Gli scrittori della porta accanto

Con gli occhi di un bambino, racconto di Valentina Gerini

La zia Rosa sta scaldando un grande pentolone pieno d’acqua. Ha acceso il gas con un fiammifero, imprecando un paio di volte prima che la fiamma prendesse vita. Tutta quell’acqua per un po’ di pasta mi sembra eccessiva, ma che ne so io, di come mangiano la pasta qua a Santo Domingo.
Di certo, non la cucinano al dente come la fa mio nonno Giorgio, in Italia. Forse a loro piace molliccia, scotta, come la cucina mia nonna Lina, che quando mette la pasta nell’acqua poi se ne va in camera a piegare i panni appena usciti dall’asciugatrice e quando torna ai fornelli il tempo di cottura è scaduto ormai da un pezzo. O forse vuole fare una zuppa. Una volta, qua a La Romana, ci hanno provato a rifilarmi una intruglio pieno di verdure e scarti di carne dal colore verdognolo ma io ho abilmente finto un’attacco di diarrea, cosa comune in questo paese, e l’ho scampata. Dicono sia uno dei piatti tipici locali, lo chiamano ‘sancocho’, ma a me faceva venire il vomito anche solo l’odore. Proprio come quando nonna Lina fa il brodo di carne, lei si inventa tutte le storie del mondo per farmelo mangiare. Dice che mi fa diventare grande, bello e soprattutto intelligente, che non mi farà ammalare per tutto l’inverno. Ma a me non mi frega nessuno! Io il brodo e le zuppe non le mangio! Voglio chiedere a mia zia che cosa ha intenzione di cucinare con tutta quell’acqua.
«Zia, che cucini?».
«Non cucino, Samuel, sto scaldando l’acqua per fare il bagno».
«Per fare il bagno? Che bagno? Ma non c’è la doccia di là, in bagno?».
«Samuel, non fare lo sciocchino! Lo sai che nei tubi qua non scorre l’acqua, perciò te ne scaldo un po’ così puoi farti la doccia con acqua calda, a meno che tu non voglia farla con acqua fredda. A volte più che fredda è gelata e non ti conviene, sai?».
Con un cenno del capo le faccio capire che mi va bene l’acqua calda e mi accomodo sulla sedia in veranda, a riflettere.
Il caldo è incessante, da quando ieri siamo arrivati non ho smesso un attimo di sudare. Belli i Caraibi, sì, a scuola tutti mi invidiano quando do loro la notizia che vado a trovare i nonni e le zie a Santo Domingo, e a me piace da matti essere invidiato. Se solo sapessero quanto si suda qui appena si arriva. Forse non sarebbero così invidiosi! La mamma dice sempre che qua si suda per colpa dell’umidità e non del caldo, se è davvero così allora questa umidità è un’assassina perché secondo me tenta ogni giorno di uccidere la gente.
Però, tolto il caldo, devo ammettere che vedere le palme dalla veranda della nonna è proprio una bella cosa. Dalla finestra della mia camera vedo una rotatoria con una strana costruzione sopra, sembra una statua a forma di banana, o una mezza luna rivolta verso il basso. Noi a scuola la chiamiamo ‘il grande pisello’ e quando invito qualche amico a giocare da me non ho dubbi su come indicare la strada di casa, basta dire «sto davanti al grande pisello, numero 24». La mamma dice che è una opera d’arte, che l’ha costruita uno scultore locale molto rinomato ma che a causa della sua forma ci prendono in giro tutti i paesi confinanti. Le palme che vedo adesso non hanno niente a che fare con quel grande pisello. Sono altissime, quasi sfiorano il cielo. Chissà se gli aerei che volano lassù devono scansarle. Comunque sono bellissime, con grandi foglie verdi smeraldo e qualche cocco che aspetta solo di essere colto. Ci credete che ho visto un signore arrampicarsi sulla palma meglio di una scimmia? Ha raggiunto la cima in cinquantasette secondi, li ho contati, lo giuro. E’ arrivato fino alle foglie, ha staccato due noci di cocco e le ha gettate in terra. Meno male che non passava nessuno in quel momento, sennò ce lo faceva secco!
