
Libri Recensione di Elena Genero Santoro. Potevo essere io – 10 regole per salvarci la vita: il primo manuale per riconoscere e difendersi dalla violenza di genere di Roberta Roncone (Independently published). Un decalogo di regole, tutte introdotte da testimonianze di abusi che sono stilettate nello stomaco, con l’intento di rendere consapevoli le future vittime di ciò che non va nella loro relazione, in modo che ne possano prendere le distanze.
I doveri della sposa:Questo elenco, tratto da un manifesto ecclesiastico del 1895, elenca i doveri delle buone spose. Gira su Internet da tempo.
- Voler bene al marito
- Rispettarlo come capo
- Obbidirlo come nostro superiore
- Assisterlo con premura
- Ammonirlo con reverenza
- Rispondergli con grande mansuetudine
- Tacere quando è alterato
- Pregare per esso il signore
- Sopportare i difetti
- Schivare la familiarità con altri uomini
- Non consumare la roba in vanità
- Essere sottomessa alla madre dei mariti ed ai suoi vecchi
- Umile e paziente con le cognate
- Prudente con quelli della famiglia
- Amante della casa
- Riservata nei discorsi
- Osservatrice dei doveri religiosi.
Meno noto ai più è che esiste anche un analogo elenco per gli sposi, che vengono invitati a essere pazienti e a “non dimenticarsi della moglie e dei figli quando sono fuori casa” (il che è già di più di quello che certi mariti fanno nella realtà), ma questo sempre sottolineando che l’uomo è il capo e il padrone, mentre la donna deve rimanere defilata a ubbidire sorridendo.
Roba superata?
Non del tutto.
Il Nuovo Diritto di Famiglia, che mette i coniugi sullo stesso piano, ha la mia età, è del 1975.
Mia madre, nel '71, si è ancora sposata come figura subalterna, legalmente parlando.Nonostante questo, dopo cinquant’anni abbiamo ancora, volenti o nolenti, degli imprinting da cui non ci liberiamo.
Il primo è che l’uomo e la donna ricoprono ruoli ben definiti: lui lavora, lei sforna figli e li alleva. E poi magari ha un impiego anche lei, ma la priorità è essere l’angelo del focolare, il riferimento per la prole. Su questo punto la civiltà ci sta lavorando. Siamo ancora lontani, ma la strada è tracciata.
Il secondo imprinting è la sacralità del matrimonio, o comunque della relazione. Quella istituzione che in passato non aveva nemmeno le ragioni dell’innamoramento, ma solo quelle economiche e sociali, e che in Italia è stato possibile sciogliere solo dal 1975 col divorzio, aveva la priorità sulla felicità individuale.
Mia nonna, le sporadiche volte in cui mia madre ha litigato con mio padre, anziché difenderla o anche solo lasciarla sfogare, la riprendeva affinché mettesse da parte l’orgoglio e non mandasse a monte il matrimonio.
Ora, posso dire che tra i miei genitori non è mai successo nulla di così grave, ma il presupposto di mia nonna è degno di nota. Approccio che spesse volte è stato replicato da mia madre verso di me quando ho espresso rimostranze verso il mio attuale marito. Il leitmotiv è sempre che per tenere in piedi la sacra unione, bisogna sacrificarsi, bisogna soffrire, bisogna fare dei passi indietro, a prescindere. E se da un canto è giusto impegnarsi per la propria relazione come progetto comune e scelta di vita, bisogna ricordarsi che compiacere il partner non è la priorità.Il terzo imprinting che ci portiamo dietro dalla storia è l’assoluta ignoranza delle numerose personalità (folli) in cui possiamo imbatterci.
Un marito può, ipoteticamente, anche essere, per definizione, il “capo” del suo nucleo, comandare, decidere le sorti della famiglia. Ma chi garantisce che sia davvero in grado di farlo, o che non sia un balordo o un cretino? Chi lo certifica? In passato, il diritto divino.
Un po’ come quando nelle aziende vengono tenuti dei corsi per migliorare l’interazione tra colleghi, senza tenere conto che ci possono essere personalità abnormi per le quali le ordinarie strategie di captatio benevolentiae e di gestione dei conflitti non avranno mai successo.
Con queste zavorre che ci trasciniamo dietro dai secoli scorsi, eccoci nel presente, a dover gestire relazioni e azioni che oggi vengono – in parte – riconosciute come abusanti, violente, non consensuali.
Eppure, fino a qualche decennio fa – nel 1981 valeva il delitto d’onore – erano semplicemente la norma, con poche eccezioni. Tipo che una donna era tenuta a concedersi al marito anche se non ne aveva voglia. Che il sesso nel matrimonio era un dovere. Che lo stupro era un delitto contro l’onore e che la donna disonorata veniva riabilitata sposando il violentatore.Oggi iniziamo a chiamare le cose con il loro nome (abusi e violenze), ma non sappiamo come riconoscerle né come affrontarle.
