All’inizio non ci avevamo creduto, perché si sa che alla gente di chiesa piace spettegolare.
Come quella volta, quando tutti pensavamo che John, il nostro primo cerimoniere, stesse mettendo le corna alla moglie perché Betty, la segretaria del pastore, l’aveva sorpreso in un pranzetto intimo con un’altra. Una donna giovane ed elegante, per giunta, di quelle che camminano ondeggiando i fianchi, anche se non avrebbe dovuto ondeggiare proprio un bel niente davanti a un uomo sposato da quarant’anni. Di fronte a un’unica scappatella si poteva anche chiudere un occhio, ma flirtare in un caffè all’aperto davanti a burro e croissant? No, quella era tutt’altra cosa.
Prima che potessimo dirgliene quattro però, John si presentò in chiesa quella domenica stessa insieme alla moglie e alla giovane ancheggiante – una pronipote in visita da Fort Worth – e la cosa finì lì.
All’inizio ci sembrò che potesse trattarsi di un segreto di quel genere, anche se, a essere sinceri, la sensazione era un po’ diversa. Ed era diverso anche il gusto. Sì, perché tutti i buoni segreti hanno un sapore, prima di essere raccontati, e se avessimo aspettato solo un istante, giusto il tempo di assaggiarlo, avremmo sentito l’asprezza del segreto acerbo, raccolto troppo presto, rubato e passato di bocca in bocca non ancora maturo. E invece no. Rivelammo subito questo segreto aspro, un segreto iniziato la primavera in cui Nadia Turner si fece mettere incinta dal figlio del pastore e andò a risolvere la questione in una clinica per aborti giù in città.
Aveva diciassette anni, allora. Viveva con il padre, un uomo della Marina, e senza la madre, che si era suicidata sei mesi prima. Da quel momento la ragazza si era guadagnata una fama da ribelle – era giovane e spaventata, e cercava di nascondere lo spavento dietro la sua bellezza. Perché era bella, anzi bellissima, con la carnagione ambrata, lunghi capelli che sembravano seta, e occhi screziati di marrone, grigio e oro. Come molte ragazze, aveva già imparato che la bellezza ti spoglia e allo stesso tempo ti nasconde, e come molte ragazze non aveva ancora imparato ad amministrare la differenza tra le due cose. E così venimmo a sapere tutto delle sue fughe oltre confine alle discoteche di Tijuana, la bottiglietta d’acqua piena di vodka che si portava appresso per Oceanside High, i sabati trascorsi alla base militare a giocare a biliardo con i marines, serate che si concludevano con i suoi tacchi contro il finestrino appannato di qualcuno di loro. Tutte storie, forse, ma adesso sappiamo che almeno una era vera: trascorse l’ultimo anno di liceo a rotolarsi nel letto di Luke Sheppard e quando arrivò la primavera, il suo bambino le stava già crescendo dentro.
«Che mi dici dei bastoncini di pesce?» gli aveva chiesto.
«Intrisi di unto.»
«La pasta ai frutti di mare?»
«Pericolosa.»
«Cosa ci può essere di tanto pericoloso in una pasta?»
«Sai come fanno quella merda? Prendono gli avanzi del pesce e li ficcano nei ravioli.»
«Va bene, ma almeno il pane?»
«Se non finisci il tuo pane, lo portiamo a un altro tavolo. Magari ti ritrovi a toccare lo stesso pane di uno che si è grattato le palle tutto il giorno.»
L’ inverno in cui sua madre si era uccisa, Luke aveva salvato Nadia dalle pepite di granchio. (Finto granchio fritto nel lardo.) Nadia aveva cominciato a sparire dopo la scuola, a prendere autobus per poi scendere dove capitava. Certe volte andava verso est, a Camp Pendleton, dove guardava un film o giocava a bowling allo Stars and Strikes oppure faceva una partita a biliardo con i marines. Quelli giovani erano i più soli, e allora trovava sempre un gruppetto di reclute, a disagio tra teste rasate e anfibi massicci, e prima che la serata finisse ne baciava uno, finché baciarsi non le faceva venire da piangere. Altre volte andava a nord oltre la chiesa, la Upper Room Chapel, dove la costa diventava
frontiera. A sud incontrava altre spiagge, spiagge più belle, spiagge dove la sabbia era bianca come le persone sdraiate a prendere il sole, spiagge con passerelle di legno e montagne russe, spiagge dietro ai cancelli. Verso ovest non poteva andare. L’ovest era l’oceano.
Prendeva gli autobus per andarsene dalla sua vecchia vita, quella in cui dopo la scuola si fermava con le amiche nel parcheggio, prima delle lezioni di guida, oppure salivano sulle gradinate a guardare gli allenamenti di football o si trasferivano in massa all’In-N-Out. La vita in cui cazzeggiava al Jojo’s Juicery con i suoi colleghi di lavoro, ballava intorno ai falò sulla spiaggia e si arrampicava sul pontile quando la sfidavano, perché faceva sempre finta di non avere paura. Si stupiva ripensando a quante poche volte fosse stata sola, allora. Sembrava che le sue giornate passassero da una mano all’altra come il testimone di una staffetta: l’insegnante di aritmetica la consegnava a quello di spagnolo, poi a quello di chimica, dopo agli amici e infine di nuovo a casa, dai genitori. Un giorno, però, la mano di sua madre non c’era stata più e lei era caduta sul pavimento come un sasso.
