Gli scrittori della porta accanto
PostPaolaCasadei
PostPaolaCasadei
Barbara Gabriella Renzi presenta: Voci di stelle

Barbara Gabriella Renzi presenta: Voci di stelle

Barbara Gabriella Renzi presenta: Voci di stelle

Presentazione Libri Intervista a cura di Paola Casadei. Barbara Gabriella Renzi presenta Voci di stelle (Santelli): brevi storie di donne, metaforiche e oniriche, che raccontano il bello e il brutto della vita.

Barbara Gabriella Renzi ha studiato filosofia, lingue e psicologia in Italia e nel Regno Unito e insegna Italiano agli stranieri presso la Technische Hochschule (TH) di Colonia. Ha pubblicato libri di filosofia e antropologia in italiano e in inglese. Ha tradotto storie di vita e racconti sui “The Troubles” nordirlandesi.
Recentemente ha pubblicato Scaglie di sapone, un libro di racconti poetici, Storie di donne, e ha curato un’antologia di donne expat, Parole Migranti con la PAV edizioni. Quindi Storie stellari con edizioni Ensemble e Voci di stelle con CTL.

Voci di stelle

di Barbara Gabriella Renzi
CTL
Narrativa | Poesia
ISBN 978-8833871677
Cartaceo 13,30 €

Sinossi 

La realtà si presenta spesso come una nube complessa e inesplicabile per chi la sa guardare da vicino. Purtroppo, però, si tende spesso a semplificare e la lotta contro barriere visibili e invisibili e il valore delle donne viene sottovalutato. La malattia, o anche semplicemente il disagio mentale, sono spesso considerati polvere fastidiosa da nascondere sotto un tappeto, un niente.
Questo libro, un poco magico e un poco poetico, racconta la nostra forza, quella di noi donne, intendo. Odissea e le sue compagne, tra cui una stella, vi guidano attraverso i meandri della mente umana, dove incontrerete molte donne, diverse l'una dall'altra, una stella, pianeti fantastici e nuvole formate da corde. Le nostre protagoniste sono donne comuni ma è proprio nella loro normalità che vi riconoscerete. Questo libro è formato da una serie di brevi racconti che mostrano la nostra storia di donne, la nostra odissea quotidiana attraverso i colori e le forme di un quadro magico, dipinto usando sabbia, cielo e nuvole.


L'autrice racconta


Benvenuta nel nostro salotto letterario!

Grazie di ospitarmi qui nel vostro salotto. Ne sono lieta ed onorata.

Parlami un pochino di te, così capiamo meglio anche i tuoi scritti.

Ho sempre scritto da quando ero bambina. Per me scrivere è sperimentazione, crescita, gioco ed essenza. Quasi un “da sein”. Scrivo per passione, perché non potrei farne a meno. Non ho mai voluto che la mia arte fosse contaminata da regole esterne, quando scrivo voglio creare il mio mondo che, poi, se sia un riflesso del mondo esterno o della mia mente, lo lascio decidere ai filosofi di professione che ci dicono quanto noi siamo il prodotto esterno e quanto la realtà sia un nostro prodotto. Scrivere per me è essere, l’arte è essere. Senza arte non ci sarebbe vita. Forse le parole sembrano un pochino forti, ma credo che ogni artista mi capisca perfettamente. Non dico che gli artisti vivano artisticamente, ma vivono con un’interpretazione del reale che è la loro arte. Ecco, forse dovrei parlare per me più che per una categoria, incerta in se stessa come ogni categoria, ma credo di non sbagliare troppo quando affermo che l’arte è il nostro velo di pensiero.

Mi hai detto che hai iniziato a scrivere da giovane. Quando e cosa?

La mia maestra mi ha iniziato alla scrittura. Ci faceva scrivere delle belle fiabe a casa. E io mi divertivo un mondo. Poi devo dire che ho iniziato veramente alle superiori con racconti poetici e poesie. Sono stata “spedita” al liceo scientifico quando a me interessavano solo la letteratura e la filosofia, quindi ti puoi immaginare come passavo le ore di matematica. Invece di leggere cercavo di comporre versi nella mia mente. Tutte le superiori sono state veramente una noia mortale, anche perché si fa poca letteratura contemporanea e, almeno nel mio caso, abbiamo passato molto tempo a studiare la vita di scrittori. Insomma, non è stato quello che mi sarei aspettata. Ho cominciato a scrivere durante quel periodo adolescenziale in cui si sente la vita in maniera forte, in cui le sfumature di grigio svaniscono e compaiono solo bianco e nero. Poi ho continuato per anni, ma non ho mai avuto il coraggio di spedire e pubblicare. Il mondo dell’editoria mi sembrava troppo complesso.

