Gli scrittori della porta accanto

Le recensioni di Stefania Bergo: "Lo zaino di Emma" di Martina Fuga

Lo zaino di Emma è pesante. È un fardello che la sua mamma vorrebbe portare per lei. Ma non è possibile, nessuno lo può fare.
Martina Fuga è la mamma di Emma. In questo libro si mette a nudo, forse per un bisogno personale di esternare il peso di quello zaino che grava anche sulla sua anima, oltre che sulla vita di sua figlia. Come un sacchettino di sassi perennemente incastrato in gola, che non si riesce mai a deglutire, che preme contro la trachea e spesso toglie il respiro. Un nodo da districare.

Si può scrivere del dolore. Sì. Non toglie nulla al mio amore per Emma, anzi, mi libera, lo rende più autentico, più vero, più umano. Bisogna liberarsi da questo imbarazzo e buttarlo fuori per lasciare poi spazio a nuove emozioni, a nuovi progetti, a nuove speranze!

Martina resta incinta e malgrado i consigli, decide di non sottoporsi all’amniocentesi. Fa una scelta razionale e personale, decidendo per tutta la famiglia di amare semplicemente il figlio a lei destinato, sano o malato che sia, biondo o castano che sia.
Emma nasce il giorno della festa della mamma, come un dono. Nasce senza piangere e sconvolge la vita di mamma e papà e della sorellina Giulia. Lo fanno tutti i bambini, è vero. Ma Emma di più. Nasce con la sindrome di Down e solo allora tutti lo realizzano. Soprattutto la sua mamma che la tiene tra le braccia, felice per averla messa al mondo, quasi riluttante nell’accorgersi della verità. Perché, in quel momento, non ha importanza, non fa alcuna differenza.

Se in quel momento mi avessero detto: “Signora ci dispiace, sua figlia ha gli occhi neri e non verdi come lei desiderava tanto”, sarebbe stata la stessa cosa.

La scelta di Martina, però, a questo punto diventa una scelta di cuore, che ora coinvolge tutti, anche suo marito che già si è innamorato della piccola. Anche la sorellina Giulia, bambina “perfetta”, intelligente, bella, brava, che diverrà ora comparsa nella vita familiare. Non sarà semplicemente Giulia, ma sarà Giulia “la sorella di Emma”, con tutta la serie di oneri che questo comporta. Ecco il primo senso di colpa, la prima lacerazione, un grido molto più forte dei vagiti flebili di Emma.
Prima della notte delle “cose definitive”, Martina non ha mai pensato alla sindrome di Down, nessuno di noi lo fa realmente, se non quando la sindrome l’ha guardata negli occhi attraverso quelli di sua figlia. Uno zaino che comincia a pesare fin da subito, sebbene lei non avesse particolari aspettative sulla vita di Emma, così come non le aveva per Giulia. Ma si rende conto, subito e ancor più col tempo, che quel cromosoma in più, lungi dall’essere un difetto, è una zavorra, una fatica che accompagnerà sempre l’esistenza della sua bambina, un fardello di cui lei non si potrà mai far carico. Anche perché lei stessa dovrà portarne uno, il suo, la consapevolezza di non poterle risparmiare di affrontare il mondo e il dolore in più che la vita potrebbe riservarle.
Emma è radiosa, determinata, felice. Ha un carattere solare. È entusiasta della vita. Riesce a farsi amare da tutti. Il dolore sta solo attorno a lei, pare non tangerla nemmeno. Inconsapevolmente, diventa maestra di vita per la sua mamma, per la sua famiglia. Insegna a tutti a guardare il mondo con altri occhi, a cogliere le sfumature, i dettagli che altrimenti potrebbero sfuggire, perchè la vita al rallentatore di Emma ne fa assaporare tutti i passaggi della crescita. Insegna la pazienza, la lentezza, perché ogni suo progresso comporta un lungo lavoro, tempi dilatati, zavorra che schiaccia in basso, soprattutto l’anima. Ma in grado anche di trasformare una banale tappa evolutiva in una conquista d’incommensurabile valore.
I primi quattro anni di Emma sono i più “facili”, perché il confronto con i suoi coetanei è ancora solo marginale. Non si deve misurare con le loro capacità, non deve correre tra loro partendo svantaggiata per via di quello zainetto. Sono anni di una “normalità speciale”, un limbo misericordioso necessario a Martina per prendere coscienza di cosa comporti la sindrome di Down.
Accertamenti medici continui, supporti terapeutici cognitivi e motori, burocrazia per le dichiarazioni di disabilità, ingiuriose, sale su ferite sanguinanti.
Sensi di colpa verso il marito e Giulia, che forse hanno subito la sua decisione di mettere al mondo un figlio senza volersi interrogare sulla sua salute, mentre ora si trovano a vivere, quotidianamente, una realtà cui non erano stati preparati; sensi di colpa nei confronti di Emma, non solo per averla messa al mondo con uno zaino che mai si potrà togliere, ma anche, o forse soprattutto, per tutte le volte in cui lei stessa la tratta come “diversa”, per le volte in cui la guarda nei suoi grevi tentativi e non crede che possa farcela.
Martina prende anche coscienza degli sguardi che feriscono come sciabolate o irritano fino alla rabbia, fino alla voglia di gridare. Occhi che guardano altrove per imbarazzo o rifiuto del diverso o che s’inchiodano lì, carichi di domande e di irriverente pietismo. Lo sguardo degli altri è qualcosa che accompagnerà sempre Emma, ma che per ora viene subito coscientemente solo dalla sua mamma.

