Gli scrittori della porta accanto


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Recensione: Nessuno, di Ernesto Masina

Recensione: Nessuno, di Ernesto Masina

Recensione: Nessuno, di Ernesto Masina

Libri Recensione di Davide Dotto. Nessuno di Ernesto Masina (Robin Edizioni). Catturare l'ineffabile in un racconto di paese, tra identità negata e l'ingenua e genuina fede di un anziano uomo di chiesa.

La storia raccontata in Nessuno, ultimo romanzo di Ernesto Masina, si svolge a Breno, nella Valcamonica. Ci imbattiamo presto nel giovane Bortolo, vincitore in una manifestazione pittorica organizzata dal comune.

Rimasto improvvisamente orfano di chi credeva fossero i suoi genitori, Bortolo diventa un caso: non è iscritto all’anagrafe, non è stato battezzato, le sue origini sono avvolte nel mistero.

Come il Mattia Pascal di Pirandello, di punto in bianco ha difficoltà nel dichiarare la propria esistenza e nel rivendicare qualsiasi diritto.
A differenza di quest’ultimo tuttavia – che pur possedeva un'identità – non può reinventare un nuovo se stesso, né farsi artefice del proprio destino senza un aiuto provvidenziale.
E la Provvidenza si manifesta ingarbugliando oltre misura la quotidianità di Don Arlocchi, l’anziano coadiutore del parroco, già alle prese con le sue preoccupazioni. Pur preferendo in cuor suo evitare ulteriori grattacapi, contribuirà a sciogliere l'intricata situazione.
“Ho passato” pensò, “una delle giornate che non ho mai passato nella mia vita e mi è toccato passarla adesso che ho un’età in cui non dovrebbe mica capitarmi”. Ernesto Masina, Nessuno

A volerle cercare, non sono poche le lezioni che si possono trarre dal racconto.

Per esempio, vi è sempre qualcosa che sfugge nelle persone, negli eventi, nei fatti, persino nel talento di un giovane artista come Bortolo, in grado di catturare sulla carta i tratti salienti di un'espressione, di un volto. È qualcosa, insomma, che si rifiuta di essere catalogato, individuato, imprigionato.
Forse è proprio questo "qualcosa che sfugge" a mettere in perenne agitazione don Arlocchi, specialmente se riguarda le cose umane, davanti alle quali si difende con sproloqui che si sa quando iniziano, ma non quando finiscono. E alle quali, invece, il giovane artista senza identità, oppone una enigmatica e ostinata laconicità.
Bortolo non solo omette di parlare «della sua infanzia, della situazione della famiglia e delle sue, eventuali, speranze per il futuro», ma si disinteressa nel dare un nome ai vari stili artistici, come a volerli tenere insieme in una sola categoria, ciò che nel bello si manifesta come ineffabile e indicibile.

E ineffabili sembrano, a quanto pare, tanto il talento ritrattistico e l'intuito del ragazzo, quanto la fede ingenua e genuina di don Arlocchi, in costante contatto con ciò che trascende la sua coscienza.

L'esistenza – che si abbia o no un'identità definita – è un campo minato costellato di difficoltà che si ha la tentazione di sfuggire, magari affidando il compito ad altri.
Fa quindi tenerezza la figura dimessa e fragile del coadiutore di parrocchia, preso "da mille pensieri e perplessità", che non sa mai con precisione "cosa fare, né cosa dire", e che passa quasi inosservato da chi le cose sembra stabilirle e deciderle una volta per tutte. E che è capace, a suo modo, di cambiare tono all'improvviso, acquisendo un'autorevolezza di cui non si accorge, ma che produce il suo effetto.
E il suo effetto lo produce senz'altro il ritmo di questo romanzo, vero e proprio antidoto a un mondo e a narrazioni che corrono troppo in fretta. Il romanzo Nessuno, di Ernesto Masina, invece incoraggia il lettore a rallentare, riflettere e porsi almeno un paio di domande fondamentali.


