Lettere fra l’erba è innanzitutto una storia di amore e di amicizia, una storia piena di pathos, forte e drammatica, intensa e coinvolgente, commovente ed emozionante.
Una storia generazionale che si svolge su due piani temporali. Nel piano del presente la protagonista è Isabella, una ragazza che torna a vivere nel mondo reale, a casa da suo padre, dopo aver trascorso molti anni in collegio: non perché ricca e snob, ma perché ha perso sua madre quando aveva pochi mesi. Nel piano del passato, che va negli anni dal 1990 al 1997, la protagonista è Ilaria, la madre di Isabella, una figura vitale e piena di energia, una ragazza generosa e passionale, ma fragile e insicura.
La struttura del romanzo è un incrocio complesso ma perfettamente strutturato, in cui si ritrova la vita della madre, del padre, degli amici, ed è nella sovrapposizione affascinante dei due piani che si dipana la storia.
Alcuni protagonisti e figure minori appaiono in entrambi i piani: cito per primo Antonio, per la sua presenza e il coinvolgimento in tutta la storia e per l’affetto che – lo confesso – provo per lui. Da giovane aveva tentato il suicidio, ed era stata proprio la vicinanza e l’amicizia di Ilaria ad aiutarlo a superare la depressione. Tra loro c’è sicuramente una forte attrazione, ma non riescono a trovare la via per stare insieme davvero. Ilaria si sposa con Vincenzo, ma presto il loro matrimonio entra in crisi, e questa volta è Antonio che le sta vicino. Ma nonostante la passione e l’amore che li lega (vi sono descrizioni di sesso stupende!) i due riescono a ferirsi. Anche altri personaggi sono importanti per l’intera struttura narrativa del romanzo: il gruppo degli amici con cui Ilaria ha diviso tempo, amicizia, gioie e amori, nonché la passione per il teatro e la musica.
Isabella, con i suoi sedici anni e la sua passione per il teatro, ha un desiderio, quasi un’ossessione: ricostruire l’immagine di sua madre, che non ha mai conosciuto perché è morta quando era ancora in fasce. Proprio grazie al teatro si imbatte in alcuni amici della madre, che spesso si trovano a disagio nel raccontarle di lei. Perché? Trova poi una scatola con delle lettere che sua madre e un’amica intima, trasferitasi a Milano, si scrivevano. Con timore, ma con interesse, comincia a leggere per trovare le proprie origini, le ragioni per le quali le persone accanto a lei – a partire da suo padre – tacciono. Molte delle verità che scopre la feriranno profondamente, ma è una ragazza forte e tenace e arriverà da sola fino in fondo, fino alla scoperta di un segreto finale di cui non voglio svelare nulla. Del resto non poteva essere suo padre a rivelarle tutto: lui, uomo chiuso e silenzioso, si è ripreso da poco da una depressione. La ama ma non c’è una vera confidenza. Non poteva essere neanche Antonio, quell’uomo per cui, da ragazzo, “bastava chiudere gli occhi per far diventare sì i no”, perso da anni nei rimorsi, o qualcun altro degli amici. Così la ricerca di Isabella procede, ha ormai capito molte cose, a volte ha trovato un muro davanti, ma non si dà per vinta. E continua la lettura delle lettere, fino all’ultima, con la quale tutto le diventa chiaro. Solo dopo Isabella potrà vivere una vita più serena, una volta chiarite le sue domande, una volta chiariti i rapporti con la gente che le sta intorno. I silenzi di tutti erano pesanti: ma alla fine, grazie alla sua forza e alla tenacia, Isabella avrà, a differenza di sua madre, il suo lieto fine.
Quando l’autrice Clara Cerri racconta le vicende di Ilaria la storia si infiamma di passione, quella giovane donna viveva di sentimenti forti, l’amore come la sofferenza e la depressione; vengono svelate anche tutte le delusioni e gli errori della sua vita, fino alla sua fine tragica.
Sembra tutto vero nel romanzo, ci si riconosce nell’uno o nell’altro. Negli anni Novanta avevo circa la stessa età dei personaggi, ho riconosciuto amiche e amici miei. Ho riconosciuto passioni e ideali di quegli anni.
Non svelo nulla quando dico che il rimorso e il dolore più grande per Antonio è di non aver capito fino a che punto Ilaria soffriva: della morte di Ilaria si racconta fin dal principio del romanzo. Ma non è tutto. Il seguito è tutto nella ricerca di Isabella, nelle sue domande urgenti e nel suo bisogno di avere risposte.
Il ritmo della storia è scorrevole, i dialoghi autentici, la struttura solida; i diversi punti di vista dei personaggi centrali del romanzo si alternano in un gioco sempre piacevole: anche le scene d’amore e di sesso sono descritte ora dal lato maschile ora da quello femminile.
Lo stile è appassionato, forte, infuocato, coinvolgente. L’autrice sa usare le parole come lame di coltelli; sono tornata a leggere le frasi che ho sottolineato: sono troppe per proporle qui.
Non mi resta che consigliare il libro, nella speranza di trovarlo presto in forma cartacea nelle librerie.
Isabella cerca di ricostruire il volto di una madre che non ha mai conosciuto dai ricordi degli amici di lei, dalle lettere di un'amica lontana, dallo stesso bisogno di amore e di bellezza che sente crescere dentro di sé. Lentamente si farà strada tra i rimorsi e i silenzi di suo padre e di tutti quelli che la circondano, attraverso momenti di rabbia e di sconforto, per trovare la sua verità su Ilaria, sua madre, e sulla storia d'amore che ne ha segnato la vita.
«Ha perso sua madre, persa e basta, come si perdono i palloncini, e non tutti perché volano in cielo.
Ha perso gli anni per vederla invecchiare e lo spettacolo del coraggio che sognava di mostrare, coraggio che doveva arrivare dove non poteva l'amore, solitudine dove il pensiero di poter tornare a essere felici fosse lasciato vivere, in fondo agli occhi, per farli belli e verdi. Ha perso l'infanzia, che è finita.
Ma le risate, quante risate ha fatto, quante volte in quattro mesi l'ha fatta ridere quell'uomo che il sogno maldestro ringiovanisce? Forse più di quelle che sua madre immaginava, ed è bello pensarlo».
«Ha perso sua madre, persa e basta, come si perdono i palloncini, e non tutti perché volano in cielo.
Ha perso gli anni per vederla invecchiare e lo spettacolo del coraggio che sognava di mostrare, coraggio che doveva arrivare dove non poteva l'amore, solitudine dove il pensiero di poter tornare a essere felici fosse lasciato vivere, in fondo agli occhi, per farli belli e verdi. Ha perso l'infanzia, che è finita.
Ma le risate, quante risate ha fatto, quante volte in quattro mesi l'ha fatta ridere quell'uomo che il sogno maldestro ringiovanisce? Forse più di quelle che sua madre immaginava, ed è bello pensarlo».
di Clara Cerri | Lettere Animate | Narrativa
Paola Casadei In origine farmacista e direttore tecnico di laboratorio omeopatico, ha lasciato Forlì per trasferirsi prima a Roma, poi a Montpellier, quindi per dodici meravigliosi anni in Africa (otto in Sudafrica e quattro in Mozambico), dove ha insegnato musica e italiano. Ora risiede a Montpellier con la famiglia. L'elefante è già in valigia, Lettere Animate Editore. |
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