Se lo sguardo si deve posare su Emma, vorrei che fosse per vedere Emma, non la sua sindrome.

Sono anche gli anni in cui Martina vuole capire, vuole conoscere. Vuole sentirsi meno sola oltre i muri che la diversità ti costruisce attorno. Legge libri, si confronta con altri genitori sui forum, intesse amicizie al di là delle condizioni genetiche.
Con la scuola e la crescita di Emma cominciano le vere difficoltà della sua vita, semplicemente perché la bambina prende coscienza di sé, dei suoi limiti nei confronti degli altri. Nascono le sue prime frustrazioni che si acuiranno nell’adolescenza. Emma ha solo dieci anni, ma Martina non può fare a meno di pensare al suo futuro, sperando di poter restare nella sua vita il più a lungo possibile, inevitabilmente chiedendosi: che succederà quando io non ci sarò più? Come fanno tutte le mamme, del resto. Sebbene si renda conto che non potrà essere per sempre un filtro tra sua figlia e la realtà, che un giorno Emma si renderà conto di quello zaino e di non poterselo togliere mai. E forse si sentirà pure tradita dai suoi genitori, dai suoi fratelli (nella famiglia di Emma arriverà anche Cesare), che l’hanno sempre fatta sentire una bambina come tutte le altre.

Non posso fare a meno di chiedermi come sarebbe se… e non me lo chiedo per me, me lo chiedo per lei! Io di quello zaino sulle spalle di Emma posso anche farmi carico, ma fino a che punto? Non posso portarlo io al suo posto! Un giorno lei vorrà toglierselo quello zaino e io dovrò spiegarle che non è possibile. Quel giorno sarà il più difficile della mia vita.