Nessuno

di Ernesto Masina
Robin Edizioni
Narrativa
ISBN 979-1254675557
Cartaceo 13,29€

Quarta 

Un giovane schivo e di straordinario talento, Bortolo Pelamatti, viene premiato durante una manifestazione pittorica indetta a Breno e prescelto come apprendista dal famoso architetto Brichetti. La morte prematura dei genitori lo designa poi come erede di una cospicua e misteriosa fortuna, ma c’è un ostacolo imprevisto: Bortolo Pelamatti non è mai stato iscritto all’anagrafe né è mai stato battezzato. Per lo Stato e per la Chiesa, non è nessuno. A svelare il mistero celato dietro questa vicenda del tutto paradossale è, suo malgrado, il buon don Arlocchi. Ancora una volta – nonostante gli acciacchi dell'età e qualche rivelazione fin troppo scabrosa – rinuncerà all'amato caffellatte per cercare la verità e dare un'identità al ragazzo.


Davide Dotto
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Clack!, il romanzo fantasy di Edoardo Morelli

Clack!, il romanzo fantasy di Edoardo Morelli

Clack!, il romanzo fantasy di Edoardo Morelli

Libri Comunicato stampa. Clack! (PubMe – Collana Gli Scrittori della Porta Accanto), un romanzo fantasy di formazione di Edoardo Morelli con un protagonista "speciale": l’unicità e l’importanza di ogni individuo nella comunità. Un libro che parla di inclusione e raccoglie fondi per aiutare le famiglie di bambini e ragazzi autistici in collaborazione con l'associazione T.A.R.T.A. Blu.

Il sorriso della mamma. Credo che in tempi antichi potesse essere stato un’arma. Riesce con quel semplice gesto a sprigionare un’energia misteriosa, capace di trasformare nel profondo lo stato d’animo di un figlio. O a risultare estremamente appiccicosa… Dipende dalla situazione. Una mano sulla testa completa il lavoro cominciato dal sorriso, mi rilasso.
Con la stessa mano gira la maniglia e con un clack la porta si apre, lasciando entrare un’altra lama luminosa. Questa volta non mi infastidisce, anzi, dentro di me sento crescere insieme la voglia di mettere i miei piedi fuori di casa e la preoccupazione di staccarmi da quel sorriso. La mano che poco fa mi accarezzava la testa ora mi accompagna fino a oltre la porta. L’aria di giugno è calda quel tanto che basta per star bene senza essere fastidiosa, il vento è leggero e lo sento passare tra i ciuffi. Chiudo gli occhi e assaporo il momento.
La preoccupazione non scema, le dita si torcono di nuovo e i muscoli delle braccia si contraggono. Estraggo veloce l’iPod dalla tasca e lo porgo in avanti. Lorenzo è a pochi passi da me, afferra le cuffie, me ne piazza una nell’orecchio destro e schiaccia play. Grazie Lorenzo. Il mio viso lo deve dire molto chiaramente, a giudicare dalla faccia del ragazzo dai capelli di lana.
«Sei pronto, Matte?! Oggi ci aspetta una bella giornata alla Piana dei Cipressi.»
Quella notizia mi apre cuore e mente in un colpo solo, la Piana dei Cipressi è bellissima. È un posto semplice: una grande prateria ai bordi di un bosco. L’erba è curata, c’è qualche panchina e poco altro, a divertimenti e passatempi ci pensa Lorenzo.
Non ho mai capito perché “dei Cipressi”. Non ce n’è nemmeno uno, solo prato e alberi immensi, sparse qua e là piccole ghiande che mi diverto a gettare in un ruscello che scorre lì vicino. Tanta è la felicità per la notizia appena appresa che mi costringo a parlare: «Bbbatti cinque». Una maledetta fatica. Edoardo Morelli, Clack!


Clack!

di Edoardo Morelli
PubMe – Collana Gli Scrittori della Porta Accanto
Fantasy | Young adult
ISBN 979-1254584514