La nonna Marysol mi ha fatto provare il latte di cocco, lo scorso anno. Ero un po’ riluttante all’idea di bere direttamente dalla noce di cocco, con una cannuccia. Poi però lo facevano tutti, i miei cugini sembravano entusiasti, allora io non volevo fare lo schizzinoso e ho bevuto. Era squisito! Sembrava acqua, ma non era. Il liquido era dolciastro e trasparente ma anche un po’ bianco. Da quel giorno chiedo sempre alla nonna Marysol di bere il latte di cocco fresco, ma qua non è semplice trovarlo. In spiaggia è molto più facile, ci sono tante palme. Così la nonna mi porta in spiaggia quasi tutti i giorni quando sono qua e io posso bere il mio adorato latte di cocco.
Quando riesco a berlo qua alla casa di nonna gettiamo il guscio del cocco fuori, davanti al cancello, insieme a tutta l’altra spazzatura. Il camion passa un giorno si e gli altri forse. Durante la settimana diciamo passa una volta e basta, due se se lo ricordano. E quando passa si sente, non c’è dubbio. L’odore di marcio arriva dieci minuti prima del camion. Si ferma davanti a casa di nonna, raccoglie l’immondizia delle case e riparte per scaricare poi tutto all’inizio del quartiere, nella discarica. Un campo in bella vista, pieno di montagne di spazzatura. Vetro, plastica, umido, carta… tutto insieme, come si faceva in Italia anni fa, almeno così mi ha raccontato la mamma. Adesso noi a casa facciamo la raccolta differenziata, anche a scuola. Abbiamo un bidone per la carta, uno per la plastica, uno per il vetro, uno per gli scarti del mangiare e uno per quello che non va in quelli che ho appena detto. Poi la mamma o il babbo devono ricordarsi la sera di mettere fuori il sacco giusto perché la mattina alle 06:00 passa il camion a ritirare i sacchetti e se sbagli sono fatti tuoi! Devi aspettare la settimana successiva. Quante parolacce dice il babbo quando la mamma si dimentica di mettere fuori la plastica, il venerdì sera! Sembra che tutto sia fatto di plastica, ne produciamo tantissima noi, e siamo solo tre in famiglia! Ogni venerdì mettiamo fuori tre o quattro sacchetti che fra un po’ scoppiano. Ci credo che poi il babbo si arrabbia se la mamma se lo dimentica, i sacchetti puzzano con tutte le scatolette vuote e tenerli in casa un’atra settimana è una cosa che fa proprio schifo. Poi a volte, quando andiamo a scuola, vedo sacchi di plastica lasciati in giro per le strade, anche nei giorni sbagliati. La mamma dice che purtroppo ci sono persone poco civili, vandali, lei li chiama, che non seguono le regole e lasciano la loro spazzatura dove gli pare e piace. Se fossi il sindaco metterei le telecamere dappertutto e farei la multa a questa gente, poi vedrai la smetterebbero di lasciare i sacchetti davanti casa degli altri per giorni. Ci sono dei punti del paese dove sembra quasi di essere a Santo Domingo, assomigliano proprio alla discarica che c’è qua vicino alla casa della nonna Marysol. I dominicani il pensiero della raccolta porta a porta non ce l’hanno. Loro lasciano tutto davanti alla casa e quando il camion passa bene, sennò a turno, un vicino di casa porta via la spazzatura di tutta la strada e la getta nella discarica.
Sento la zia Rosa gridare come una pazza. Forse è un po’ che mi chiama e non l’ho sentita, immerso com’ero nei miei pensieri. Mi sta chiamando per avvertirmi che l’aqua per la doccia è quasi pronta. Ci risiamo, sostiene che io possa fare la doccia se non c’è acqua. Mah! Questa poi? Dai, siamo seri! Come faccio a fare la doccia se non scorre acqua nei tubi? Che senso ha avere le tubature se poi non c’è acqua. A casa io, in Italia, apro il rubinetto e l’acqua scorre come un fiume che se per caso lo apro mentre sono soprappensiero e sto pensando al gol che ha fatto la Juve rischio di ustionarmi! Comunque, se lei dice che qua la doccia si fa così io le credo.