In questo libro si alternano momenti di estasi, di ammirazione per le capacità inconsapevoli di Emma, per le sue conquiste, per la sua grinta e il suo ottimismo, la sua positiva predisposizione alle persone, a momenti di rabbia, di sconforto, di voglia di fuggire lontano dalla disabilità. Sentimenti, emozioni, umani, in carne e ossa, senza falsità, senza compromessi, senza retorica, oltre gli stereotipi e la superficialità della gente intorno. Martina si denuda e tiene Emma stretta in braccio per tutto il tempo. Lei vorrebbe farsi invisibile ma ci tiene a farci conoscere la sua bambina, coraggiosa, testarda, travolgente. Perché la disabilità non va negata ma nemmeno vissuta con compassione, né ammirazione, ma come un rapporto con l'altro alla pari. Ciascuno di noi, del resto, porta uno zaino sulle spalle, un carico che può essere più o meno pesante.
C’è un gran lavoro che tutti noi possiamo fare per abbattere stupidi luoghi comuni e false credenze, indifferenza o paura, intolleranza o repulsione. In altre parole, ignoranza.
Lo zaino di Emma” è il lungo percorso psicologico di una madre che affronta un imprevisto che cambierà per sempre la sua vita. È intriso di dolore e malinconia ma inspiegabilmente non lascia affranti. È una luce. Stimola sinapsi nella giusta direzione. La scrittura non è mai pesante, è un diario di vita, una chiacchierata con un’amica che ci racconta la sua quotidianità e quella della sua bambina. È un mulinello di colori e correnti d’aria a volte calda a volte fredda, il turbinio delle domande che spesso si pone.

Anche la mia bambina si chiama Emma. E quando sono rimasta incinta io l’amniocentesi l’ho fatta. Un po’ per la mia età, un po’ per una predisposizione genetica (mia sorella Sonia, infatti, aveva la distrofia muscolare). Sapevo dei rischi legati all’esame. Ma ancor più sapevo che avrei dovuto fare una scelta una volta ricevuto il risultato. Perché? Perché mia madre mi ha sempre raccontato la tristezza negli occhi di mia sorella quando, una volta presa coscienza dei suoi limiti, guardava gli altri bambini giocare, stando seduta su quel passeggino, senza poterli raggiungere. Perché incontro ogni anno sulla mia stessa spiaggia una coppia di vecchi genitori con un figlio paraplegico cui fanno il bagno in mare e lo asciugano con teli e amore e lo riparano all’ombra, leggendogli libri e pulendogli la bocca ogni volta che la saliva fuoriesce. E non posso fare a meno di chiedermi cosa succederà a qual ragazzo quando loro non ci saranno. Come potrà trovare altrettanto amore e dedizione? Non potrà, nessuno l’amerà mai come i suoi genitori.
Cosa è giusto? Cosa sbagliato? Mettere al mondo un figlio che forse è disabile o ammalato è un atto d'amore o di egoismo? Nessun giudizio, solo troppe domande che resteranno senza risposta....
Martina non ha voluto trovarsi in condizioni di dover fare una scelta. Io ringrazio Dio per non averla dovuta fare. 






Martina Fuga, mamma di una bimba con sindrome di Down, racconta la sua storia di vita possibile. 
Ricordi, episodi, riflessioni - narrati in una prosa asciutta ed essenziale - delineano il suo percorso di accoglienza della disabilità della figlia intrapreso tra difficoltà e successi quasi dieci anni fa. 
Lontano da intenti buonisti, spietato come la verità impone, "Lo zaino di Emma" racconta lo straordinario rapporto che lega una madre a una figlia e offre spunti di riflessione a chiunque si interroghi sul senso vero della vita.









di Martina Fuga | Mondadori | Biografia, Non fiction
ISBN 9788891800794 | cartaceo 14,90€ Acquista | ebook 6,99€ Acquista




Stefania Bergo
Non ho mai avuto i piedi per terra e non sono mai stata cauta. Sono istintiva, impulsiva, passionale, testarda, sensibile. Scrivo libri, insegno, progetto ospedali e creo siti web. Mia figlia è tutto il mio mondo. Adoro viaggiare, ne ho bisogno. Potrei definirmi una zingara felice. Il mio secondo amore è l'Africa, quella che ho avuto la fortuna di conoscere e di cui racconto nel mio libro.
Con la mia valigia gialla, 0111Edizioni.



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