Parliamo di Voci di Stelle. Raccontami questo libro con le tue parole.

Voci di Stelle è stato scritto “velocemente in anni”. Ecco, non vorrei sembrare completamente folle, ma questo è quello che è accaduto: ho impiegato anni per finirlo, ma quando scrivevo dovevo finire tutto di getto, quasi come se un cane fosse alle mie calcagna. Poi ho riguardato il tutto lentamente. Il libro si compone di brevi storie di donne, a volte metaforiche e oniriche, che raccontano il bello e il brutto della vita dal punto di vista della protagonista, una donna. Una stella ci guarda dal cielo e ci osserva e conosce le nostre vite. Spesso iniziano con brevi poesie.
Bisbigliavano i mesi di sonno fra i
profondi silenzi.
Bisbigliava la forza fra i ricordi.
Barbara Gabriella Renzi, Voci di stelle
Questa è la poesia iniziale che accompagna il racconto sul bullismo, intitolato: “Una goccia d’acqua non basta!”.

Quali altri temi hai toccato nel tuo libro? Sono temi sociali?

Non so se si possono classificare usando l’etichetta “temi sociali”. Sono sicuramente temi di vita. Parlo di depressione, amori incompresi, ansia, paure. Ne parlo in maniera chiara ma al tempo stesso metaforica. Uso le immagini per chiarire le emozioni. Le immagini a volte sono personali, a volte sono comuni, ma sempre efficaci. Ci tengo in modo particolare a parlare di emozioni, perché spesso la nostra cultura non le tiene abbastanza in considerazione o forse nella giusta considerazione.

Quale racconto parla di depressione?

“Sandra: tristezza in veli di pensieri”. Inizia con una breve poesia.
Sui fiori d’incenso dove dormono le stelle
Trascinava le sue ombre la sera
Sui fiori di luna dove guardavi assorta
Molto tempo dopo i giorni e le stagioni,
pioveva brina.
Barbara Gabriella Renzi, Voci di stelle
Poi il racconto continua descrivendo la vita di Sandra e la sua lotta quotidiana. A un certo punto descrivo i pensieri di Sandra come una narratrice onnisciente, come se fossi nella stanza di Sandra e la osservassi.
Io ti guardo da qui, come ti alzi lentamente dal letto, una spalla alla volta e su con il collo. Ora sei seduta: come uno stridio di uccelli, la tua mente si è svegliata all’idea di abbracciare il tuo bambino di pochi mesi, che piange; hai rubato all’infinito le tue forze, e ti sei alzata per consolarlo, mentre il bimbo di cinque anni che va all’asilo dorme come un angelo nel suo letto nell’altra stanza e non ha sentito nulla. Lo sai che c’è bisogno di te e lasci il tuo dolore nel cassetto insieme alla disperazione.
Barbara Gabriella Renzi, Voci di stelle
Forse questo non è tra le parti più belle del libro, nel senso che non è un pezzo poetico e non ha una scrittura particolarmente raffinata. Qui parlo di qualcosa che spesso si tace, ovvero la depressione post-partum. Ecco, a mio parere certi temi andrebbero insegnati a scuola, come educazione alla vita.

Barbara, è stato un piacere conoscerti meglio. Ti ringrazio per questa intervista. Ho visto che tu dipingi anche. Ci mostri qualcosa, in chiusura?

Grazie a te! Potete trovare alcuni miei quadri sul sito www.lule.me.uk.


Paola Casadei
In origine farmacista e direttore tecnico di laboratorio omeopatico, ha lasciato Forlì per trasferirsi prima a Roma, poi a Montpellier, quindi per dodici meravigliosi anni in Africa (otto in Sudafrica e quattro in Mozambico), dove ha insegnato musica e italiano. Ora risiede a Montpellier con la famiglia.
L'elefante è già in valigia, Lettere Animate Editore.
Malgré-nous. Contro la nostra volontà, traduzione, Ensemble Edizioni.
Dal buio alla luce. Il bisso marino e Chiara Vigo, traduzione, Cartabianca Editore.
Les fivettes, traduzione, Einaudi.
Leggi >
Recensione: Stanotte o mai, di Elena Genero Santoro, un inno alla vita e all’amore

Recensione: Stanotte o mai, di Elena Genero Santoro, un inno alla vita e all’amore

Recensione: Stanotte o mai, di Elena Genero Santoro, un inno alla vita e all’amore

Libri Recensione di Paola Casadei. Stanotte o mai di Elena Genero Santoro (Leucotea). Un inno alla vita e all’amore, un romanzo incentrato sui sentimenti, che parla di sogni, rinunce, malattia, crescita interiore e dei compromessi della vita.