Passano un paio di cani randagi ridotti proprio male e non posso fare a meno di pensare al mio piccolo Buio, il mio adorato amico a quattro zampe che ho lasciato ai miei cugini prima di partire. Speriamo che lo portino fuori a fare delle lunghe passeggiate come piace a lui. Quelli lì sono svogliati all’ennesima potenza e di sicuro mi hanno promesso di portarlo fuori tenendo le dita dei piedi incrociate così la promessa poi non vale! Qua i cani randagi sono davvero magri, gli si contano le costole. Poi mi guardano con gli occhi di chi è in cerca di cibo da giorni.
«Ziaaa! Non abbiamo qualche avanzo da dare a questi poveretti?».
Grido, mentre uno di questi cani si è appiccicato al cancello di casa e ha messo il muso tra le sbarre fissandomi senza sosta.
«No, Samuel, non abbiamo niente. Dopo mando Miguelito a comprare qualcosa per cena al colmado, vediamo quanti soldi ha nonna nel portafoglio».Ma come? Non c’è niente in casa? Un biscotto, un grissino, un pezzo di pane ammuffito? Quando sono in Italia, a fine pranzo, mia mamma mi manda sempre a scuotere la tovaglia fuori in giardino e con le briciole che cadono si potrebbe sfamare mezza colonia di piccioni di Venezia, giuro.
Accarezzo il cagnolino che, senza dire niente, pare capire la situazione e ritira il muso per andare in direzione della casa di fronte.
Si sente una musica il cui volume si sta alzando ogni secondo di più. Sembra provenire dai vicini, devono avere uno stereo molto potente. Un gruppetto di ragazzi si raduna proprio di fronte alla casa e inizia a ballare, qualche bambino sale sul tetto della casa di fronte e incomincia a saltare. Pare stia iniziando una festa alla quale tutti sono invitati. Un autobus si ferma sul ciglio della strada e una decina di passeggeri di ritorno da lavoro scendono. Non appena odono il reggaeton che sta suonando a tutto volume si fermano e si avvicinano. Due pacche sulle spalle, un bicchiere pieno di birra gelata ciascuno e son tutti a chiacchierare sorridenti. Se a casa mi capita di alzare il volume della TV più di 25 mamma inizia a gridare come una pazza, dice i vicini poi si arrabbiano e chiamano i vigili. Ah, se sentisse questa musica adesso chissà che direbbe! Meno male è uscita col papà, sono andati a fare delle commissioni questa mattina e non sono ancora rientrati.
Che poi, le commissioni… cosa sono, non l’ho ancora capito. Quello che ho capito è che sono cose che si possono fare se c’è l’elettricità e a volte, qua dalla mia nonna ma anche in città, la luce se ne va per ore e allora tutti rimangono fermi e non sanno che fare. Non si può vedere la televisione, non si può ascoltare la musica con la radio, di notte si devono accendere le candele perché non si vede niente di niente tanto è scuro il cielo, non si possono nemmeno caricare i cellulari quindi guai a rimanere con la batteria quasi scarica! A volte la notte quando va via la luce io mi sveglio di soprassalto perché il ventilatore smette improvvisamente di funzionare e io inizio a sudare anche se dormo in mutande. Apro gli occhi ed è tutto buio, l’unica luce che vedo sono i raggi della luna che filtrano dalle zanzariere della finestra, che se non ci fossero non si potrebbe proprio dormire tanto sono grandi e stronze queste zanzare la notte. A casa mia, in Italia, la luce non se ne va mai. Solo una volta ricordo che è saltata perché la mamma aveva acceso la lavatrice, la lavastoviglie, il ferro da stiro e mio papà mi stava asciugando i capelli col phon. Ma è bastato staccare il ferro da stiro e tirare su la levetta nella scatola che segna il consumo, vicino alla porta, e la luce è tornata. Io non so davvero come facciano i bambini qui a rimanere ore senza la televisione, se succedesse una cosa del genere una sera che gioca la Juve io potrei davvero impazzire.
