Gli scrittori della porta accanto

Recensione: Il sole scuro, di Irene Barbagallo

Recensione: Il sole scuro, di Irene Barbagallo

Libri Di Stefania Bergo. Il sole scuro, di Irene Barbagallo (0111 Edizioni). Autolesionismo adolescenziale, senso di inadeguatezza, di colpa, disgusto per una realtà subita e non scelta.

Giada ha solo diciassette anni e un passato con una macchia oscura, come il sole che si porta dentro. Un sole che non splende, ma scalda ancora. Una luce che non riesce ad uscire dai suoi occhi e dal suo sorriso, ma che è lì, rannicchiata come una gattina arrendevole, in attesa che qualcuno la aiuti ad evadere. Il senso di colpa di Giada per la morte del padre la porta a procurarsi tagli e abrasioni, nel più classico autolesionismo adolescenziale, e a valutare tutto ciò che le accade intorno attraverso un filtro che spesso falsa la verità, la peggiora, la spegne.

Leggere Il sole scuro è come galleggiare nella mente di Giada, tra i suoi pensieri che si susseguono in modo discreto come uno slideshow d’immagini. 

La narrazione di Irene Barbagallo nella prima parte mi ha riportato le atmosfere di Noi ragazzi dello zoo di Berlino. Scritto in terza persona, al tempo tempo presente, il romanzo narra un breve periodo, che pare un anno scolastico, della vita di Giada.
Nella prima parte del romanzo, il suo autolesionismo, il suo senso di colpa, il suo subire gli sbalzi d’umore della madre, anch’essa in balia di una vita che non ha scelto, che ha interrotto il suo sogno perfetto prima del sorgere del sole, l’amicizia con un ragazzo molto più grande, vittima parimenti di una vita subita, violento e cocainomane, rendono psichedelica la narrazione. Le immagini di un passato ideale, colorato, si sovrappongono ad un presente scuro, opaco, monocromatico. Istantanee che danno dinamicità alla narrazione.
C’è un vuoto davanti ai suoi occhi e quella canzone lo ingigantisce. Il soffitto e le pareti non hanno colore. È un bianco che diventa grigio, dapprima chiaro, poi più grigio, più grigio ancora. Nero. Sfumature che cambiano di intensità, irregolari e in movimento, come nuvole di mare, quando i gabbiani volano altrove, perché sentono che arriva la tempesta, e vanno a ripararsi. Forse anche lì, tra quei grigi dei muri, da qualche parte è nascosto il sole, ma lei non sa dove sia. Sarà scuro per sempre. Per lei e per sua madre, che ha perso il giallo e il rosso della vita ed è rimasta sola, cercandoli oltre le pareti di quella casa senza mai riuscirvi.

Irene Barbagallo è bravissima a rendere il senso di inadeguatezza, il disgusto, la colpa pesante come un frammento di roccia, il bisogno di evadere da una realtà che ferisce.

La descrizione delle lesioni autoinflitte, la sensazione che ne scaturisce, appagante, calmante, leggere la mente trasparente di Giada mentre trasforma la sua prima idilliaca volta in un abuso subito, è l’unico modo in cui questo libro avrebbe potuto essere scritto.
Il getto quasi freddo lava via un pezzo di angoscia, scende in rivoli, fa scivolare i rifiuti. Come si sente lei. Un rifiuto, uno sputo di cui vorrebbe liberarsi perché è sporco, dà fastidio, è una sostanza inutile, disgustosa.
All’amore, qualche volta ci aveva pensato, ci pensa. Ed è uno spettacolo lontano, quando lo pescava negli occhi dei suoi genitori, in quel modo che avevano di guardarsi da amiconi complici e di giocare con le piccole cose, di stuzzicarsi come bambini che si fanno il solletico, e ridono con la bocca aperta. Quei suoni caldi e avvolgenti, nella bolla leggera della spensieratezza. Non può essere amore quello che ha fatto. Ma l’ha fatto. […] No, per lei l’amore non esiste e non esisterà mai. Non è un premio che toccherà a lei, come lo immaginava da bambina, credendo di meritarselo, come tutti i suoi coetanei, i grandi e i vecchi, che camminano mano nella mano, e fanno sesso come possono, con le mani tra le gambe e l’orgasmo piccolo. Lei l’amore lo ha pugnalato alle spalle, dopo averlo respirato in casa. Non le tornerà indietro. Non è giusto, non è corretto. La vita ti punisce se la privi di qualcosa.

