Gli scrittori della porta accanto

Venuto al mondo, di Margaret Mazzantini: pagina 69

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Libri #72 Venuto al mondo, di Margaret Mazzantini, Mondadori, 2008. Un inno tenero e violento, implacabile e stravolto, al desiderio di maternità, in cui sembra annidarsi, germinalmente, il sentimento di una più grande speranza.

Ci siamo detti poco, a Genova pioveva. La pioggia si sentiva sotto le parole. Gli ho detto che da sposata non avrebbe più potuto chiamarmi. Mi ha detto che lo sapeva, che approfittava di questi ultimi giorni. Poi gli ho chiesto se era vero.
“Cosa?”
“Che vieni a Roma per poche ore.”
Non mi ha lasciato finire la frase. Credo che urlasse, saltasse… non si capiva esattamente che cosa stesse facendo.
Andava in stazione, saliva sul primo treno notturno. Aveva anche un regalo per me. Che regalo? Poi lo vedi. Mi ha detto che mi avrebbe spogliata e leccata dal collo ai piedi. Fino a farsi cadere la lingua.
Invece non è andata così. È andata come gli pareva. L’ho perso subito, quella notte stessa, quel bambino iniziato da poco. Non è stato niente, fisicamente. Dormivo, ho continuato a dormire. Poi al mattino dopo ho visto il sangue. Mi sono lavata, sono rimasta impietrita nello specchio. Non ero disposta a soffrire neanche quella mattina. Sono uscita subito, non ce n’era bisogno ma sono andata comunque in ospedale. Il ginecologo era una donna anziana, mi ha visitata, ha detto che non c’erano problemi, non avevo bisogno di niente, che molto spesso non ci si accorge nemmeno di queste gravidanze, il corpo le elimina da solo quasi subito. Sono ovuli ciechi, ha detto, camere gestazionali con un embrione appassito. L’ho ringraziata, le ho dato la mano, forse glie l’ho scossa più del dovuto, volevo chiederle ancora qualcosa ma non sapevo cosa.
In motorino ho chiuso gli occhi, ero a un semaforo. Mi sono tornate in mente quelle uova che mia madre mi faceva colorare a Pasqua, le svuotava con una siringa per non farle puzzare.
Diego tra poco sarebbe arrivato in stazione. Mi sono fermata a fare colazione in un bar. Ho preso un cornetto, di quelli troppo grandi che sembrano grosse orecchie. La marmellata sembrava cerume.


Quarta di copertina
“Venuto al mondo” di Margaret Mazzantini.

Una mattina Gemma lascia a terra la sua vita ordinaria e sale su un aereo, trascinandosi dietro un figlio, Pietro, un ragazzo di sedici anni. Destinazione Sarajevo, città-confine tra Occidente e Oriente, ferita da un passato ancora vicino. Ad attenderla all'aeroporto, Gojko, poeta bosniaco, amico fratello, amore mancato, che ai tempi festosi delle Olimpiadi invernali del 1984 traghettò Gemma verso l'amore della sua vita, Diego, "il fotografo di pozzanghere". Il romanzo racconta la storia di questo amore, una storia di ragazzi farneticanti che si rincontrano oggi, giovani sprovveduti, invecchiati in un dopoguerra recente. Una storia d'amore appassionata, imperfetta come gli amori veri. Ma anche la storia di una maternità cercata, negata, risarcita. Il cammino misterioso di una nascita che fa piazza pulita della scienza, della biologia, e si addentra nella placenta preistorica di una Guerra che mentre uccide procrea. Dopo "Non ti muovere", con una scrittura che è cifra inconfondibile di identità letteraria, Margaret Mazzantini ci regala un grande affresco di tenebra e luce, un romanzo-mondo, opera trascinante e di forte impegno etico, spiazzante come un thriller, emblematica come una parabola. Una catarsi che dimostra come attraverso tutto il male della Storia possa erompere lo stupore smagato, sereno, di un nuovo principio. Una specie di avvento che ha il volto mobile, le membra lunghe e ancora sgraziate, l'ombrosità e gli slanci di un figlio di oggi chiamato Pietro.


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