A volte non lo sanno neanche i terapeuti: non tutti sono in grado di distinguere gli abusi, non tutti mettono su piani diversi abusante e vittima.Non lo sanno fare neppure i giornalisti, che continuano a confondere abusante e vittima: la vittima ha subito violenza, però aveva bevuto, però era vestita succinta, però lo aveva lasciato.
Allo stesso modo fino a qualche decennio fa era giudicato normale lo squilibrio di potere economico e sociale tra coniugi, che apre la porta agli abusi successivi.
E allora ben venga il libro di Roberta Roncone, Potevo essere io, che segue la creazione di un’omonima pagina di Instagram che raccoglie le testimonianze di vittime di abusi e di violenza di genere.
Le vittime che scrivono sono in maggioranza donne, e perché le donne sono più disposte a raccontarsi, e perché numericamente più colpite, ma la violenza di genere è un concetto più ampio. La violenza di genere è la violenza causata dal genere o dal sesso di una persona, ma può essere anche rivolta agli uomini.In un mondo in cui la parola “narcisista” è ormai usata a sproposito, Roberta Roncone vuole evitare etichette e non si addentra nell’analisi delle personalità abusanti. “Si dice il peccato, non il peccatore” e infatti l’autrice sceglie di descrivere i comportamenti abusanti senza dare spazio alle motivazioni di chi li mette in opera. Che comunque non potrebbero costituire delle giustificazioni.
Roberta Roncone scrive un decalogo di regole, tutte introdotte da testimonianze di abusi che sono stilettate nello stomaco, con l’intento di rendere consapevoli le future vittime di ciò che non va nella loro relazione, in modo che ne possano prendere le distanze.
Infatti il primo passo è la consapevolezza. È il riconoscimento che c’è un meccanismo sbagliato alla base. Che situazioni che siamo abituati a ritenere normali, perché in passato erano considerate tali, non lo sono affatto.Come la gelosia, per esempio. C’è un retaggio culturale che ci fa credere che una certa dose di gelosia sia espressione di amore. In realtà nell’amore la gelosia non dovrebbe essere contemplata, in quanto si suppone che la fiducia non la renda necessaria e poi sarebbe difficile stabilire un confine, una misura di fin dove si possa spingere la cosiddetta gelosia "sana".
Avevo una conoscente che il marito obbligava a chiamare casa dal telefono dell’ufficio prima di lasciare la sede per rientrare la sera. Lui poi prendeva i tempi che lei ci metteva per tornare, nel dubbio che potesse fare deviazioni non consone. Lei lo difendeva: «Fa così perché mi ama, perché è protettivo». A noi altri questo marito pareva solo ossessivo. Ma lei ci teneva un sacco a contornare la sua immagine con un’aura di perfezione. Poi il matrimonio è naufragato molto male, indovinate un po’?, per un problema di fiducia.
Roberta Roncone spera che le vittime aprano li occhi, acquisiscano consapevolezza e imparino a difendersi.
Il suo intento non è colpevolizzare le vittime: non lo fa mai, anzi le accoglie tutte a braccia aperte. Ma vuole dare loro una chiave di lettura per identificare ciò che non funziona e salvarsi da sole fintanto che la società non evolve.Non è mai colpa della vittima, ma ci vuole capacità di discernimento per mettersi al sicuro. La regola numero uno è quella di fidarsi del proprio intuito. Se già da subito ci sono aspetti che non quadrano, non bisogna ignorarli. Non bisogna convincersi che vada tutto bene. Non bisogna farsi piacere una persona per forza anche se gli altri ci dicono che è in gamba, ha un buon lavoro e che insieme saremmo una bellissima coppia.
Anni fa, all’uscita da una relazione abusante, mentre raccoglievo i cocci della mia vita, comprai un libro per non incappare negli errori commessi in precedenza.
Era una specie di manuale su come trovare l’anima gemella e all’epoca non parlava né di narcisismo né di abusi. Diceva una cosa molto basilare e assolutamente vera: l’innamoramento è una fase bellissima, ma se vogliamo stare con una persona a lungo dobbiamo avere noi per primi in testa una lista di requisiti inderogabili e non negoziabili che il partner deve avere. Quali siano i requisiti inderogabili lo stabiliamo noi; io di default ci metterei il rispetto. Se per esempio soffro di asma e incontro una persona che fuma due pacchetti al giorno anche in casa e non intende smettere, presumibilmente insieme non faremo molta strada. Idem se incontro uno che ama i rettili tanto da avere una teca in ogni stanza e mettersi un pitone nel letto mentre io detesto i serpenti. L’amore vince su tutto? Secondo quel libro no. Alla lunga ci si logorerebbe sulle questioni su cui non è possibile raggiungere un compromesso. Il consiglio era di uscire, conoscersi per alcune occasioni e chiudere molto in fretta appena si riscontrano montagne insormontabili. È un metodo freddo, calcolato, che non tiene conto del sentimento? Può essere, ma non poi così sbagliato, perché in primis induce a non fingere di essere diversi da come si è e da avere rispetto per se stessi.Il libro di Roncone in realtà pone l’accento su altri dettagli, ma in comune col manuale letto nei primi Duemila c’è un consiglio fondamentale: bisogna ascoltare e ascoltarsi.