«Samuel, vieni l’acqua è pronta!».
Mia zia si avvia verso il bagno con un pentolone fumante, camminando rapidamente. Poggia la pentola nella vasca, vi butta dentro una spugna, prepara il bagnoschiuma, mette un asciugamano per terra e uno appoggiato al lavandino vicino alla vasca e mi dice: «Samuel, dai vieni qua, che l’acqua si fredda, vieni a fare la doccia».
E dai con questa doccia, e po qui l’acqua non si fredda, saranno 30 gradi, come fa a freddarsi con questo caldo? Non dico niente, per non sembrare troppo noioso. A casa avrei fatto il diavolo a quattro, a me non piace fare la doccia, tanto più se è inverno e fa freddo. Mi viene la pelle d’oca appena mi tolgo la maglia per mettere il pigiama, figuriamoci spogliarsi per intero per infilarsi nella doccia!
Vado in bagno e mia zia vista l’espressione incredula e dubbiosa che ho stampata in faccia mi dice: «Ciccino, entra in vasca e poi con la spugna ti bagni, ti insaponi e con questa ciotola ti risciacqui. La riempi d’acqua e te la getti addosso come se tu stessi usando una doccia».
Se fossi il sindaco de La Romana metterei obbligatoriamente le tubature nuove a tutte le case, anche quelle di lamiera, perché qua vicino a casa di nonna Marysol ce ne sono tante fatte in lamiera. Chissà che caldo deve fare quando il sole batte cocente e quelle ferraglie diventano incandescenti! Certo, forse fare delle tubature che passano dentro la lamiera non è semplice, ci hanno mai provato? Magari potrei essere l’inventore che brevetta dei tubi così sottili da passare dentro la lamiera come quelli grandi passano dentro le mura. Mah, ora ci penso meglio, questa idea potrebbe portarmi notorietà e tanti soldi.
Mamma mi dice sempre che se voglio combinare qualcosa nella vita devo diventare famoso, c’ha la fissa dei personaggi famosi, lei. Legge sempre giornali e quotidiani e le pagine che la interessano di più sono quelle dei pettegolezzi. Dice che quella gente guadagna un sacco di soldi e fa una fatica minima, che va sempre in giro per lavoro e per piacere e che spende soldi quasi con gli occhi chiusi, che si toglie ogni minima soddisfazione. Io allora ci penso spesso, a diventare famoso. Mamma ha anche provato a farmi partecipare a dei casting per bambini quando ero piccolo, dicevano che ero una bambino di rara bellezza, singolare. Sarà che assomiglio un po’ al papà che ha la pelle scura e alla mamma che invece è bianca come il latte, che ho gli occhi azzurri come il nonno Noa e la bocca a cuoricino come la zia Rosa. Deve essere questo miscuglio di caratteristiche che mi rende bello, come dicono tutti, perché effettivamente a casa mia di bambini come me ne ho visti pochi. Hanno tutti il naso a punta e io invece ce l’ho schiacciato.