Prima che potessimo dirgliene quattro però, John si presentò in chiesa quella domenica stessa insieme alla moglie e alla giovane ancheggiante – una pronipote in visita da Fort Worth – e la cosa finì lì.
All’inizio ci sembrò che potesse trattarsi di un segreto di quel genere, anche se, a essere sinceri, la sensazione era un po’ diversa. Ed era diverso anche il gusto. Sì, perché tutti i buoni segreti hanno un sapore, prima di essere raccontati, e se avessimo aspettato solo un istante, giusto il tempo di assaggiarlo, avremmo sentito l’asprezza del segreto acerbo, raccolto troppo presto, rubato e passato di bocca in bocca non ancora maturo. E invece no. Rivelammo subito questo segreto aspro, un segreto iniziato la primavera in cui Nadia Turner si fece mettere incinta dal figlio del pastore e andò a risolvere la questione in una clinica per aborti giù in città.
Aveva diciassette anni, allora. Viveva con il padre, un uomo della Marina, e senza la madre, che si era suicidata sei mesi prima. Da quel momento la ragazza si era guadagnata una fama da ribelle – era giovane e spaventata, e cercava di nascondere lo spavento dietro la sua bellezza. Perché era bella, anzi bellissima, con la carnagione ambrata, lunghi capelli che sembravano seta, e occhi screziati di marrone, grigio e oro. Come molte ragazze, aveva già imparato che la bellezza ti spoglia e allo stesso tempo ti nasconde, e come molte ragazze non aveva ancora imparato ad amministrare la differenza tra le due cose. E così venimmo a sapere tutto delle sue fughe oltre confine alle discoteche di Tijuana, la bottiglietta d’acqua piena di vodka che si portava appresso per Oceanside High, i sabati trascorsi alla base militare a giocare a biliardo con i marines, serate che si concludevano con i suoi tacchi contro il finestrino appannato di qualcuno di loro. Tutte storie, forse, ma adesso sappiamo che almeno una era vera: trascorse l’ultimo anno di liceo a rotolarsi nel letto di Luke Sheppard e quando arrivò la primavera, il suo bambino le stava già crescendo dentro.
Luke Sheppard serviva ai tavoli del Fat Charlie’s Seafood Shack, un ristorante vicino al molo rinomato per il cibo fresco, la musica dal vivo e l’atmosfera familiare.
O almeno così diceva la pubblicità sul San Diego Union Tribune, se eri tanto stupido da volerci credere. Bastava aver frequentato Oceanside per un po’ per sapere che quel cibo fresco era in realtà il fish & chips del giorno prima fatto rinvenire sotto la lampada a infrarossi, e che la musica dal vivo, quando c’era, di solito era suonata da teenager raffazzonati, jeans a brandelli e una spilla da balia a trapassargli le labbra. Nadia Turner sapeva altre cose del Fat Charlie’s che non potevano figurare su una pubblicità, per esempio il fatto che una porzione di Charlie’s Cheesy Nachos era lo snack perfetto dopo una sbornia o che il capocuoco vendeva il fumo migliore a nord del confine. Sapeva che dentro al locale c’erano dei salvagenti gialli appesi sopra al bancone e per questo, dopo i turni più faticosi, i tre camerieri neri lo soprannominavano “la nave degli schiavi”. Sapeva i segreti del Fat Charlie’s perché glieli aveva raccontati Luke.«Che mi dici dei bastoncini di pesce?» gli aveva chiesto.
«Intrisi di unto.»
«La pasta ai frutti di mare?»
«Pericolosa.»
«Cosa ci può essere di tanto pericoloso in una pasta?»
«Sai come fanno quella merda? Prendono gli avanzi del pesce e li ficcano nei ravioli.»
«Va bene, ma almeno il pane?»
«Se non finisci il tuo pane, lo portiamo a un altro tavolo. Magari ti ritrovi a toccare lo stesso pane di uno che si è grattato le palle tutto il giorno.»
L’ inverno in cui sua madre si era uccisa, Luke aveva salvato Nadia dalle pepite di granchio. (Finto granchio fritto nel lardo.) Nadia aveva cominciato a sparire dopo la scuola, a prendere autobus per poi scendere dove capitava. Certe volte andava verso est, a Camp Pendleton, dove guardava un film o giocava a bowling allo Stars and Strikes oppure faceva una partita a biliardo con i marines. Quelli giovani erano i più soli, e allora trovava sempre un gruppetto di reclute, a disagio tra teste rasate e anfibi massicci, e prima che la serata finisse ne baciava uno, finché baciarsi non le faceva venire da piangere. Altre volte andava a nord oltre la chiesa, la Upper Room Chapel, dove la costa diventava
frontiera. A sud incontrava altre spiagge, spiagge più belle, spiagge dove la sabbia era bianca come le persone sdraiate a prendere il sole, spiagge con passerelle di legno e montagne russe, spiagge dietro ai cancelli. Verso ovest non poteva andare. L’ovest era l’oceano.