Allo stesso tempo, Irene Barbagallo è abile a descrivere i momenti di tenerezza, come bolle protettive che ovattano la vita altrimenti spinosa.

Giada si appoggia sulla sua spalla e insieme guardano quel disco rosso che tocca l’orizzonte con il suo lembo inferiore, fino a scomparire del tutto dopo pochi minuti. Ora il cielo è un quadro pennellato di rosa, con le piccole nuvolette striate che si allargano e fanno spazio al blu cobalto che nasce e si mescola con l’arcobaleno della terra.
Mezz’ora di bellezza assoluta, di pace, di poesia.
Presto la notte scura prenderà il posto del crepuscolo e le stelle la incideranno con i loro piccoli splendori. Forse ci sarà anche la sua, la stella di cui le parlava suo padre. Ognuno ha la sua.
Non ho letto altri libri di questa bravissima autrice, ma ciò che mi ha colpita di Il sole scuro, al di là della trama semplice, è il modo in cui ha saputo raccontare la storia, facendola vivere in tutte le sue sfumature. Un’autrice che continuerò a seguire nelle sue prossime pubblicazioni, perché merita davvero di essere conosciuta, anche da chi crede che solo un nome noto sia in grado di scrivere con autentico stile.


Il sole scuro

di Irene Barbagallo
0111Edizioni
Young adult | Romanzo psicologico
ISBN 788863078619
Cartaceo 14,50€
Ebook 2,99€

Sinossi

Il sole scuro è un romanzo ambientato a Torino e racconta la storia di Giada, una diciassettenne sensibile e sognatrice che, all’età di tredici anni, ha vissuto il dramma della perdita di suo padre Hadrian, morto in mare per salvarla. La ragazza non riesce a esprimere il suo disagio e, seguendo un richiamo inconscio, si procura ferite sul corpo con l’autolesionismo. È il suo segreto, quello che lei definisce “il sole scuro”, pensando all’astro luminoso nascosto dalle nuvole nere sul mare che le ha portato via suo padre. Sua madre Lilly ha perso l’uomo che amava e si è trasformata da donna amorevole in una persona discontinua che alterna momenti di dolcezza ad altri di rabbia, rimproverandola e umiliandola per futili motivi. Il suo comportamento nei confronti di Giada, già dilaniata dal senso di colpa, spinge quest’ultima a convincersi della propria inettitudine e a isolarsi dal mondo dei suoi coetanei, così lontano da lei e dal suo male di vivere.
L’incontro con Stefano, un ragazzo violento e tossicomane, con il quale conosce per la prima volta il sesso, l’alcol e la cocaina, la conduce sempre più verso il baratro dell’autodistruzione. Intanto l’amicizia con Gerino, il suo insegnante privato di latino, si trasforma nel tempo in un sentimento più profondo e salvifico. Come Giada, anche lui convive con il rimorso di avere spinto al suicidio l’ex-fidanzata a causa del suo abbandono. La somiglianza degli eventi dolorosi di cui sono stati protagonisti crea tra di loro un sentimento di forte empatia. Grazie a lui e ad Adelmo, un sessantenne che si innamora di sua madre facendole ritrovare la serenità perduta, Giada si riscatta dal legame malato con Stefano e riconquista la propria dignità e l’autostima, avviandosi verso una nuova visione della vita.



Stefania Bergo
Non ho mai avuto i piedi per terra e non sono mai stata cauta. Sono istintiva, impulsiva, passionale, testarda, sensibile. Scrivo libri, insegno, progetto ospedali e creo siti web. Mia figlia è tutto il mio mondo. Adoro viaggiare, ne ho bisogno. Potrei definirmi una zingara felice. Il mio secondo amore è l'Africa, quella che ho avuto la fortuna di conoscere e di cui racconto nel mio libro.
Con la mia valigia gialla, StreetLib collana Gli scrittori della porta accanto (seconda edizione).
Mwende. Ricordi di due anni in Africa, Gli scrittori della porta accanto Edizioni.
La stanza numero cinque, Gli scrittori della porta accanto Edizioni.


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