Stanotte o mai è un romanzo che cresce pagina dopo pagina. Un libro un po’ diverso dal genere dell’autrice: chi la conosce sa che spesso tratta temi sociali importanti, mentre questa volta la storia è incentrata sui sentimenti dei personaggi. Si dipana su due piani temporali: oggi e quattro anni prima. All’inizio pare una storia come ce ne sono tante, una coppia che si avvicina ai 30 anni, un bimbo, una suocera, un lavoro, forse una crisi. Ma in quello che segue c’è davvero molto di più.

Oggi.

Dara è farmacista; sognava di diventare ricercatrice, ma per vari motivi ha rinunciato ai propri sogni senza esitazione e lavora in farmacia. Prima vestiva stravagante, aveva sei orecchini per lobo, un piercing, acconciature particolari e una tinta dei capelli rosso fuoco, ha un grande tatuaggio che va dal collo al braccio. Appena si è reso necessario, ha accettato di assumere un look acqua e sapone, da brava ragazza, e i tanti compromessi della vita. Si è adeguata ad Andrea, il marito, al figlio, alla titolare della farmacia, alla suocera. Il suo nome significa quercia, le ha detto sua madre, spagnola, anzi catalana, e lei dimostra in più occasioni di essere forte, proprio come una quercia.

Quattro anni prima.

Ha incontrato Andrea, un «giovanotto dall’aria svampita», dotato di un certo talento musicale, che viene dal mondo della musica classica, come pure la fidanzata, Giulia Mezzogiorno, una violinista fredda e determinata, una bella ragazza bionda, di quelle che piacciono a tutti. Ma un giorno Andrea ha deciso di partecipare a un talent show a Roma. È qui che incontra per caso Dara, l’opposto di Giulia in tutto e che tra le altre cose gli dice «Liberati di ciò che ti crea ansia».

Ora.

Sono finiti insieme, Riccardo, il loro bimbo, è arrivato a sorpresa molto presto. La carriera di Andrea stenta ancora a decollare e Dara, a soli 30 anni, osservando i colori più spenti del suo grande tatuaggio, sente molto presto, troppo presto, che «i colori che portava addosso stavano appassendo con lei».
Un giorno, una giovane donna entra in farmacia: ha tutti i segni di un cancro in fase terminale, la ricetta rivela che si tratta proprio di Giulia, quella Giulia. Che fare?
Presa dai dubbi, aspetta a dire la verità ad Andrea, ma un giorno Giulia torna e chiede proprio a lei di metterla in contatto con il suo ex. Nonostante la malattia, Giulia ha «un sorriso accattivante», «una voce musicale», «un modo incantevole di rivolgersi alle persone». E nella sua condizione, Dara sa che non potrà rifiutarle questa richiesta.

A quel punto tutto cambia nella loro vita, e Dara si sente esclusa.

Giulia arriva a fare ad Andrea una proposta davvero molto impegnativa, e questa volta ne parla a Dara, che è molto scossa da tutta la situazione. Si sente molto sola, i suoi amici, Simona e Bepi, hanno i loro problemi e sono sordi alle sue necessità. Ma Dara ha davvero paura di perdere il marito, la competizione con Giulia non è pari, e giorno dopo giorno sente che non può più contare solo su se stessa.
Una sera sta per portarsi un bicchiere alla bocca...
«Il calice di moscato non era la soluzione: nella sua famiglia aveva solo causato un sacco di problemi, sua madre non avrebbe mai cacciato suo padre se… Poi però il riflesso dorato del moscato nella penombra della cucina le parve caldo e rassicurante. Il gusto zuccherino di quel vino da dessert le regalò la dolcezza di cui aveva bisogno. Dopo essersi scolata due calici di seguito, si sentì meglio».
Elena Genero Santoro, Stanotte o mai più
Dara È allo stremo, non ce la fa più.
A questo punto accadono ancora molte cose, le persone di fronte alla malattia possono cambiare tanto, tutte. In particolare è Andrea, immaturo, insicuro, un inetto, che dovrà crescere, rivedere qualcosa nella propria vita, cercare di recuperare un rapporto importante.
Una prima rivelazione sarà proprio l’occasione per scoperchiare del tutto il vaso di Pandora, per rivelare ogni debolezza.

