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Stupri e violenza nella vera storia della Bella addormentata

Stupri e violenza nella vera storia della Bella addormentata

Di Stefania Bergo. La bella addormentata nel bosco della Disney, la versione del 1959, è solo una delle tante interpretazioni di una fiaba tradizionale europea che viene da lontano – nel tempo.


Gli elementi essenziali della trama sono talmente diffusi da potersi considerare un tema ricorrente del folklore, anche se le precedenti versioni assomigliano più ad un moderno film horror che ad una fiaba da raccontare ai bambini, il cui titolo più correttamente è La bella nel bosco addormentato.

La versione più antica, in cui il tema è attestato, è considerato il Roman di Perceforest del 1340, ambientato all'epoca dei Greci e dei Troiani, ed incentrato sulla principessa Zellandine, innamorata di Troylus.

Il padre della principessa mette il giovane alla prova per verificare se è degno di sua figlia e, non appena egli parte, Zellandine cade in un sonno incantato dopo aver giocherellato con un fuso e un filo di lino stregati. Il padre la rinchiude in una torre, su un letto, completamente nuda – dettaglio un po' morboso.
Quando Troylus fa ritorno, viene a sapere cosa è successo alla sua amata. Così, con l’aiuto di Venere, la Dea, e di Zeffiro, un demone-folletto, il principe scala la torre e, trovandosi davanti la bella Zellandina nuda sul letto, addormentata, decide di approfittarsene, stuzzicato da Venere, dice lui. Viene concepito un bambino e sarà proprio la sua nascita a provocare il risveglio di Zellandina, rimuovendo il filo di lino che causava il suo sonno.
Alla fine i due si sposano. Ma mi riesce difficile pensarli felici e contenti con un tale esordio.

La successiva versione è Sole, Luna e Talia, una fiaba racchiusa nel Pentamerone di Giambattista Basile, capolavoro barocco del 1634, la prima che si possa definire una fiaba in senso stretto.

In questo caso, il sonno non è frutto di un incantesimo ma di una profezia e il principe non bacia la principessa per risvegliarla ma la violenta nel sonno ed è uno dei due figli che nasceranno a risvegliarla. In questa versione, oltre allo stupro, è presente anche il cannibalismo, frutto della crudeltà bieca di una moglie tradita.
Il Re viene messo in guardia dai saggi sul grave pericolo di avvelenamento incombente su sua figlia Talia, minacciata da un filo di lino presente a palazzo. Così, il sovrano, bandisce l’uso del lino a corte, ma come previsto Talia si punge con una scheggia avvelenata mentre fila sul suo fuso – che se un indovino mi dicesse "morirai filando il lino", io cercherei decisamente qualche altro passatempo, ma tant'è. Colto da grande disperazione, il re depone il corpo addormentato – o forse morto, non è chiaro – della figlia su un velluto e lo lascia nella foresta.

Qualche tempo dopo, un nobile ricco, mentre è a caccia nei boschi, si imbatte nel corpo abbandonato della principessa.

Lungi dal darle un salvifico bacio come vuole la versione edulcorata della fiaba, il nobile la violenta. Nove mesi più tardi, la bella addormentata dà alla luce i due bambini – Sole e Luna – frutto dell'atto violento. Sono le fate della foresta a prendersi cura delle due creature mentre la madre continua a dormire. Allorché le fatine le attaccano al seno i figli, uno dei due accidentalmente si confonde e le succhia un dito, estraendo così la scheggia avvelenata. Talia si sveglia quindi dal suo sonno profondo e si ritrova madre senza nemmeno conoscere chi sia il padre dei suoi figli, senza averlo minimamente programmato ma, fortunatamente, senza nemmeno ricordare la violenza subita.
Mesi dopo, il nobiluomo decide di tornare nei boschi per togliersi un altro prurito con un corpo addormentato, ma, con sua grande sorpresa, la principessa è sveglia e lui si ritrova a fare i conti non solo con un involucro, ma con una donna pensante. Il nobile le confessa di averla violentata ma invece di ricevere in cambio accuse, grida e giusta rabbia – e magari una bella denuncia per violenza sessuale – la principessa si concede a lui, ora consenziente, nel fienile. Poi lui, lungi dallo sposarsi e vivere felici e contenti, se ne torna prevedibilmente a casa dalla moglie.

La moglie del nobile, però, scoperto il tradimento, invece di prendersela con lui e infrangere i cliché – a pensarci bene era forse un po' presto per farlo – ordina che i figli di lui vengano rapiti e cotti vivi.

Appena il signore finisce il pasto, la moglie sadica gli annuncia «hai mangiato ciò che è tuo!». Ma fortunatamente, il cuoco ha un cuore tenero e, invece di uccidere e cucinare i bambini, li ha sostituiti con una capra.
Come finisce questa storia? La moglie, pensando di essersi vendicata, ripudia il marito fedifrago e lui, come vuole il più rivoltante copione, si rifugia dall'amante, facendole credere di averla scelta e dandole l'illusione del "vissero per sempre felici e contenti", lui, lei e i due figli.

Alla versione pubblicata nei Racconti di Mamma Oca di Charles Perrault, La belle au bois dormant, si deve il titolo con cui oggi la fiaba viene comunemente indicata.

