Fleck, compenetrarlo, come se fosse lo spettatore stesso a farlo – questo grazie anche alle riprese in steadicam.
Stringere le inquadrature è anche un modo per raccontarci l'isolamento di Arthur, che vive emarginato dal mondo, nell’intimità dell'appartamento che divide con la madre o in mezzo alla folla che pare non accorgersi di lui. Perché Arthur Fleck è invisibile, un uomo solo, un soggetto depresso – il film ne racconta in qualche modo il motivo, da ricercare nel suo passato, non nella mancanza del padre come dicono molti, secondo me, ma nella figura della madre – che diviene folle di rabbia, prodotto di una società violenta che sfoga la sua miseria sui più deboli, soggetti da deridere nella penombra di un vicolo o alla luce dei riflettori sul palco di un locale.

Joker, lo spin-off di Todd Phillips
Joker, un film di Todd Phillips: la recensione

Joker

REGIA Todd Phillips
SCENEGGIATURA Todd Phillips, Scott Silver
FOTOGRAFIA Lawrence Sher
MUSICHE Hildur Guðnadóttir
DISTRIBUZIONE Warner Bros Italia
ANNO 2019

CAST
Joaquin Phoenix, Robert De Niro, Zazie Beetz, Frances Conroy, Marc Maron

Arthur Fleck vive in una Gotham City dei primi anni '80, degradata, sporca, specchio di una società alla deriva, in balia di ratti giganti che infestano i vicoli ricoperti di immondizia. 

È in cura da una psicologa dell'assistenza sociale e lavora come clown per intrattenere i bambini del reparto pediatrico o fare promozione ai negozi, agitando cartelli pubblicitari tra i passanti che nemmeno lo vedono. Soffre di un disturbo psichico che lo porta a ridere compulsivamente, anche quando è fuori luogo. Una risata drammatica, straziante, che pare ogni volta sfociare in un pianto disperato, perché lui non vorrebbe ridere affatto, lo sa che può apparire molesta la sua risata acuta e martellante, isterica. Che poi diviene maligna, quando Arthur compie la sua trasformazione in Joker. Il film è tutto qui, è la narrazione della genesi di uno dei cattivi più famosi della DC Comics, l'esegesi della malattia mentale. Forse prevedibile e stereotipata – la vittima psicologicamente instabile che degenera in un insensibile villain – ma con qualcosa in più da dire, oltre alla prova da Oscar di Joaquin Phoenix.

Dan Slott, sceneggiatore della Marvel, ha twittato: «La performance di Joaquim Phoenix è una cosa grandiosa… in un brutto film».

Il che in parte è vero. È vero che Joaquin Phoenix domina lo schermo, quasi Joker fosse una sua personale prova d'attore. Interpreta il personaggio superbamente, sia quando subisce la sua vita da disadattato sia quando ne prende le redini e la fa virare indossando la maschera di Joker. Memorabili restano le scene dove ostenta la sua magrezza eccessiva ed espressiva su cui la macchina da presa indugia per esaltarne il dramma, il modo compulsivo che ha di ridere e fumare, la danza kata macabra e straziante nel bagno pubblico – frutto di un'improvvisazione dell'attore fuori copione –, e il balletto disinvolto e liberatorio di Joker sulla scalinata –  agile, in discesa, protagonista, dopo averla salita da comparsa con fatica, nei panni di Arthur, ogni giorno per tornare al suo appartamento con il peso del mondo intero sulle spalle –, sottolineata dalla splendida quanto controversa e criticata Rock 'n roll part 2 di Gary Glitter, condannato per pedofilia.

Joaquin Phoenix domina lo schermo, quasi Joker fosse una sua personale prova d'attore.

Ma Joker non è un brutto film. Sebbene sia a tratti prevedibile e lento, non è mai scontato e riserva accelerazioni e dettagli inaspettati sulla vita dell'anti villain Batman.

Todd Phillips aggiunge qualcosa di nuovo alla rappresentazione di una società che bullizza i deboli rischiando di trasfigurarli in altro da sé, traviando la loro natura: arriva paradossalmente a ergere le sue stesse vittime a modello cui ispirarsi, per liberarsi dalle oppressioni sociali ed economiche. Un passaggio che non ho compreso molto bene, un salto carpiato in avanti forse non abbastanza curato, ma che descrive perfettamente ciò che spesso avviene nella realtà. Fondamentale per far crescere in Arthur la consapevolezza e catalizzarne la trasformazione.
Splendide anche le musiche dell'islandese Hildur Guðnadóttir, tutte altamente evocative, per cui il film, già vincitore del Leone d'Oro a Venezia, ha ricevuto anche il premio Soundtrack Stars Award 2019, «per una colonna sonora che recupera alcuni tra i brani più noti della grande musica americana e per le composizioni originali, una musica atonale che unisce voce e violoncello» e che ben sottolinea la solitudine straziante di Arthur e l'apatia di Joker – e che mi ha ricordato Eyes wide shut di Kubrick.

I rimandi ad altri film sono tanti, non ultimo Fight Club o Il cigno nero. Ma questo Joker appare diverso da tutti i precedenti.

Jack Nicholson era sardonico, Jared Leto psicopatico con glamour, Heath Ledger distruttivo – e ricaduto nell'abisso in cui ha guardato, si dice, imputando la sua morte all'interpretazione stanislavskijana del personaggio. Joaquine Phoenix è un Joker drammatico. Si prova empatia per lui, lo si comprende e non si riesce a condannarlo nemmeno quando la violenza prende il sopravvento. Ci si lascia sedurre dal suo passo finalmente altero, non più claudicante, come la camminata lenta nella metropolitana verso lo spettatore – ammetto di aver compreso l'invaghimento di Harley Quinn, guardandolo –, si diviene parte di quella folla che lo osanna, la stessa che lo ha ignorato e bistrattato quando era semplicemente Arthur. E in fondo lui voleva proprio questo, solo essere amato, essere considerato, esistere. Essere visto, oltre la maschera che portava ogni giorno, sotto quella del clown. È quello che vogliamo tutti.
Joker di Todd Phillips è un film che merita comunque di essere visto perché emoziona e trascina dentro il mondo esclusivo della psiche di un maniaco depresso che «ha solo pensieri negativi», consapevolmente, e chiede costantemente aiuto senza ottenere risposta. Joker, il personaggio, è quasi solo un pretesto per raccontare la degenerazione della follia attirando nelle sale gli affezionati del genere. Non aspettatevi un gran film, ma godetevi una grande interpretazione, in grado di reggere due ore e restarvi dentro a lungo. Come una risata.





Stefania Bergo


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