E poi, in Potevo essere io grossa parte è dedicata all’analisi di tutti i meccanismi di violenza psicologica, che è quella largamente più diffusa. Perché non tutti i partner violenti arrivano all’omicidio, allo stupro o ad alzare le mani. Qualcuno non lo farà mai e si scandalizzerà all’ennesimo Turetta salito alla ribalta della cronaca. Il che non significa che non possa rendere la nostra vita un inferno.La violenza psicologica si manifesta con critiche continue, con la demolizione sistematica della nostra figura, magari mascherata da consigli, da premura.
«Lo dico perché ti voglio bene, per aiutarti a migliorare.» Non è vero: l’unico scopo è la demolizione dell’autostima della vittima, per averne il controllo e il potere.Il mio abusante mi disse: «Cerca pure un lavoro, se ti va, ma la responsabilità dello stipendio è dell’uomo». Lo disse col fare paternalistico di quello che vuole essere rassicurante e protettivo. Negli anni compresi che dietro si celava ben altro. Il controllo economico è violenza. L’amore su condizione è violenza.
Roncone descrive le fasi iniziali di una relazione non sana, il love bombing, la passione sfrenata, quando tutto è troppo bello per essere vero.
Infatti non è vero. Il love bombing sostituito da silenzi punitivi, critiche continue, pressioni, rinforzo intermittente. Ci sono persone che non sanno amare, ma vogliono il nostro amore per nutrirsene. Che in base a quello che dicono sembra che ci detestino: «Perché non metti mai la gonna?», «Perché non tagli i capelli?», «Perché devi uscire sempre con la tua amica?», «Perché sei sempre così permalosa?», «Perché non prendi una laurea?», «Perché non stiri le mie camicie?».E noi a domandarci: «Perché sta con me se sembra che di me non gli vada bene niente? Forse perché in fondo mi ama, anche se ho dei difetti».
La notizia è: non sembra che ci odino. Ci odiano per davvero. Non stanno con noi perché ci amano, ma per esercitare il loro potere. Quello che un tempo agli uomini veniva riconosciuto senza discussione.
Ma c’è anche una buona notizia: i centri antiviolenza esistono. I gruppi di ascolto anche. Roncone ne parla a lungo nell’ultimo capitolo.
Ed esistono anche persone abusanti, in maggioranza uomini, che prendono coscienza di aver seguito dinamiche sbagliate.Nel ringraziare Roberta Roncone per il grande lavoro svolto, invito tutti a leggere il suo libro Potevo essere io. C’è speranza.
Potevo essere io
10 regole per salvarci la vita: il primo manuale per riconoscere e difendersi dalla violenza di genere
di Roberta Roncone Independently published
Manuale
ISBN 979-8310551602
Copertina flessibile | 263 pag.
cartaceo 12,99€
ebook 8,99€
Quarta
In un mondo in cui la violenza di genere è una realtà silenziosa e devastante, questo libro rappresenta un faro di speranza di resistenza. L'autrice, attraverso la sua esperienza personale e il progetto Instagram @potevo_essere_io, offre un manuale pratico e incisivo, composto da dieci regole fondamentali per riconoscere e affrontare la violenza.
Ogni regola è un atto d'amore, pensato per fornire strumenti concreti a chi si trova in situazioni di rischio o vulnerabilità. Non si tratta solo di sopravvivere, ma di trasformare il dolore in forza e in consapevolezza.
Questo libro non è solo per chi ha vissuto esperienze traumatiche, ma anche per chi desidera prevenire tali situazioni, contribuendo a creare una società più giusta e sicura.
Leggendo "POTEVO ESSERE IO - 10 regole per salvarci la vita", scoprirete come alzare la voce contro l'ingiustizia, come proteggervi e come unirvi ad una comunità di sostegno. E' un invito a non rimanere in silenzio, a riconoscere il proprio valore e a lottare per una vita libera dalla paura.
Un'opera necessaria per tutte le donne, gli uomini e le generazioni future che meritano di vivere in un mondo senza violenza.
Elena Genero Santoro |
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