Stanotte o mai di Elena Genero Santoro è un romanzo ben strutturato, capace di tenere l’interesse del lettore acceso fino alla fine, e le molte storie che si intrecciano, comprese quelle degli amici di Dara, rendono il racconto accattivante, senza mai perdere il ritmo della narrazione.

Vi è una giusta alternanza tra il racconto di oggi, i fatti di quattro anni prima e i capitoli in cui parla Giulia. Le sue sembrano pagine di diario, un diario in cui lei ritrova se stessa e riflette sulla propria vita e sulla malattia, si accorge finalmente quali sono i valori importanti della vita a cui non aveva mai pensato. Lo ha capito alla fine, ed è serena nelle sue ultime pagine.
Nel complesso, un inno alla vita e all’amore. Giulia è stata una figura importante per Andrea, ma anche per Dara, e ora tutti sono diversi e pronti a riprendere in mano sogni dimenticati.


Stanotte o mai di Elena Genero Santoro

Stanotte o mai

di Elena Genero Santoro
Leucotea
Romance
ISBN 978-8833665115
Cartaceo 15,20€

Sinossi 

Dara, trent'anni, ha rinunciato ai suoi sogni da ricercatrice per permettere al marito Andrea, un musicista la cui carriera non decolla, di inseguire il successo. Un giorno nella farmacia in cui Dara è commessa entra Giulia Mezzanotte, violinista di fama ed ex ragazza di Andrea, che le confida di essere malata di cancro in fase terminale e di voler incontrare suo marito prima di morire. È l'inizio di un vortice di ansia per Dara, che prova pena per la sorte di Giulia, ma vede il suo compagno ogni giorno più coinvolto dalla ex, la quale ha richieste sempre più impegnative.
Paola Casadei

Paola Casadei
In origine farmacista e direttore tecnico di laboratorio omeopatico, ha lasciato Forlì per trasferirsi prima a Roma, poi a Montpellier, quindi per dodici meravigliosi anni in Africa (otto in Sudafrica e quattro in Mozambico), dove ha insegnato musica e italiano. Ora risiede a Montpellier con la famiglia.
L'elefante è già in valigia, Lettere Animate Editore.
Malgré-nous. Contro la nostra volontà, traduzione, Ensemble Edizioni.
Dal buio alla luce. Il bisso marino e Chiara Vigo, traduzione, Cartabianca Editore.
Grilli e Sangiovese, Ciesse Edizioni.
Leggi >
Luca Campigotto, fotografo di viaggi e architettura, scrittore per passione

Luca Campigotto, fotografo di viaggi e architettura, scrittore per passione

Luca Campigotto, fotografo di viaggi e architettura, scrittore per passione

FotografiA Di Paola Casadei. Luca Campigotto, cacciatore di immagini, fotografo raffinato con un uso scenografico della luce, studioso di letteratura e appassionato di cinema.

Come si legge nella sua biografia, Luca Campigotto è nato a Venezia nel 1962, vive tra Milano e New York.
Si è laureato in storia moderna con una tesi sulla letteratura di viaggio nell'epoca delle grandi scoperte geografiche. Nella sua carriera, si è dedicato alla fotografia di paesaggio e architettura realizzando progetti su Venezia, Roma, Napoli, Londra, New York, Chicago, la strada delle casbah in Marocco, i templi di Angkor, Cile, India, Patagonia, Isola di Pasqua, Islanda, Cina, Yemen, Iran e Lapponia.
Coltiva da sempre l'interesse per la scrittura: alcune immagini e poesie sono state pubblicate nel 2005 sulla rivista letteraria Nuovi Argomenti. Lo ha scelto Enzo Siciliano.
È autore del calendario Epson 2014, intitolato "Scenari" e del calendario GEO-New York 2016.
Sono un fotografo che cerca di scappare dalla realtà costruendosi una via di fuga. Fotografo per me, per raccontarmi un’avventura.
Luca Campigotto

Per anni sceglie la fotografia. Ma la scrittura lo attrae ancora, e nel 2018 esce Disoriente.

