Gli scrittori della porta accanto

Giorgio Albertazzi, l'ultimo imperatore del teatro

Giorgio Albertazzi, l'ultimo imperatore del teatro

Palcoscenico Di Tamara Marcelli. I miti dell'Arte: Giorgio Albertazzi, monumento del teatro e del cinema italiano, senza eguali, mai.

Giorgio Albertazzi nasce a Fiesole il 20 agosto 1923. Diplomato al ginnasio e poi laureatosi in architettura, scoprì presto che la sua strada era segnata. Cominciò a studiare recitazione, pur avendo in sé più di quanto ancora non sapesse di avere. L’Arte dell’attore non doveva impararla, non poteva trovarla all’esterno, poteva solo risvegliarla, darle ossigeno e farla vivere nel mondo.
La sua prima apparizione a teatro fu nel 1949 in Troilo e Cressida regia di Luchino Visconti, l’ultima nel 2015 in Il mercante di Venezia regia di Giancarlo Marinelli. Due opere di Shakespeare. Come in un cerchio che si chiude. Ed è proprio Shakespeare, drammaturgo inglese del XVI° secolo, per i più inaffrontabile sulle scene, che diventerà linfa vitale per il repertorio di Albertazzi. Come nessuno mai. I versi poetici e i ritmi teatrali si fondevano impeccabilmente nelle rappresentazioni che il Maestro creava per il suo pubblico.
Io considero il mondo per quello che è: un palcoscenico dove ognuno deve recitare la sua parte.
Giorgio Albertazzi, Il Mercante di Venezia (atto I, scena I)

Debuttò in una neonata televisione italiana nel gennaio 1954 recitando in diretta Romeo e Giulietta di Shakespeare in un programma culturale chiamato "La prosa del venerdì".

Inaugurò così una lunga serie di trasmissioni in cui venivano trasposte per il grande pubblico, opere note di grandissimi drammaturghi. Delitto e Castigo di Dostoevskij per la regia di Franco Enriquez (1954), Spettri di Ibsen per la regia di Mario Ferrero (1954), Piccolo mondo antico di Fogazzaro, sceneggiato, solo voce fuoricampo (1957), L’idiota di Dostoevskij, sceneggiato (1959), Jekyll tratto dal romanzo di Robert Louis Stevenson, di cui Albertazzi curò la sceneggiatura, la regia e ne interpretò il protagonista (1969), per citarne alcuni.

Nel 1964, in occasione del 400° anniversario della nascita di Shakespeare debuttò a Londra con Amleto per la regia di Franco Zeffirelli.

Gli valse anche il premio dedicato ai grandi interpreti shakespeariani del Royal National Theatre, unico attore non di lingua inglese.
Nel 1969 al Teatro alla Scala di Milano mise in scena Edipo re di Sofocle per la regia di Giorgio De Lullo, cimentandosi così con uno dei grandi classici del Teatro immortale.
Nel 1980 al Teatro La Fenice di Venezia adattò, interpretando anche il protagonista e curandone la regia, Peter Gynt di Ibsen.

Con Enrico IV di Pirandello nel 1981 per la regia di Antonio Calenda, Giorgio Albertazzi segnò per la critica, uno spartiacque, scrivendo una nuova pagina del Teatro Italiano. 

L’opera, un dramma in tre atti, ci presenta la follia, ci mostra tutte le sfumature esistenti tra finzione e realtà, tra uomo e personaggio. 
Preferii restare pazzo e vivere con la più lucida coscienza la mia pazzia… questo che è per me la caricatura, evidente e volontaria, di quest’altra mascherata, continua, d’ogni minuto, di cui siamo i pagliacci involontari quando senza saperlo ci mascheriamo di ciò che ci par d’essere… sono guarito, signori: perché so perfettamente di fare il pazzo, qua. E lo faccio, quieto! Il guaio è per voi che la vivete agitatamente, senza saperla e senza vederla la vostra pazzia… la mia vita è questa! Non è la vostra! La vostra, in cui siete invecchiati, io non l’ho vissuta!
Come ammise molti anni dopo, in questa rappresentazione, fu la prima volta che cominciò a recitare se stesso.

Nel 1988 su Rai 3 realizzò la lettura integrale dell'Inferno di Dante.

