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Afghanistan: l'emancipazione della donna è in bicicletta

Afghanistan: l'emancipazione della donna è in bicicletta

Di Loriana Lucciarini. La condizione della donna in Afghanistan nell'A.D. 2016: l'emancipazione avviene anche attraverso la bicicletta e la partecipazione a competizioni internazionali di ciclismo.

Fino al 1994, le donne afghane avevo gli stessi diritti degli uomini: studiavano e avevano accesso alle professioni anche di alto livello (medici, ingegneri e altro).
Dopo la presa al potere dei talebani è stato tolto loro ogni diritto; è stato instaurato un sistema di sottomissione totale e da quel momento in poi la donna in Afghanistan è stata considerata utile solo a perpetuare la specie, soddisfare i bisogni degli uomini e occuparsi della casa. Gli uomini quindi hanno potuto esercitare il potere assoluto e hanno condizionano fortemente la libertà delle donne in ogni aspetto della loro vita.

Senza più diritti, alle donne afghane era stata sottratta ogni libertà e la stessa dignità di essere umano.

Senza più diritti, senza cure adeguate (non potevano essere visitate da un uomo e i medici donna erano diventate rari, visto che a loro era stato precluso l'accesso ai percorsi formativi d'istruzione), alle donne afghane era stata sottratta ogni libertà e la stessa dignità di essere umano. Erano state anche private di un volto, nascoste anche allo sguardo, obbligate a indossare il burqua che le ricopriva totalmente e nel quale vivevano una condizione di costrizione totale, coperte da pesanti veli anche sul viso in cui non riuscivano neanche a respirare liberamente. Le donne vivevano quindi segregate in casa, sotto un totale controllo degli uomini, in una condizione di prigionia forzata che le privava di ogni libertà: a loro venivano applicate le punizioni anche fisiche per ogni minima violazione della legge del Corano, comminate con una puntigliosità e crudeltà rigorosa; le case avevano addirittura i vetri oscurati per impedire di poterle vedere da fuori.
Così in passato molte donne si sono lasciate morire o si sono suicidate, utilizzando l'unica forma di libertà a loro permessa: la libertà di rinunciare.

Dal 2001, dopo la guerra e la caduta dei talebani, le cose sono lentamente migliorate per le afghane.

Anche se il recente passato ha fortemente minato lo stato psichico delle donne di questo paese, in molte sono quelle coraggiose e impegnate nella battaglia culturale per il ripristino di diritti e dignità.
Proprio per questo l'iniziativa di queste donne sportive ha connotazioni eccezionali e non può e non deve essere vista solo come un'impresa sportiva.
Infatti, in un interessante articolo tratto dall'Internazionale, dal titolo Donne in sella, si racconta come, in Afghanistan, quaranta donne coraggiose stiano provando a sfidare le regole imposte dalla loro società, partecipando alle gare internazionali di ciclismo.
In una società restrittiva come quella afghana – con i retaggi culturali profondi che i talebani hanno imposto con la forza – questa iniziativa non è ben vista dalla società locale: le atlete sono state spesso oggetto di scherno e di pesanti insulti. L'allenatore e presidente della Federazione Ciclistica Afghana supporta questa loro impresa, anche se i problemi non mancano: le cicliste sono state costrette ad allenarsi fuori città e di recente la capitana è stata oggetto di un'aggressione.
Ma queste coraggiose donne sanno che la strada per l'emancipazione può avere anche percorsi sportivi e sono determinate a raggiungere questo obiettivo, combattendo questa battaglia culturale a loro rischio e pericolo. Grazie a loro, forse, verrà data speranza di cambiamento a molte altre donne di questo paese.
Proprio per questo io farò il tifo per loro, e voi?


Loriana Lucciarini


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