Prendeva gli autobus per andarsene dalla sua vecchia vita, quella in cui dopo la scuola si fermava con le amiche nel parcheggio, prima delle lezioni di guida, oppure salivano sulle gradinate a guardare gli allenamenti di football o si trasferivano in massa all’In-N-Out. La vita in cui cazzeggiava al Jojo’s Juicery con i suoi colleghi di lavoro, ballava intorno ai falò sulla spiaggia e si arrampicava sul pontile quando la sfidavano, perché faceva sempre finta di non avere paura. Si stupiva ripensando a quante poche volte fosse stata sola, allora. Sembrava che le sue giornate passassero da una mano all’altra come il testimone di una staffetta: l’insegnante di aritmetica la consegnava a quello di spagnolo, poi a quello di chimica, dopo agli amici e infine di nuovo a casa, dai genitori. Un giorno, però, la mano di sua madre non c’era stata più e lei era caduta sul pavimento come un sasso.
Quarta di copertina"Le madri" di Brit Bennett, Giunti, 2017.
Nadia Turner ha diciassette anni, frequenta l’ultimo anno di liceo in un college di Oceanside, non lontano da San Diego, e porta nel cuore il peso insopportabile del suicidio della sua mamma, avvenuto pochi mesi prima. Nadia vive, o sopravvive, insieme al padre, uomo buono ma incapace di una relazione con lei. Nonostante tutto le ricordi il dolore e la colpa di sua madre, Nadia si ribella e guarda avanti, aspettando di sapere se è stata ammessa a una delle università cui ha fatto domanda e innamorandosi di Luke Sheppard, che proprio come lei ha qualcosa da dimenticare: figlio del pastore della chiesa che entrambi frequentano, era un campione nella squadra di football del college, ma una brutta frattura ha spezzato la sua gamba e la sua promettente carriera. La loro storia è emozionante e trasognata come tutti gli amori a quell'età, fino a che Nadia non rimane incinta, e le sembra che abortire sia la sola scelta giusta: è così facile, ogni ragazza oggi sa che è un diritto per il quale generazioni di donne hanno lottato. Nadia nasconde il suo segreto a tutti, compresa Aubrey, la nuova grande amica che condivide con lei il dolore di una madre perduta.
Da giovani gli anni corrono veloci, senza quasi accorgersene Nadia, Luke e Aubrey diventano adulti: e quando Nadia torna a Oceanside per il matrimonio di Aubrey, l’ombra delle scelte compiute durante quella lontana estate in riva al mare cala improvvisamente su di loro come un debito da pagare, come una domanda che esige risposta. A narrarci la loro storia sono “le madri”, il cuore della comunità della Upper Room Chapel, che danno voce al coro senza tempo delle donne, a volte pettegole e spietate ma più spesso capaci di ascoltare le parole non pronunciate, di scrutare i segni dei tempi, di portare nel loro grande cuore il segno di un destino difficile.
Ambientato nella comunità nera della California del Sud, il romanzo d’esordio di Brit Bennett è un libro sull'amore, sui desideri, sulle luci e le ombre – scandagliate senza retorica e con coraggio – dell’essere madri. Con una scrittura incredibilmente matura e al tempo stesso freschissima ci pone una domanda bruciante: quando diventiamo adulti, è possibile sfuggire al peso delle scelte compiute dai noi stessi più giovani che siamo stati?
Da giovani gli anni corrono veloci, senza quasi accorgersene Nadia, Luke e Aubrey diventano adulti: e quando Nadia torna a Oceanside per il matrimonio di Aubrey, l’ombra delle scelte compiute durante quella lontana estate in riva al mare cala improvvisamente su di loro come un debito da pagare, come una domanda che esige risposta. A narrarci la loro storia sono “le madri”, il cuore della comunità della Upper Room Chapel, che danno voce al coro senza tempo delle donne, a volte pettegole e spietate ma più spesso capaci di ascoltare le parole non pronunciate, di scrutare i segni dei tempi, di portare nel loro grande cuore il segno di un destino difficile.
Ambientato nella comunità nera della California del Sud, il romanzo d’esordio di Brit Bennett è un libro sull'amore, sui desideri, sulle luci e le ombre – scandagliate senza retorica e con coraggio – dell’essere madri. Con una scrittura incredibilmente matura e al tempo stesso freschissima ci pone una domanda bruciante: quando diventiamo adulti, è possibile sfuggire al peso delle scelte compiute dai noi stessi più giovani che siamo stati?
★★★★★
Il buon giorno si vede dal mattino, dicono, e un buon incipit e una copertina accattivante possono essere il perfetto bigliettino da visita di un libro.
Secondo voi, quante stelline si merita il biglietto da visita di questo libro?
Tutti i nostri incipit:
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