Adesso so che è perché mio papà non è italiano, ma quando ero piccolo chiedevo sempre a mia mamma come mai il mio naso fosse diverso da quello degli altri. Poi, qualche anno fa, in terza elementare, è arrivato Abdul, un bambino nigeriano che era stato adottato. Lui aveva il naso proprio come me. Così la mia mamma mi ha anche spiegato cosa è l’adozione. E io l’ho capito subito, cosa è l’adozione. Quando ti abbandonano davanti alla chiesa in un cestino di vimini e il prete ti trova e ti da a due genitori che vogliono tanto un bambino ma la cicogna non glielo porta mai, l’ho visto in un film. Che poi, la cicogna ora lo so che forse non esiste. Ho visto un programma in televisione, un paio di settimane fa, che faceva vedere delle donne in ospedale che urlavano e poi i medici gli portavano il bambino in braccio. Allora ho capito che il bambino lo fanno le donne e non le cicogne. La mamma mi ha spiegato che i bambini stanno nella pancia della donna per nove mesi e che ce li mette il babbo quando la bacia nel letto di notte e sono tutti nudi. E io ho fatto finta di crederle ma so perfettamente come si fanno i bambini. Coi miei amici ne abbiamo parlato spesso, Yuri ha già uno smartphone e cerca cerca su youtube, abbiamo trovato un video che lo spiegava. Quindi lo so. Altro che baci! Alla mamma non l’ho detto sennò poi iniziava a menarla su come l’ho scoperto, cosa ne penso, se ho domande… Però come esce dalla pancia non l’ho capito ancora bene, quindi ancora ogni tanto penso un po’ alla cicogna che rende le cose semplici. Magari appena torno a casa vado da Yuri e lo cerco su Youtube così mi tolgo il dubbio.
La zia torna in bagno, dice che l’acqua si è raffreddata perché sono stato fermo immobile senza fare la doccia. Secondo me la zia Rosa non è tanto in sé oggi, se pensa davvero che l’acqua si raffreddi con questo caldo che fa. Prima che cominci di nuovo a gridare mi alzo, mi tolgo i pantaloni e la maglietta, madida di sudore, e entro nella vasca azzurro cielo che, a prima occhiata, sembra la vasca di un bagno normale come quello di casa mia. Però per me normale non lo è più, non riesco a smettere di pensare che nei tubi non passa acqua. La zia mi guarda e si mette a ridere.
Il babbo è andato a comperare il platano. Il platano è come una banana, ha la stessa forma e anche lo stesso colore. Se è acerbo è verde se è maturo la buccia è gialla con striature nere, proprio come la banana. Ma va cucinato. La prima volta che l’ho assaggiato qualche anno fa non me ne sono nemmeno accorto che era platano, pensavo fossero patatine. Sì, perché il platano qua lo fanno fritto oppure lesso. Lesso a me non piace niente, nemmeno l’uovo, ma fritto mangerei anche una scarpa e il platano è squisito. La nonna Marysol lo taglia a rondelle e lo frigge in un litro d’olio bollente così quando lo tira fuori gocciola che è una meraviglia. Ecco, alla mamma era venuta voglia di platano poco fa e in casa non ce n’era. In casa qua da nonna non c’è mai niente a dir la verità, ma ormai mi sono abituato e non ci faccio più nemmeno caso. Quando la mamma ha nominato il platano la nonna è sbiancata, o meglio è diventata un po’ più chiara del solito visto che lei non è bianca ma è marroncina. Era preoccupata perché non avendo il platano non sapeva come soddisfare la voglia di mamma. Mi hanno detto che quando le viene il desiderio di mangiare qualcosa bisogna farglielo mangiare per forza, anche se è notte, anche se siamo in macchina, perché sennò poi il bambino nasce con una voglia spiaccicata sul viso magari.
La mamma è incinta, di pochi mesi, me lo ha detto dopo poco che siamo arrivati a Santo Domingo. Eravamo in spiaggia e stavamo giocando a schizzarci nell’acqua e io ho visto che la sua pancia era più grande del solito. Aveva come un melone sotto l’ombelico, bello tondo e tirato, e io le ho chiesto se avesse mangiato un cocomero e le fosse rimasto indigesto. Allora lei si è seduta sul bagnasciuga, mi ha preso la mano e mi ha fatto avvicinare a lei. Mi ha fatto sedere tra le sue gambe, come piace sempre a me quando siamo sul letto prima di addormentarci e lei mi fa i grattini sulla schiena. Mi ha abbracciato e mi ha detto:
«Ricordi che abbiamo parlato delle cicogne e dei bambini qualche tempo fa?».
«Sì, mamma, ma che c’incastrano le cicogne con la tua pancia ora… mica avrai mangiato una cicogna?!».