Un libro diverso dai soliti cataloghi dove scrive poche righe per accompagnare le immagini: 115 foto e 23 testi scritti nell’arco di trent’anni.
Non è un catalogo fotografico. Un libro. “da comodino”? Un libro di viaggio? Forse. Un libro di immagini da leggere?
Luca Campigotto dichiara (potete ascoltarlo sul suo profilo Instagram lucacampigotto) che per lui scrivere questo libro è stato «faticoso, felice, complicato, catartico per certi aspetti». La falsariga è sempre quella della fotografia. I temi sono quelli del viaggio: paesaggio, lontananza nostalgia, il ricordo. Protagonisti sono ancora i luoghi, luoghi selvaggi deserti, montagne, ghiacciai, luoghi remoti e solitari. Poi città, Venezia, New York e altre, Cina per esempio. È un libro dedicato a riflessioni tipiche del vissuto, dove mette insieme pezzi di esperienze, cercando di assemblare, collegare tutto in una sorta di ricordo coerente.
Disoriente di Luca Campigotto

Disoriente

di Luca Campigotto
Postcart Edizioni
Fotografia
ISBN 978-8898391813
cartaceo 30,00€
Il libro è particolarmente riuscito anche dal punto di vista editoriale, grazie alla resa inaspettata delle fotografie a colori su carta opaca. Molto bella la qualità di stampa, i colori restano brillanti ed è giocato molto bene l’equilibrio tra foto e parole, non c’è sovrapposizione del fotografo o dell’autore.



Luca Campigotto è un artista raffinato, studioso di letteratura di viaggio, appassionato di cinema, cacciatore di immagini.

È un cacciatore di immagini, un creatore di scatti capaci sempre di stupire grazie a un uso particolare, «inventivo e quasi magico» della luce. E la fotografia gli serve per entrare in contatto con una dimensione avventurosa. «I suoi viaggi», si legge, «tra spazi metropolitani notturni immersi nell'illuminazione artificiale e sconfinati scenari desertici dove solo si intuisce la presenza dell’uomo, formano un percorso visivo unico, basato costantemente sulla tensione compositiva dell'inquadratura e l'uso scenografico della luce.»

La sua ricerca, come spiega lui stesso, è divisa in due filoni: uno di visioni legate al paesaggio, e uno di visioni metropolitane notturne che ha invece più a che fare con il cinema. 

Il primo è ispirato alle memorie storiche, alle avventure e alle esplorazioni (vorrei ricordare che uno studio che l’ha affascinato agli inizi era legato a mercanti del ‘400 e del ‘500) e, perché no?, alla letteratura di viaggio. Il secondo è più contemporaneo ed è legato alla sua passione per il cinema, fonte di ispirazione per gli scatti delle città. Racconta di aver visto Blade Runner nell’82 quando l’hanno proiettato di notte a Venezia: «Quando ho guardato quel film non facevo ancora il fotografo, ma ho sentito che la mia idea del vedere era cambiata». Si sentiva, o forse si sente, vicino a quella visione del cinema americano, e da lì ha preso ispirazione sull’uso delle luci di notte, sul controluce, in esterni e interni.



Ama la fotografia dell’800 legata al tema della frontiera, dal West selvaggio al Medio oriente.

Come pure la fotografia americana tra gli anni Settanta e Ottanta (per i conoscitori, indico Robert Adams e Stephen Shore). E il cinema di Ridley Scott, Michael Mann, Scorsese, Coppola.
Ha iniziato con Venetia Obscura a cercare una chiave di lettura diversa per un luogo noto a tutti, ma era con quello che aveva deciso di iniziare a fare il fotografo ed era la sua città di origine.
Al buio, con le foto di grande formato in bianco e nero, la mia città mi ha regalato quella dimensione di avventura di cui la mia ricerca aveva bisogno. Come se fosse una sorta di macchina del tempo. I risultati che ottengo di notte sono più imprevedibili di quelli che potrei ottenere, almeno ai miei occhi, di giorno. La resa dei colori e del bianco e nero non è scontata ed è la stessa ricerca che faccio poi in post produzione e nelle stampe.
Luca Campigotto
Per questo ama lavorare da solo, senza un assistente o uno stampatore, proprio perché vuole essere responsabile fino alla fine di tutto il processo.
I suoi scatti sono potenti e prorompenti, vi suggerisco di visitare il suo sito web o il suo profilo Instagram.