Quarta

Le parole che leggerai nascondono segreti. Del resto, non sempre quello che vediamo corrisponde alla realtà e la realtà può non essere una soltanto.
Matteo ha 16 anni, è taciturno, ha problemi con gli orologi e si sconvolge davanti alle porte chiuse. Il solo rumore, clack, è per lui un pugno. Attraversando un tunnel viene trascinato in un bosco surreale, dove tutto emana un’energia strana e il tempo sembra non rispondere. Qui, tre fazioni di esseri incredibili si contendono la supremazia.
Matteo, in costante lotta con le sue difficoltà neuromotorie, scoprirà una realtà profonda e ricca di sfumature. Sarà l’enigmatico Gabriele a rivelargli la sua missione e a insegnargli a vedere oltre le apparenze, per percepire la connessione profonda non solo tra gli esseri viventi, ma anche con tutto ciò che li circonda.
Clack! è un romanzo fantasy di formazione che celebra l’unicità e l’importanza di ogni individuo nella comunità. Invita i lettori a esplorare il mondo attraverso una lente particolare: quella dell’inclusione inversa. Grazie a essa, Matteo si immergerà nelle vite degli altri, li ascolterà e li osserverà con il cuore e l’anima.
Clack! ha anche l’obiettivo di raccogliere fondi per sostenere l’associazione T.A.R.T.A. BLU, che offre aiuto e supporto alle famiglie che hanno a che fare con l’autismo.

ARTICOLI E RECENSIONI


Edoardo Morelli



Classe ‘84, nato in Toscana, attualmente vive in provincia di Pisa, a San Miniato. È sposato e padre di una bambina.
Sin da giovane ha coltivato la passione per la creatività, che ha poi trasformato in una professione in cui le parole svolgono un ruolo fondamentale e dove comunicazione e marketing fanno parte della sua quotidianità.
Grazie alla moglie, si è avvicinato alle tematiche legate alle disabilità molti anni fa, scoprendo stili di vita contraddistinti da priorità molto diverse dalle sue. Ha conosciuto famiglie, ragazzi, ragazze e contemporaneamente, attraverso di loro, ha conosciuto se stesso. Pian piano ha maturato una convinzione: il concetto di inclusione è stato travisato ancor prima di essere abusato. Prima di includere, dobbiamo concederci di essere inclusi, in modo da comprendere e stabilire una connessione. Solo allora potremo capire come aiutare, e ciò vale per e con ciascuna persona.


Associazione T.A.R.T.A. Blu

Quando la vita di un bambino o di una bambina è segnata dalla diagnosi di autismo, coloro che se ne prenderanno cura si sentono immersi in un turbine di emozioni e sensazioni. Ansia, paura, preoccupazione, responsabilità, senso di colpa, sono solo alcune delle componenti che invadono la vita dei familiari.
L’associazione T. A. R. T. A. BLU nasce dall’idea e dal confronto di alcune famiglie della Valdera, che, pur avendo esperienze diverse, condividono la stessa diagnosi. L’obiettivo era quello di sviluppare un nuovo progetto territoriale – per la Valdera, la Val di Cecina e il Valdarno – su misura per coloro che affrontano queste difficoltà, al fine di coordinare interventi, con la convinzione che fosse necessario garantire ai propri figli il percorso di abilitazione/riabilitazione più personalizzato possibile. E così, con il supporto di un team di professionisti esperti, è nata l’Associazione di promozione sociale T.A.R.T.A. BLU, con l’unico e fondamentale obiettivo di migliorare la qualità della vita delle famiglie coinvolte e consentire ai loro figli di godere di un diritto umano fondamentale: quello alla felicità.

Come lo fanno?
Con i servizi di diagnosi precoce, ascolto e supporto alle famiglie in difficoltà, valutazione educativa, logopedia, psicodiagnostica, interventi riabilitativi/abilitativi specifici, attività di sostegno e potenziamento cognitivo, attività socializzanti, attività finalizzate all’acquisizione delle autonomie, consulenze scolastiche, lavoro in rete con le istituzioni del nostro territorio, parent training.

Il futuro per ragazze e ragazzi di T.A.R.T.A. Blu è un centro terapico e di orientamento. Piccoli gesti costruiscono castelli. Così come una parola per volta si compone un libro.
Proteggi chi è già nato e chi ancora deve nascere. Diventa la pietra rossa. Per te è l’equivalente di una colazione, magari di un pranzo. Per T.A.R.T.A. Blu è il futuro.
Puoi donare con bonifico – nelle causali scrivi Clack! e, se vuoi, nome e cognome per tenerci in contatto sui social – o con PayPal.