«No, Samu, che dici? Volevo dirti che qua nella mia pancia c’è il tuo fratellino… o la tua sorellina… ecco, tutto qua».
«Tutto qua??? Mamma, e quanto tempo è che è lì dentro? E chi ce lo ha messo, papà? Come mi hai spiegato tu? … No, no… quando? Io non ho visto niente, mai niente. Non vi siete mai baciati a letto nudi di notte, io passo sempre davanti camera vostra per andare in bagno e non ho mai visto niente. Ma sei sicura che sia lì dentro?».
«Quante domande, Samuel! Certo che sono sicura, mi sono fatta visitare da un dottore».
«E che ha fatto per vedere? Ti ha aperto la pancia?»
«No, con un macchinario che vede attraverso la pelle ha visto che c’era un bambino ma ancora non sappiamo se sia maschio o femmina, è ancora piccolo piccolo».
«E allora, quando esce? Guarda che io i miei giochi non glieli do, diglielo pure che dovrà farsi comprare i suoi!».
«Ah ah ah! Samu, sei davvero sciocco! Quando nascerà non vorrà i tuoi giochi, per molto tempo lui mangerà e dormirà e basta, come hai fatto tu nei tuoi primi mesi di vita. E comunque, ognuno avrà i suoi e li condividerà con l’altro. Non sei contento che avrai qualcuno con cui giocare?».
«Mah… un po’ contento sono, così quando gioco alla play posso mettere modalità due giocatori… ma questa cosa del condividere bisogna studiarla bene eh!».
Così mamma mi aveva detto del bambino nella pancia e quel giorno mi avevano spiegato anche delle voglie, perché mamma aveva detto di desiderare un frullato di ananas e mio papà era corso a comprarlo. Quindi ora che mamma vuole il platano e in casa non c’è, babbo è scappato al mercato vicino casa, per comprarlo.
Quando torna è sudato fradicio, mi fa piacere notare che l’umidità non fa sudare solo me. La gente qua cammina tranquilla, come se niente fosse, mentre io sento le gocce di sudore scendere lungo la schiena, e mi chiedo sempre se le persone siano normali o facciano tutte finta di non sudare. Vedere il papà, che qua ci è nato, sudare così mi rallegra. Fanno tutti finta di non sudare, allora. Appena entra in casa la nonna prende il platano e in pochi secondi sento già il rumore della frittura. Poco dopo la mamma già lo sgranocchia e nessuno osa chiedergliene un po’. Ma lei è così gentile e buona che mi si avvicina e me ne offre una fettina, anzi due, se voglio. La adoro, lei è davvero la mamma più buona del mondo! Ne prendo due, già che me le ha offerte non ho certo intenzione di rifiutare. Poi mi siedo sulla poltrona e la guardo. Ha una luce negli occhi che non le avevo mai visto, dice che la pancia fa questo effetto. Che quando una donna è incinta il viso le cambia, le cambiano i lineamenti. Mah, sarà. Mi sembra un po’ assurdo che cambino i lineamenti però ammetto che la vedo più serena, più bella. E’ sempre bella, la mia mamma, ma da quando c’ha la pancia lo è di più. E poi secondo me c’ha una forza incredibile. Anche se porta il peso di un bambino fa sempre tutto quello che faceva prima: spazza, stira, pulisce la casa, cucina, porta fuori il cane, guida. Io quando porto lo zaino a scuola che è peso come un incudine sento la schiena che mi si spacca e non ho la forza di masticare nemmeno un chewing-gum. Quindi c’è poco da pensare, le donne sono più forti degli uomini.