Nell'importante progetto per il Dipartimento Scuola Educazione, regalò un’intensa e indimenticabile interpretazione di pagine senza tempo. Rimarrà l’unica, ineguagliabile, inarrivabile voce del Sommo Poeta.
Nel 1997 insieme all’attrice Franca Rame interpretò un testo di Dario Fo Diavolo con le zinne. Con lo stesso Fo fu interprete di una serie di spettacoli-lezioni sulla storia del Teatro Italiano, poi trasmessi in televisione su Rai 2.

Dal 2003 fu direttore del Teatro di Roma e nel 2004 venne insignito del premio Gassman alla carriera.

Nel 2006 durante la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici invernali a Torino interpretò il Canto di Ulisse estratto dall’opera dantesca, folgorando gli spettatori per la sua maestria e la sua dizione impeccabile.
Nel 2009 al Teatro Ghione di Roma mise in scena Lezioni americane di Italo Calvino e al Teatro Greco di Siracusa Edipo a Colono di Sofocle dimostrando la sua estrema versatilità interpretativa.
Nel 2009 a L’Aquila registrò la lettura della Divina Commedia di Dante percorrendo le strade del centro storico, drammaticamente ferito dal terribile terremoto del 6 aprile dello stesso anno. Fu un cameo di elevato spessore artistico e di grande trasporto emotivo.
In Cercando Picasso per la regia di Antonio Calenda si trovò a collaborare con la compagnia di danza contemporanea di New York Martha Graham Dance Company e fu un successo mondiale. Lo spettacolo che nel 2012 venne rappresentato al Teatro Donizetti di Bergamo fu uno spettacolo inaspettato, fuori dagli schemi consolidati in cui si muoveva il teatro italiano, una scelta artistica di livello superiore che coniugava armoniosamente danza e recitazione.

800 repliche per Memorie di Adriano, una delle performance più profonde del Maestro.

Con Memorie di Adriano tratto dall’omonimo romanzo francese della scrittrice Marguerite Yourcenar, dopo la prima memorabile rappresentazione a Villa Adriana a Roma nel 1989, Albertazzi raggiunge le 800 repliche in vari teatri italiani tra i quali il Teatro Argentina e il Teatro Ghione di Roma. Attraverso la biografia immaginaria del grande imperatore romano (117-138 d.C.), possiamo assistere ad una delle performance più profonde del Maestro. Sono le stesse parole di Adriano che ci rendono l’immagine magnifica del grande attore, come se questi si fosse incarnato in lui e non si potesse più separarlo dal personaggio. Vediamo Adriano nel corpo di Albertazzi e Adriano è Albertazzi.
Non tutti i nostri libri periranno… altre cupole sorgeranno dalle nostre cupole… e se i Barbari s’impadroniranno mai dell’impero del mondo, saranno costretti ad adottare molti nostri metodi, e finiranno per rassomigliarci.

Giorgio Albertazzi nella sua tunica chiara, appare quasi fosse un indovino, racconta la verità di un uomo che intravede la fine e fa un bilancio della propria vita. Non ha bisogno di orpelli, Albertazzi è un Maestro, è lui Adriano, non lo recita affatto. La regia di Maurizio Scaparro è sublime, minimale, incentrata sull’attore, sulla sua libertà scenica: ciò rende la grandezza di Albertazzi ancora più evidente.
Quando gli dei non c’erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c’è stato un momento unico in cui è esistito l’uomo solo.
Flaubert

La grandezza di Albertazzi in teatro appare in tutta la sua forza prorompente in La tempesta di Shakespeare per la regia di Daniele Salvo che ebbe numerose repliche e registrazioni televisive. 

Metafora della situazione della società contemporanea, priva di Poesia, di Arte, di Cultura, in balìa di onde alte e spaventose che rappresentano il deserto dei sentimenti, il degrado morale, l’abbrutimento umano, la superficialità che fanno affondare la nave. La vita. La società affoga, non ha scampo alcuno, cola a picco portando con sé anche un re e la sua corte che avevano tentato invano di dominare gli elementi naturali, presuntuosamente convinti che la loro ricchezza li avrebbe salvati. La Tempesta non guarda in faccia nessuno. È un testo misterioso, un quadro non finito. Tra luci che nascondono e parole che tagliano.
La tempesta in realtà è una magia, un’illusione artefatta e messa in scena abilmente dal protagonista, il vecchio e malato Prospero. È lui che manipola tutto a suo piacimento. Un personaggio ambiguo e apparentemente sofferente a causa di una inabilità che lo blocca su una sedia a rotelle, ma che paradossalmente trabocca di potenza ultraterrena. La tragedia della vendetta fa da sfondo ad una surreale atmosfera che ci mostra un Prospero abile ad ordire il suo piano contro piccoli uomini.

