Gli scrittori della porta accanto

Sogni e progetti: talento, disciplina e gioia sul palcoscenico, intervista a Gigliola De Feo


Cara Gigliola, è un piacere averti qui oggi. Grazie per il tempo che ci dedichi. 
Inizio con una domanda che, per un’artista poliedrica come te, sarà sicuramente riduttiva. Ti va di raccontarci chi sei in tre frasi? Qualunque aspetto della “te professionale” che ti vada di condividere...
Se penso a me stessa, la prima cosa che mi viene in mente è: sono un'attrice. Ma soprattutto sono un'attrice che crede profondamente nella valenza sociale del suo mestiere, cosa che mi induce a svolgerlo con grande senso di responsabilità. Il secondo aspetto che mi caratterizza fortemente è l'impegno politico: l'attività politica è un momento fondamentale della mia vita, è il mio modo per dare un senso alla parola "comunità" e fare la mia parte. Last but not least: sono una convinta femminista del XXI secolo. La battaglia per le pari opportunità tra donne e uomini è la mia battaglia.

Hai iniziato a recitare seguendo una passione, ma per seguire le passioni ci vuole sempre una dose incredibile di coraggio. Dove hai trovato la motivazione e la forza per non mollare mai?
Io non penso che sia vero che non si molla mai!!! Si molla, eccome, ogni tanto!!! È successo anche a me, a un certo punto. Poi ho fatto pace con me stessa, con il mio modo di essere, con le mie aspirazioni ed oggi riesco ad avere un buon equilibrio interiore. A distanza di anni ho compreso cosa intendeva la mia insegnante di dizione (l'attrice Silvia Luzzi) quando ci diceva che sarebbe venuto il tempo in cui avremmo odiato il nostro mestiere, e che riuscire poi a farci pace sarebbe stata la vittoria più grande.
Il mio amore per il Teatro, per il Cinema, per il personaggio da trovare ogni volta dentro di me, per la bellezza di un testo o di un'inquadratura resta sempre più forte di tutto: finché il palcoscenico continuerà ad essere il posto dove sono più felice al mondo, vorrà dire che ne vale ancora la pena...

Sei una mamma, oltre che una donna professionalmente realizzata. Purtroppo ancora oggi, nel 2015, si sentono notizie di donne che vengono discriminate sul lavoro e che devono dare più del massimo per dimostrare il loro valore. C’è stato da poco il caso della giovane di Venezia che, durante un colloquio di lavoro, è stata cacciata perché si è rifiutata di rispondere alle domande sul suo stato sociale. Pensi che per le donne fare carriera sia più difficile che per gli uomini? Credi che la discriminazione si possa mettere finalmente a tacere se noi giovani donne iniziamo a farci valere?
Sì, penso che le donne facciano carriera con più fatica rispetto agli uomini, non lo dico per vittimismo, è un dato di fatto supportato purtroppo da autorevoli statistiche. Molte professioni sono ancora precluse (se non in teoria, almeno in pratica): per esempio, quante donne primario conosciamo? Il fenomeno del cosiddetto "soffitto di cristallo" è duro a morire. Così come perdura il divario di retribuzione tra maschi e femmine a parità di lavoro svolto. Senza contare le attività di cura parentale e domestica che ricadono essenzialmente sulle donne, con evidenti difficoltà di conciliazione tra il lavoro fuori casa e quello dentro casa. Sono temi che continuano a far parte della nostra vita quotidiana, è indubbio che dal secolo scorso ad oggi molti passi avanti sono certamente stati compiuti ma non basta. La discriminazione si combatte innanzitutto convincendo le donne più giovani che nel XXI secolo c'è ancora bisogno di essere femministe, seppur in un modo differente da come lo sono state le nostre mamme; si combatte partendo dalle piccole cose: letture giuste, educazione alla parità nelle scuole, imparare a dire "ministra", "avvocata", "assessora", "architetta"... perché il linguaggio segna e disegna le cose, le parole a lungo andare sono in grado di cambiare il mondo e trascurare questo aspetto significa chiudere gli occhi su molte cose. Infine, si combatte anche con strumenti come le quote rosa che io, personalmente, non ho mai amato. Confesso, però, che oggi ho dovuto ricredermi, perché noi donne siamo "numericamente" troppo indietro rispetto agli uomini: per questa ragione, dobbiamo partire prima dalla quantità e solo dopo, purtroppo, potremo pensare anche alla qualità.

Per i giovani è sempre stato difficile “trovare una strada da seguire”, ancor più “seguirla”. Oggi è particolarmente vero. Che messaggio ti piacerebbe trasmettere a tutti gli adolescenti, gli universitari e i neolaureati?
Mamma mia!!! Se posso dare messaggi ai "giovani" vuol dire davvero che sono diventata "adulta"!!!! A parte gli scherzi, dalla prospettiva dei miei 39 anni posso affermare con certezza che la mia generazione è quella più massacrata degli ultimi decenni. Noi non siamo stati molto fortunati, per mille e uno motivi che sono sotto gli occhi di tutti, ma ad ogni modo l'unico suggerimento che può valere, secondo me, per tutte le generazioni, è essere sempre personalmente convinti delle scelte che si intraprendono. In tutto: in amore, nel lavoro... Perché se poi le cose non vanno come speravamo, almeno saremo salvi dal rimpianto di non aver ascoltato noi stessi.