**********

Sono in spiaggia con la nonna. La mamma è distesa sull’asciugamano all’ombra di una palma sbilenca. Il papà è seduto con degli amici a un tavolino di plastica, in fondo alla spiaggia, dove ci sono le bancarelle di souvenir e le baracche che servono birra ghiacciata e pesce fresco alla griglia. Ci siamo fatti una scorpacciata di riso e fagioli e poi la nonna mi ha comprato il consueto latte di cocco. Il cielo comincia ad imbrunire, il sole pian piano scende nel mare come una palla infuocata e mescola il suo colore arancione con il grigiastro del mare in lontananza. Ci sono delle barche a vela che stanno tornando verso la riva. Quanto mi è piaciuto andare in barca a vela l’altro giorno col babbo. Abbiamo navigato per una mezz’ora buona, non sapevo che fosse capace di pilotare una barca, per di più mentre parla al cellulare. Quell’uomo è un mito per me, oltre a saper guidare la macchina e la moto parlando al cellulare, sa anche guidare le barche allo stesso modo. Che papà multitasking che ho!
Il bagnasciuga è un continuo bagnarsi e asciugarsi per le onde che vanno e vengono. L’acqua, se la guardo da vicino, è trasparente e cristallina. Quando lo racconto ai miei amici, a scuola, non mi credono. Quelli che vanno solitamente in vacanza in Sardegna mi dicono di vedere l’acqua trasparente anche lì. Io non ci sono mai stato, in Sardegna, ma sono pronto a giurare che un’acqua cristallina come questa non esista in altro luogo al mondo se non qui. Si tratta dei Caraibi, spiego sempre ai miei compagni, quelli dove Cristoforo Colombo quando è sbarcato si è messo a piangere dalla bellezza dei posti che vedeva. Questa storia non so se è vera in realtà, ma io la dico lo stesso.
Ho giocato un po’ con la sabbia, poi il papà mi ha rincorso lungo tutta la spiaggia. Adesso sono seduto con la nonna proprio in riva al mare. Penso al fratellino che nascerà. Mi chiedo se i miei genitori mi ameranno come prima oppure un pochino meno. La mamma mi ha rassicurato più volte, ma io un po’ di paura ce l’ho. Non penso che mi ruberà i giochi, ma temo che non sarò più il cocco di casa. Essere il pupillo di mamma e papà mi piace perché comprano sempre tutto per me, mi portano in posti differenti ogni estate per vacanza e poi ogni anno mi portano anche qua a Santo Domingo a vedere la nonna e le zie. Ho sentito papà, mentre parlava con la mamma, dire che una volta che sarà nato il fratellino forse non potremo più permetterci tanti viaggi. Questo secondo me vuol dire anche che non ci potremmo più permettere tanti giochi. Ed è proprio una grande disgrazia perché a me i giochi e Santo Domingo piacciono parecchio. Però la mamma, quasi con le lacrime agli occhi, gli ha risposto che i figli sono un dono di dio e che se averlo significava fare sacrifici lei era pronti a farli e altrettanto dovevamo essere noi. Vedere la mamma che piange non mi piace per niente, è così bella e sempre sorridente che le lacrime proprio non le si addicono.
La nonna, seduta al mio fianco, mi propone una sfida di “tiro dei sassi”. Lancio i sassi nel mare più lontano che posso. Lei ne prende uno e lo tira a filo d’acqua, facendolo rimbalzare ben tre volte sulla superficie prima di cadere in profondità.
«Nonna, ma sei bravissima! Chi ti ha insegnato?».
«Eh, Samu… mio nonno, quando era vivo, me ne ha insegnate di cose!», dice lei, poi continua: «Hai visto che tramonto stasera? Il sole sembra il tuorlo di un uovo fresco, come quelli delle galline di Doña Maria, che quando rompi il guscio il tuorlo non ne vuole sapere di rompersi e tentenna come fosse fatto di gelatina. Poi però, dopo qualche scossa, inizia a rompersi e allora l’arancione incomincia a mischiarsi con il bianco trasparente dell’albume fino a sfumare in un giallo morbido e caloroso».
«Nonna, ti posso chiedere una cosa?».
«Dimmi, piccino».
«Ma Dio esiste?».
«Niño, guarda questo tramonto, guarda il sole. Può non esistere Dio quando esiste un tramonto così?… Dio è il sole, Samuel».




Valentina Gerini


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