Credits: intervista rilasciata a Mariateresa Cerretelli da Wall Street International; La Repubblica


Paola Casadei
In origine farmacista e direttore tecnico di laboratorio omeopatico, ha lasciato Forlì per trasferirsi prima a Roma, poi a Montpellier, quindi per dodici meravigliosi anni in Africa (otto in Sudafrica e quattro in Mozambico), dove ha insegnato musica e italiano. Ora risiede a Montpellier con la famiglia.
L'elefante è già in valigia, Lettere Animate Editore.
Malgré-nous. Contro la nostra volontà, traduzione, Ensemble Edizioni.
Dal buio alla luce. Il bisso marino e Chiara Vigo, traduzione, Cartabianca Editore.
Les fivettes, traduzione, Einaudi.
Leggi >
Recensione: La morte non mi ha voluta, un romanzo autobiografico di Yolande Mukagasana

Recensione: La morte non mi ha voluta, un romanzo autobiografico di Yolande Mukagasana

Recensione: La morte non mi ha voluta, un romanzo autobiografico di Yolande Mukagasana – (c) Gil Serpereau

Libri Recensione di Paola Casadei. La morte non mi ha voluta: cento giorni, un milione di morti di Yolande Mukagasana (Marotta e Cafiero). Un titolo forte per una parola forte: genocidio.

6 aprile 1994: molti ricordano il Genocidio in Ruanda. Una notizia che, tale i primi giorni, diventa poi qualcosa di troppo distante da noi.
«I media – racconta Yolande Mukagasana, l’autrice – non ne parlavano, e anche quando lo facevano davano informazioni sbagliate o parziali, a protezione di chi il genocidio lo comandava.»
Questo mi fa pensare a Le crisi umanitarie dimenticate dai media, rapporto pubblicato da Medici senza Frontiere che da dieci anni, in associazione con l’Osservatorio di Pavia, indagano sulla copertura mediatica di queste tragedie.
La morte non mi ha voluta è testimonianza e racconto in prima persona di una tragedia immensa: 800.000 morti o, secondo altre fonti, oltre un milione di vittime, trucidate in 100 giorni.


Yolande Mukagasana è una persona come ce ne sono tante, sono sedici anni che è sposata con Joseph, che ha “imparato ad amarlo” e con cui ha tre figli giovani adolescenti, Christian, Nadine e Sandrine, quest’ultima adottata. 

Il suo pensiero, quel giorno, 6 aprile 1994, è quale regalo scegliere per l’anniversario di matrimonio. In tarda serata, mentre è ancora nell’ambulatorio, il telefono squilla. È suo marito: “Yolande, torna subito, ho bisogno di parlarti”. Non ha il tempo di replicare, lui ha già messo giù il telefono. La sua voce è angosciata.
Chiude l’ambulatorio e si rende conto, rincasando, che qualcosa è già cambiato. Joseph si sente in colpa per non aver ascoltato la moglie che da tempo suggeriva di andarsene da quel luogo: da quattro anni loro, come gli altri tutsi, vivono nell’incertezza del domani, incapaci di prendere la decisione di lasciare il paese, o di sentirsi sicuri in Ruanda. Lei prova a dirgli, con la saggezza dei proverbi africani: «Calmati! Se la strada avvertisse il viandante, nessuno sbaglierebbe direzione». Ma ormai non c’è più tempo per pensare, occorre reagire e tentare di salvarsi.

Inizia una fuga che cambierà il destino di tutta la famiglia, e vedrà Joseph e Christian maturare e diventare uomini forti. Poi morire.

La chiamano Muganga, che vuol dire ‘dottore’. In realtà Yolande Mukagasana è un’infermiera, ma per tutti è un dottore, perché i dottori sono pochi e lei ha studiato.
Eppure non tutti la amano, questa è l’Africa: «Gli uomini non amano una donna emancipata, ancor meno se è ricca, ha amici bianchi e porta occhiali Pierre Cardin.»
Non solo. Ci rivela subito: «Sono una tutsi, questo è il mio torto più grande. Sono benestante, è il mio secondo torto. Sono orgogliosa, è il terzo».
Fin dalle prime pagine ci rendiamo conto di essere davanti a una donna forte, molto più di Joseph fino a quel momento. Una donna che sta per essere posta di fronte a una prova terribile.

Il 6 aprile 1994, l'aereo presidenziale di Juvénal Habyarimana, al potere con un governo dittatoriale dal 1973, viene abbattuto. 

Volava insieme al presidente del Burundi, entrambi di etnia hutu. Ma da oltre tre anni tutti conoscevano i piani di Habyarimana.
Erano otto mesi che la radio esortava gli hutu a massacrare i tutsi. Ora sta accadendo davvero, i massacri sono già cominciati. Anche il fratello di Yolanda, Nepo, è preoccupato, e tenta di salvare la famiglia partendo con un minivan, sono in venti sopra, ma vi sono già sbarramenti ovunque. Deve tornare indietro, con la morte nel cuore. Il fratello ha un presagio, pensa che Yolande, la più ricercata, in realtà sarà l’unica a salvarsi. E andrà proprio così.