Rispetto all'originale francese, però, il titolo comune italiano – così come quello inglese – è scorretto: dormant, al maschile, è riferito a bois e non a belle, per cui una traduzione più corretta sarebbe La bella nel bosco addormentato.
Perrault, che prese il tema da Sole, Luna e Talia, lo edulcorò notevolmente, rimuovendo dalla fiaba ogni aspetto perturbante, essendo la fiaba destinata ad un pubblico dell'alta borghesia che mal tollerava il tema del tradimento ma che avrebbe gradito un'orchessa crudele affamata di bambini.
In questa versione, per celebrare il battesimo della tanto sospirata figlia, un Re e una Regina, non ben identificati, invitano tutte le fate del regno, come madrine. Ognuna delle fate dona qualcosa alla neonata: chi la bellezza, chi la saggezza, chi il talento musicale. Sopraggiunge, però, una fata cattiva (che solo in questa versione e nelle seguenti compare) che non era stata invitata e per vendicarsi dell'affronto scaglia sulla bambina la celeberrima maledizione. Una delle fate buone, pur non potendo annullare il maleficio, lo mitiga, trasformando la condanna a morte in quella di 100 anni di sonno, da cui la principessa potrà essere svegliata solo dal bacio di un principe.

Per impedire che la profezia si compia, il Re bandisce tutti gli arcolai dal suo regno ma la principessa, all'età di quindici anni, come previsto, incontra una vecchietta che sta tessendo e la maledizione si compie.

La fata buona, sopraggiunta per aiutare la sua figlioccia, fa addormentare insieme alla principessa l'intero castello.
Negli anni, principi valorosi tentano invano di oltrepassare la fitta rete di rovi che avvolge il castello incantato, fino a quando, esattamente dopo 100 anni, un principe giunge al castello e miracolosamente i rovi si aprono dinnanzi a lui. Il principe trova la principessa, se ne innamora a prima vista e le dà il bacio che finalmente la risveglia.
E vissero per sempre felici e contenti? No! La storia continua...
Il principe sposa la principessa e mettono al mondo due figli, una femmina e un maschio: Aurora e Giorno. Tuttavia, sono costretti a nascondere il loro matrimonio e soprattutto i loro figli alla madre di lui, tremenda orchessa divoratrice di bambini. Che fortuna per la principessa dopo 100 anni di attesa, vero?

Quando la suocera scopre la famiglia segreta del figlio – ormai diventato re – decide di sterminarla.

Non appena il re si allontana dal castello, l'orchessa ordina che i suoi nipoti le siano serviti per cena. Ma fortunatamente il cuoco salva i bambini servendo alla padrona un agnello e una capretta. Non paga di ciò, la suocera chiede che le venga servita pure la nuora, costringendo il cuoco ad un altro sotterfugio. Ma l'orchessa scopre l'inganno e decide di uccidere essa stessa la principessa e i suoi figli gettandoli in un cortile fatto appositamente riempire di vipere e altre creature velenose. Fortunatamente, il ritorno provvidenziale del re manda a monte i suoi piani e a lei, ormai scoperta, non resta che suicidarsi gettandosi fra le vipere.

Una versione parzialmente simile, nella prima parte, a quella di Perrault si trova nei Kinder - und Hausmärchen(1812) dei fratelli Grimm, col titolo Rosaspina.

La versione dei Grimm corrisponde a quella di Perrault solo fino al risveglio della principessa; questa parte è anche quella più nota al pubblico moderno e corrisponde alla versione Disney, in cui il nome della principessa è Aurora, chiamata però Rosaspina quando le fatine buone la allevano nel bosco.
Nella raccolta dei fratelli Grimm, si racconta anche il prequel, cioè la storia del re e della regina e del loro ardente desiderio di avere una figlia che non arrivava.
Un giorno, mentre la regina fa il bagno, spunta un gambero – evidentemente il gambero di un donatore – che le predice che avrà una bellissima bambina. E infatti, dopo poco – nove mesi forse? – la regina e il re diventano genitori e tale è la loro felicità che vogliono condividerla con tutto il regno, dando una grande festa. Invitano anche le fate del regno, che sono tredici. Ma devono rinunciare a invitarne una perché possiedono soltanto dodici piatti d’oro per il pranzo – o magari per una questione di sfiga.
Il resto della fiaba è pressoché corrispondente alla precedente versione, con alcune differenze: la vecchietta incontrata dalla principessa è la tredicesima fata travestita; quando il principe prescelto arriva, i cento anni della maledizione sono appena trascorsi, così a barriera del castello non trova spine ma fiori bellissimi che si ritirano al suo passaggio e lo fanno entrare.

Queste sono solo alcune delle fiabe di cui la versione disneyana può dirsi pronipote.

Sebbene un'ulteriore modifica alla trama sia stata fatta in tempi recenti, con la versione cinematografica Maleficent, in cui la protagonista non è più la bella principessa che si addormenta, ma la strega cattiva che scaglia la maledizione. E il principe azzurro è solo una mera comparsa, non più bieco e violento, non più puerile fedifrago, non più cavaliere salvifico e portatore di Vero Amore. Dallo stupro all'emancipazione femminile, La Bella nel bosco addormentato (rendiamo onore al titolo originale di Perrault) può dirsi lo specchio dei tempi, anche se, ahimè, le tracce della versione primitiva (non a caso uso questo aggettivo) sono ancora ben visibili...

Stefania Bergo


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