La sapienza scenica di Albertazzi rende la Parola un elevato ed eccezionale esercizio stilistico.

Mai una sbavatura non cercata, una intonazione fuori posto se non indispensabile, un timbro inefficace. Mai uguale a se stesso, imprevedibilmente perfetto, ruvido, graffiante, carismatico. La sua Parola ha indiscutibilmente una grandissima potenza evocativa, così come le sue pose solenni, l’incedere grave e inconfondibile, la straordinaria presenza scenica, la voce calda e suadente sprigionano nell’insieme un magnetismo straordinario. Quando è sulla scena lui, solo lui, catalizza l’interesse, lo sguardo del pubblico. Intorno a lui tutto sparisce, evapora, si fa inesistente. Non si riesce a distogliere lo sguardo da lui. Per questo le scenografie nei suoi spettacoli, spesso, sono superflue. Potrebbe diventare Amleto davanti ai nostri occhi anche se lo incontrassimo, fortunatamente, in una qualsiasi piazza, per la strada, in un viottolo buio. Troppo Grande per essere vero. Troppo piccolo questo mondo per meritare un gigante così.
Non era “solo” un Attore, era “l’Attore” per eccellenza. L’Imperatore del Teatro, un uomo che aveva scoperto la vera essenza della recitazione: vivere il personaggio, farlo scorrere nelle proprie vene, respirare con i suoi polmoni, colorarsi delle sue emozioni.

No, non avremo mai più un Attore così, purtroppo. 

L’imperatore se ne è andato lasciandoci più poveri, più vuoti, smarriti. Colui che, Artista controcorrente, più di tutti ha scritto pagine importanti e immortali della storia del Teatro. Forse non lo abbiamo davvero meritato. Lui che, con la sua Arte, ci ha reso migliori, che ha contribuito alla nostra cultura. Avremmo potuto affidargli compiti educativi, ci avrebbe lasciati senza fiato. Avremmo potuto ascoltarlo all’infinito: ci avrebbe insegnato la vita. Quel che possiamo fare ora è rivedere le sue rappresentazioni, immergerci in quell’atmosfera quasi irreale che permeava ogni sua entrata in scena, lasciarci ammaliare dalla sua presenza, da quella luce nei suoi occhi, accecante e ipnotica che aveva il potere di trasportarci “altrove”. E in quell’altrove, ora, vorrei proprio vederlo, anche solo un attimo, per stringerlo in quell’abbraccio che, umilmente, ho sempre sognato di dargli.
In fondo se la vita fosse eterna, sarebbe noioso.
Giorgio Albertazzi

Ciao Maestro!

Frasi celebri

La sola risposta vincente alla barbarie è la Poesia, la Cultura.
Cerca sempre la Poesia. È la strada della Bellezza nella vita.
Non importa che età abbia. L’importante è invecchiare, senza diventare adulti.
Sogni nel cassetto? No. Nel cassetto ci tengo le mutande. Ho sempre ricevuto proposte bellissime che hanno preceduto i miei sogni.
Solo sul palcoscenico mi sento davvero e profondamente libero.
Il desiderio è vita. Non c’è vita senza desiderio.
Ci sono pochi modi nella propria esistenza di sfiorare l’eternità, uno è il sogno.
Shakespeare rappresenta come nessun altro autore, ed è questa la sua grandezza, la caducità dell’uomo secondo la quale ogni cosa che comincia è destinata a finire. Per questo siamo uomini e non Dei.
Se non ci fossero le donne, la vita sarebbe come una stanza chiusa senza finestre. Noi uomini siamo molto più grezzi. Ecco, la donna è una finestra che si apre.
La grande performance artistica è anche estetica, ma il momento più alto è quando fai qualcosa che non ti aspetti da te stesso, come se ci fosse una sorta di disidentificazione eppure tu sei lì e ti sorprendi quasi fino a spaventarti di ciò che stai creando.
Il cinema mi annoia perché per me è un po’ troppo semplice.
Il mio concetto di cultura è quello per cui tutto ciò che cambia le cose è cultura; è un modo di vivere. Una canzone di Vasco Rossi, in un dato momento, vale quanto una poesia di Giacomo Leopardi.
Teatro è guardare, vedendo.


Tamara Marcelli


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