I fatti sono evidenti. 

Telefono alla sede dei militari dell’ONU, la famosa MINUAR. “Non possiamo far niente per lei, signora. Ci scusi.” L’ambasciata degli Stati Uniti mi dà una risposta simile, così come quella del Belgio. Telefono alla Croce Rossa del Belgio. Mi rispondono che, finché non ci sono feriti, non possono intervenire. Alla Croce Rossa internazionale non possono far niente. Chiamo allora la nunziatura, mi chiudono il telefono in faccia. Chiamo il Parlamento...
Yolande Mukagasana, La morte non mi ha voluta
C’è suspense all’inizio del racconto, la famiglia esce di casa e si nasconde nella boscaglia intorno, gli hutu sono vicini, ma non li scoprono. Yolanda Mukagasana si sente braccata insieme alla sua famiglia. Si separa dai figli, sperando di dare loro una speranza in più. Poco dopo vede morire il marito. È un machete nuovissimo, quello che l'ha ucciso, «forse fa parte di quel lotto acquistato recentemente dal regime di Habyarimana con il denaro della cooperazione francese, per essere distribuito gratuitamente alla popolazione hutu».

Yolande Mukagasana fugge da un luogo all’altro, per undici giorni vive sotto un lavandino, con gli abiti che diventano sempre più larghi addosso. 

Pesa ormai 37 chili. Nascosta da una vicina di etnia hutu, che qui chiama Emmanuelle e che ha rischiato la vita per questo, vede saccheggiare la propria casa, bruciare tutti i libri. Poi viene nascosta in altri luoghi, il tutto per sei settimane. Attorno a lei «sono grida, risa, imprecazioni, ingiurie, colpi di fischietto, latrati.» Tra gli hutu «c’è uno scoppio di risa sguaiate. Hanno paura, hanno bisogno di ridere, hanno paura di uccidere». Ma poi ci prendono gusto, il più è cominciare, violentano le donne, spaccano la testa ai bambini, pare il suono di quando si spacca una noce di cocco.
Per radio si sente inneggiare alla vendetta, «Vendichiamo» dice «l’immondo assassinio compiuto dalle blatte del benamato Juvénal Habyarimana e vendichiamo allo stesso tempo quello di Melchior Ndadaye, il compianto presidente del Burundi, assassinato il 21 ottobre 1993. Braccate il serpente dappertutto».

È così che i tutsi vengono definiti, blatte, scarafaggi, serpenti. Non uomini.

I tutsi non possono contare neppure sull’aiuto della stessa chiesa missionaria che li ha convertiti, trasformando il loro Imana in Gesù Cristo. Alcuni sacerdoti sono corrotti, vendono i tutsi al nemico, bevono una birra insieme agli hutu.
Nascosta e in fuga, Yolande riflette e ci sbatte davanti i fatti: «E oggi, aprile 1994, mentre è in atto il genocidio ruandese, che fanno le Nazioni Unite se non commuoversi senza agire, sotto la guida indecisa del Signor Boutros Boutros-Ghali?» E più tardi: «Vengo a sapere che Boutros Boutros-Ghali si è scusato davanti alle Nazioni Unite per non aver capito le dimensioni del dramma ruandese».
Dopo settimane, comincia a rendersi possibile un accordo tra le parti, si fanno scambi da un lato all’altro di hutu e tutsi. Anche Yolande sotto falsa identità, in modo quasi miracoloso, viene condotta dai Caschi Blu africani all’Hotel des Milles Collines, dove alcuni dei tutsi sarebbero stati scambiati con dei prigionieri hutu in mano al Fronte popolare. È qui che incontra una nipote e viene a sapere la verità sulla sorte dei suoi tre figli.
Viene condotta in Belgio, ma sa che un giorno tornerà in Ruanda a testa alta.


La morte non mi ha voluta è un testo forte e fa riflettere. 

Yolande Mukagasana con questo libro non vuole accusare, lo ripete spesso, ma testimoniare. Senza odio. E si aspetta da questa testimonianza che le sia restituita la dignità perduta: di donna, di madre e d’infermiera.
«C’è in Ruanda un genocidio permanente, fatto di massacri incessanti», ci dice. Racconta gli eccidi in ogni epoca, dal 1959, quando aveva cinque anni, poi nel 1963, nel 1967, nel 1973, che coinvolse tutto il Paese. Gli stermini di Kibilira nel 1990, quelli del Bugesera nel 1992, quelli di Ruhengeri, presso i Bagogwe, nel 1993 e tanti altri, sempre puntuali. Tanti genocidi impuniti e ignorati dall’ONU, di cui gli Europei non sanno nulla.

