Gli scrittori della porta accanto

Sa Paradura: la solidarietà dei pastori sardi per i colleghi terremotati di Cascia, di Tamara Marcelli

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I valori fuori dal tempo: sa Paradura, i pastori sardi si mobilitano per aiutare i colleghi di Cascia. Un'antica usanza di mutuo soccorso del mondo pastorale, un'isola che, ancora una volta, si dimostra legata alle tradizioni ma proiettata al futuro.

Albeggia. Sul cielo azzurro cinereo d'una dolcezza triste e profonda, curvato sull'immenso paesaggio silenzioso, passano sfiorando larghi meandri di un rosa pallidissimo, via via sfumanti nell'orizzonte ancora oscuro. Grandi vallate basse, ondeggianti, uniformi, s'inseguono sin dove arriva lo sguardo, chiazzate d'ombra, selvagge e deserte. Non un casolare, un albero, una greggia, una via.
Grazia Deledda
C’è un tempo che possa misurare la generosità di un popolo? C’è un luogo che possa raccogliere quel che si dona?
Il tempo è infinito, i luoghi non esistono, la solidarietà umana non ha misure né confini. Sempre e ovunque. Quando un popolo, trascinandosi dietro millenni di tradizioni stupisce le nuove generazioni con gesti di mutuo soccorso, allora quel popolo è un vero Popolo.
Sardegna, isola di sogni e magia, porterai un po’di te ovunque si poserà un pensiero, un ricordo, un gesto d’amicizia, un aiuto che vorrai donare.
Così guarderai sempre avanti, vivendo il tuo tempo, unico e profondo, ricco di gesti, di parole non dette, di sguardi che sanno colmare certi vuoti, di abbracci e strette di mano che hanno il valore di un ordinamento, che riflettono secoli di una civiltà immutabile. Sempre uguale a se stessa, ferma come roccia nonostante il vento del tempo.
Una civiltà che sa trovare soluzioni ai suoi problemi, che sogna il Bene per tutti. Che si adegua, ma non cambia. La sua forza è questa granitica volontà ancestrale di rivivere in sé, di portare avanti le proprie tradizioni anche a costo di rimanere “isolata” dal resto del mondo. La sua sopravvivenza si nutre proprio di gesti simbolici, rituali, un po’ magici e che spesso lasciano senza parole chi di quella civiltà non sente scorrere il sangue nelle vene.
Sardegna, isola di rinascita continua.

Sa Paradura (la riparazione), detto anche Su rimediu o S’atzudu, Sa ponidura, è un gesto di profonda solidarietà, un modo per riportare quell’equilibrio necessario a una società che vuole continuare a vivere.

Il mondo pastorale sardo ha insegnato da tempo che antiche usanze, le cui origini si perdono nei secoli, sono capaci di risollevare un membro della comunità come un paese intero. Dopo una disgrazia, una calamità naturale, ogni parente, vicino, confinante, donava una pecora al malcapitato per aiutarlo a ricominciare. Colui che beneficiava di “Sa paradura” doveva essere una persona meritevole, un uomo di sani principi e di elevata moralità, dotato di quei valori alla base della cultura sarda. Questo beneficio non veniva quindi concesso a chiunque indistintamente. Tutti nella comunità sapevano chi era degno e chi no. L’aiuto arrivava puntuale e senza condizionamenti.
Ricostruito il gregge con la partecipazione di tutti, nella “domo” (casa, paese), si organizzavano grandi feste collettive, le “sciallas”. Occasioni per festeggiare un nuovo inizio. Sa Paradura rappresenta un aiuto importante, decisivo, intriso di alto valore morale. S’Amistade (l’Amicizia) in Sardegna, nella società barbaricina in particolare, è alla base di tutti i rapporti umani. In presenza, come in assenza.
La forza dei legami di questa cultura resiste alla disgregazione della società contemporanea. Si dovrebbe prendere esempio.

Sa domo est pitticca su coru est mannu.
La casa è piccola, il cuore è grande.

La solidarietà e la generosità spesso travalicano i confini.

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Già in occasione del terribile terremoto de L’Aquila del 6 aprile 2009, i pastori sardi si prodigarono per aiutare i loro colleghi in terra d’Abruzzo: raccolsero circa 3000 pecore da donare in segno di amicizia. Molti agnellini nacquero in viaggio tra la Sardegna e l’Abruzzo: il primo nato a L’Aquila, concepito sul Gennargentu e nato ai piedi del Gran Sasso, fu chiamato Ospitone, in onore di un re nuragico a capo dei Sardi Barbaricini vissuto nel VI° secolo durante la dominazione bizantina.
Ora accade di nuovo, i pastori sardi si mobilitano per aiutare i colleghi di Cascia che hanno perso tutto nella serie di terremoti che da agosto 2016 sta flagellando le regioni dell’Italia centrale. Sono state raccolte 1000 pecore da circa 600 pastori sardi residenti in varie parti dell’Isola. 150 piccoli comuni interessati. Domenica 2 aprile, ieri, sono giunti a Cascia e le pecore sono state consegnate a 40 pastori del piccolo centro umbro in provincia di Perugia, al confine con il Lazio, nella comunità montana della Valnerina. Un luogo speciale. Immerso nel verde, poco distante da Norcia. Il paese di Santa Rita, la santa dei casi impossibili, la santa delle rose. Un luogo che infonde serenità, che ricorda, seppur lontanamente, alcuni paesi del centro Sardegna.
Dopo la consegna dei capi, come vuole la tradizione sarda, si è tenuto un pranzo aperto a tutti per festeggiare Sa Paradura.
Si può cercare di comprendere il valore di un capo di bestiame solo conoscendo a fondo la società agro pastorale e le sue leggi, le sue priorità. Il mutuo soccorso e l’affido di animali riportano all’usanza di affidare i figli come “Fillus de anima” per il loro bene.

Sa cosa dividia, s’angelu si dua sezziri.
La cosa suddivisa, ha la benedizione dell’Angelo.

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Ma la cultura barbaricina ha altri istituti sociali, pratiche consolidate nei secoli per sostenere l’intera società e consentirle di sopravvivere anche nelle avversità. 

Per esempio, “S’Aggiudu torrau” (l’aiuto restituito) consisteva nell’aiuto che ogni membro della comunità poneva in essere in maniera volontaria e gratuita nei confronti di un altro membro, il quale, alla prima occasione, l’avrebbe restituito. In questo modo si manteneva in equilibrio e in pace l’intero paese, eliminando il pericolo che gente disperata potesse disgregare la comunità impiantando disordine e violenza. Si prestavano anche attrezzi da lavoro e si donava il pane per le famiglie in difficoltà. Sembra un altro mondo, sembrerebbe utopia.
Queste pratiche sociali resistono tutt’oggi in particolare nelle piccole comunità dell’interno Sardegna, quelle agricole e pastorali, quelle familiari. Resistono e, fortunatamente, regalano quella speranza che si trasforma in opportunità di rinascita, quel sostegno senza il quale l’uomo sarebbe perduto.
È un’occasione per riflettere.
«Il rimedio è in noi» sentenziò la vecchia. «Cuore, bisogna avere, null'altro...»
Grazia Deledda


Tamara Marcelli
Artista poliedrica, eccentrica, amante dell'arte in tutte le sue forme. Una sognatrice folle. Ha studiato Lettere e Tecniche dello Spettacolo, canto e recitazione per oltre dieci anni e ha lavorato come attrice in alcuni importanti Teatri del Lazio. Scrive poesie, romanzi, testi teatrali, articoli e saggi.
Il blu che non è un colore,  Montag.
Il sogno dell'isola,  Montag.


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