Dona online: www.tartablu.it/dona | 5x1000: C.F. 90063230503

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Recensione: No Ordinary Assignment, di Jane Ferguson

Recensione: No Ordinary Assignment, di Jane Ferguson

Recensione: No Ordinary Assignment, di Jane Ferguson

Libri Recensione di Davide Dotto. No Ordinary Assignment: A Memoir di Jane Ferguson (Mariner Books). Un viaggio nel giornalismo di guerra che esplora gli stereotipi e svela la complessità morale e umana dietro la documentazione di eventi bellici.

No Ordinary Assignment di Jane Ferguson va ben oltre la mera narrativa di guerra a cui siamo abituati, quella che fa meticolosamente il punto sul fatto del giorno, tra miriadi di aspetti e questioni che richiedono una comprensione profonda.

Il memoir di Jane Ferguson è ciò che dovrebbe essere: un viaggio intimo nell’animo di chi ha scelto di narrare i conflitti del nostro tempo.

Prima ancora di avventurarsi nel suo percorso, solleva una questione cruciale: come si racconta una guerra, e perché? Mette in discussione da subito, e non rinuncerà mai a farlo, il proprio ruolo di giornalista cercando, tra le pieghe degli eventi, di porsi le domande giuste ed essenziali: su etica, politica, la natura dell’essere umano.
Il percorso di Jane Ferguson avviene per gradi, dal richiamo invincibile di diventare una corrispondente di guerra, con il desiderio impellente di ricoprire un ruolo ben definito – «I just needed to act».
Affinché ciò sia possibile, mette da parte ogni legame, persino ogni “senso di appartenenza” per poterne acquisire uno completamente nuovo e diverso. Ciò le consente di partire senza guardarsi indietro, senza avere restrizioni o limiti, potendo quindi trasferirsi ovunque.
I had never asked anyone for permission to do anything in my life – not out of selfishness, but because I had never belonged anywhere, to any place of group or family. I had figured out how to use this trait as a strength, I could do whatever I wanted. Jane Ferguson, No Ordinary Assignment: A Memoir

Questo implica anche l’assenza di una sfera privata da conciliare con il lavoro, il ritrovarsi sola di fronte a sfide imponenti.

Tra queste, in quanto donna, colloquiare e interagire con generali, figure di potere in nazioni conservatrici al limite con il fondamentalismo religioso.
Tuttavia, questa situazione offre l'opportunità di esplorare la realtà circostante; di entrare nelle case, luoghi inaccessibili ai colleghi maschi, dialogare e raccogliere storie, confidenze dalle donne del posto.
Si confronta con i modelli che hanno influenzato la scelta di una professione particolare. Impara a interrogarsi sulla logica dietro le controversie e le divisioni che generano le guerre.
Fin dall'infanzia vissuta nelle campagne dell'Irlanda del Nord – in un periodo di disordini sociali e violenze, di scontri tra soldati britannici e membri dell'IRA – ha conosciuto ostilità e confronti armati.

Nelle vene già scorre l’esigenza di capire non solo chi possa raccontare gli eventi, ma soprattutto come, e con quale cuore.

Il “senso di non appartenenza” si veste a poco a poco di una prospettiva nuova, cercando di posizionarsi al di là e al di fuori di chi fa la guerra e la documenta, al di là e al di fuori di uno sguardo parziale e semplificato, e di cosa si recepisce dalle notizie di giornali e reti televisive.
Chi sono, quindi, i corrispondenti – anzi, le corrispondenti – di guerra? Come vengono visti e viste dalle popolazioni locali? Sono testimoni a cui affidare immagini e storie, in modo che emergano e non restino imprigionate ai confini di un territorio devastato dai conflitti interni. Il compito, delicato e prezioso, deve mettere da parte ogni forma di spettacolarizzazione: «Le persone riconoscono la vera empatia, unico comportamento decente nel reportage di guerra».

Quale atteggiamento mantenere, quindi? In che modo rapportarsi?

Jane Ferguson ricorda come, da bambina, sfogliando il National Geographic, si interrogasse sul perché chi fotografava le donne anziane sofferenti in Bosnia non le avesse aiutate. Se lo chiede ora anche lei, quando emergono inevitabili domande su responsabilità e impossibilità di offrire un aiuto tangibile all’altrui dolore: non è una militare, non è una pilota, né un'ingegnera o una medica, ma una narratrice.
Preda di un senso di smarrimento profondo, si rende conto che oltre non può andare: non è solo un momento che puoi mettere da parte, ma una sensazione che rimane cucita addosso: si diventa testimoni di qualcosa cui, come giornalisti, non si può rendere giustizia.
What was my role here? Was I helping at all? Jane Ferguson, No Ordinary Assignment: A Memoir

Ci si confronta con una realtà non facile da digerire.