Stai lavorando a dei progetti teatrali interessanti e complessi. Ti va di parlarcene?
Lo scorso Marzo abbiamo debuttato a Napoli in anteprima nazionale con "Simone che credeva nelle donne", monologo teatrale dedicato a Simone de Beauvoir, da me scritto ed interpretato per la regia di Andrea Fiorillo. Sulla scena sono Simone - colta in un momento qualunque di una qualunque giornata in cui si sta preparando per uscire - che in un immaginario dialogo con il suo grande amore e compagno di una vita, Jean Paul Sartre, racconta di sé. Attualmente siamo in tournée, e siamo particolarmente colpiti e contenti dall'affetto che il pubblico ci dimostra ogni volta, al termine della rappresentazione, in particolare le donne sono sempre molto toccate, ma anche gli uomini devo dire, alcune spettatrici spesso si commuovono fino alle lacrime. La cosa entusiasmante, ad ogni modo, è sentirsi dire dai più giovani che la nostra Simone fa venire loro la voglia di scoprire chi è stata questa grande pensatrice del secolo scorso, troppo spesso colpevolmente dimenticata dai nostri programmi di studio scolastici.

Che tipo di formazione è necessario ricevere per diventare un bravo attore o una brava attrice? Bisogna avere già dentro quel “qualcosa”, oppure lo si può apprendere?
Certamente, qualcosa che "fa rumore" in fondo a noi stessi deve esserci! Nel senso che il talento non si può inventare dal nulla, chi sceglie l'arte come percorso di vita e professionale deve necessariamente possedere quel 'quid', possiamo chiamarlo "sacro fuoco" o in qualunque altro modo, ma senza è davvero difficile. Quando feci il mio provino di ammissione alla scuola diretta a Roma da Giulio Scarpati che è stato il mio Maestro, seppi poi che lui aveva visto una "piccola luce" dentro questa ventenne timida che ero io, e aveva deciso di scommetterci, anche se io non avevo mai frequentato nessun corso di recitazione prima di allora. Questo per dire che, però, il talento non basta a se stesso, senza studio non si fa molta strada. La tecnica è fondamentale, anche per dare dignità di mestiere a qualcosa che troppo spesso viene percepito come attività ludica, quando invece è tutt'altro. Ci vuole impegno, fatica, senso della disciplina e del sacrificio per fare davvero il mestiere di attore. È uno dei motivi per cui non amo i Talent televisivi, credo ci sia poca verità in una scuola che ha come obiettivo andare in onda con una trasmissione settimanale: in qualche modo, quello che conta è la puntata e dunque gli "allievi" per quella data devono essere pronti, anche se nella realtà non lo sarebbero. Questo vuol dire che si forza un po' la maturazione artistica di una persona, piegandola ai fini dello spettacolo televisivo. Nelle scuole vere non funziona così. Lo so bene, perché dopo il diploma con Giulio ho cominciato ad insegnare al suo fianco come sua assistente didattica, per 7 anni, ed oggi alla professione di attrice unisco quella di docente a tutti gli effetti perché ho una mia scuola di recitazione a Napoli che si chiama "La Falegnameria dell'Attore" e che dirigo con il mio fraterno amico e collega Andrea Fiorillo.

I tuoi tre romanzi preferiti? Anche i testi teatrali vanno benissimo!
Sicuramente "Lettera a un bambino mai nato" di Oriana Fallaci che ho letto da adolescente e che mi ha sconvolto per la sua crudezza e la sua forza, toccando un tema così politico e insieme intimo come la maternità e l'aborto. Crescendo, ho amato molto la cilena Marcela Serrano, tutti i suoi libri, forse in particolare "Antigua vita mia" ma anche "Nostra signora della solitudine", e "Noi che ci vogliamo così bene"....insomma, mi riesce difficile scegliere perché è un'autrice che mi ha accompagnato in una fase importante della mia vita, tra i 25 e i 30 anni, e mi ha lasciato molto. Infine, mi porto nel cuore Gianni Rodari, tutto lo scibile "rodariano" in assoluto!!! Ma un posto particolarmente dolce lo occupano nei miei ricordi le sue "Favole al telefono", colonna sonora delle mie sere d'infanzia prima di dormire...

Un grande, grande grazie per le tue risposte. E un in bocca al lupo gigante!






Giulia Mastrantoni
Da quattro anni collaboro all’inserto Scuola del Messaggero Veneto, scrivo per il mash up online SugarPulp e per la rivista dell’Università di Trieste Sconfinare.
Dopo aver trascorso un periodo in Inghilterra, ho iniziato un periodo di studi in Canada, ma, dovunque sia, scrivo.
Misteri di una notte d’estate, edito da Edizioni Montag, è la mia prima antologia di racconti.
One Little Girl – From Italy to Canada, eBook selfpublished.



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