Il lavoro di cronista si inserisce in un meccanismo paradossale, non sempre legato all’informazione più autentica, bensì alla propaganda di una fazione; indipendentemente dalla qualità del proprio contributo, è necessario apparire, comunicare in un certo modo, al punto in cui la parlata e l'accento – “No foreign accents” – possono costituire un ostacolo. Per poter lavorare ci si deve adattare fino o cambiare qualcosa di sé.



Diventano chiare anche altre cose. Ad esempio la consapevolezza che le regole che governano ciascun conflitto sono le stesse, come le “conseguenze non intenzionali”.

La carenza di assistenza medica e di farmaci per le popolazioni colpite; ospedali – se presenti e funzionanti – al limite e spesso inaccessibili per alcuni – i “ribelli”. A cambiare è l’attenzione mediatica che relega alcune crisi in secondo piano, tanto che ora si parla molto meno dell’Ucraina, la cui situazione non è certo meno complessa.
Può non apparire scontato capire che non ci si trova davanti a “un set cinematografico”, né che ci si deve concentrare sulla competizione tra le rispettive fazioni, ciascuna diretta a eclissare le istanze di quella avversaria. È altrettanto inappropriato individuare a tutti i costi “il buono”, “il cattivo” al fine di rimanere ancorati a un unico punto di focalizzazione (da quale parte stare), e da lì non spostarsi mai – «Prima ancora di documentare i conflitti come giornalista, ho capito da tempo che spesso non ci sono lati buoni e cattivi, che la realtà è un insieme composito e crudele di verità. La stessa moralità si piega a essa».
I have known since long before covering wars as a reporter how there are often no good and bad sides, and that reality is a complex and harsh collection of truths. Morality bends. Jane Ferguson, No Ordinary Assignment: A Memoir

Alla fine, si riscontra la difficoltà di andare oltre la pur importante ed estenuante ricostruzione dei fatti, fino a scoprire cosa provano le popolazioni che vivono tali situazioni.

Da qui discende il bisogno di comprendere, condividere, avere il coraggio di affacciarsi alla lingua e alla cultura altrui e porsi una domanda ulteriore: in quali modi l’essere umano (indipendentemente da ogni provenienza e appartenenza), ha contaminato se stesso, innescando malanni difficili da debellare, perché radicati nelle sue origini.


No Ordinary Assignment
A Memoir

di Jane Ferguson
Mariner Books
Memoir | Versione inglese
ISBN 978-0063272248
Cartaceo 29,81€
Ebook 14,49€

Quarta 

Jane Ferguson has covered nearly every war front and humanitarian crisis of our time. She reported from Yemen as protests grew into the Arab Spring; she secured rare access to rebel-held Syria, where foreign journalists were banned, to cover its civil war. When the Taliban claimed Kabul in 2021, she was one of the last Western journalists to remain at the airport as thousands of Afghans, including some of her colleagues, struggled to evacuate.
Living with sectarian violence was nothing new to Ferguson. As a child in Northern Ireland in the 1980s and ‘90s, The Troubles meant bomb threats and military checkpoints on the way to school were commonplace. Books by Dervla Murphy and Martha Gellhorn offered solace from her turbulent family, and an opportunity to study Arabic in Yemen came as a relief—and a ticket to the life in journalism she imagined.
Without family wealth or connections, she began as a scrappy one-woman reporting team, a borrowed camera often her only equipment. Networks told her she had the wrong accent, the wrong appearance, not enough “bang-bang shoot-‘em-up.” Still, Ferguson threw herself into harm’s way time and again, determined to give voice to civilian experiences of war. In the face of grave violence and suffering, this seemed a small act of justice, no matter the risks.
Ferguson’s bold debut chronicles her unlikely journey from bright, inquisitive child to intrepid war correspondent. With an open-hearted humanity we rarely see in conflict stories, No Ordinary Assignment shows what it means to build an authentic career against the odds.


Davide Dotto
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