Ma chi è Yolande Mukagasana oggi? 

Una donna impegnata che ha vinto molti premi, è stata candidata al premio Nobel per la pace del 2010. Fin dal 1994 continua il suo lavoro di attivista per le buone cause.
Ha dedicato la sua vita a tramandare la memoria del genocidio, è importante soprattutto per le giovani generazioni.
Non provo più odio per chi ha ucciso la mia famiglia, voglio portare la vita a chi mi ascolta e chiedo di fare altrettanto ogni giorno perché solo così si rende davvero giustizia a chi è morto senza alcuna colpa.
Yolande Mukagasana, La morte non mi ha voluta
In un capitolo tenta un confronto tra ferocia nera e barbarie bianca, tra la brutalità dei machete che tagliano le braccia ai bambini o sono usate per sventrare le donne, e l’Occidente del genocidio ebreo, dei campi di concentramento, delle camere a gas. Quale tra i due è più odioso? «Altro continente, altri costumi. Con quale diritto l’Occidente ci giudica meno degni?» si chiede. Lascio la domanda aperta e suggerisco la lettura di questa appassionata autobiografia.

La morte non mi ha voluta
Cento giorni, un milione di morti

di Yolande Mukagasana
Marotta e Cafiero
Autobiografico | Non-fiction
ISBN 978-8897883883
Cartaceo 14,25€
Ebook 4,19€

Sinossi 

6 aprile 1994. L’aereo del presidente dittatore Habyarimana viene abbattuto. Inizia il genocidio del Rwanda. In soli cento giorni vengono massacrati oltre un milione di Tutsi. Dalla radio giungono le seguenti parole: seviziare e uccidere gli scarafaggi. In una sola notte ammazzano ottomila persone, 333 all’ora, cinque al minuto. Senza bombe e fucili, ma a colpi di machete.
La morte non mi ha voluta accende la telecamera nel luogo in cui nessuno avrebbe mai voluto essere. Un’autobiografia dalle fosse comuni. Yolande Mukagasana sopravvive ai figli e al marito. È condannata a vivere, condannata a raccontarci la verità.


Credits: Gil Serpereau

Paola Casadei

Paola Casadei
In origine farmacista e direttore tecnico di laboratorio omeopatico, ha lasciato Forlì per trasferirsi prima a Roma, poi a Montpellier, quindi per dodici meravigliosi anni in Africa (otto in Sudafrica e quattro in Mozambico), dove ha insegnato musica e italiano. Ora risiede a Montpellier con la famiglia.
L'elefante è già in valigia, Lettere Animate Editore.
Malgré-nous. Contro la nostra volontà, traduzione, Ensemble Edizioni.
Dal buio alla luce. Il bisso marino e Chiara Vigo, traduzione, Cartabianca Editore.
Grilli e Sangiovese, Ciesse Edizioni.
Leggi >
Intervista a Renaud Rouillé Lombard, autore di haiku

Intervista a Renaud Rouillé Lombard, autore di haiku

Intervista a Renaud Rouillé Lombard, autore di haiku

People A cura di Paola Casadei. Intervista a Renaud Rouillé Lombard, autore di haiku: «L’ispirazione? La natura, i rapporti uomo-donna, la politica, la psicanalisi, l’infanzia».

Renaud Rouillé Lombard è un autore francese di haiku e ha appena pubblicato una raccolta, in versione bilingue, in francese e italiano, Il blu glaciale del mistralLe bleu glacial du mistral. Un vero "personaggio". Incontriamolo.

Buongiorno Renaud, e benvenuto. Per rompere il ghiaccio, presentati. Posso offrirti un tè o un caffè?

Buongiorno Paola. Fino alle 15, preferirei un caffè, è il mio lato italiano. Dopo le 15, un tè, è il mio lato giapponese. Due paesi, due letterature che hanno influenzato la mia scrittura. Ecco, direi che questa ambivalenza mi rappresenta abbastanza bene…

Puoi raccontarci qual è la scintilla che ti ha spinto a scrivere? Cosa davvero ti affascina, ti ispira?

Ma è proprio la letteratura che mi affascina! Forse dall’età di sedici, diciassette anni. Prima, verso i sette, otto anni, erano le ragazze ad essere per me una meraviglia! E non è una scintilla che mi ha spinto a scrivere, ma piuttosto alla solitudine.
L’ispirazione? La natura, i rapporti uomo-donna, la politica, la psicanalisi, l’infanzia…

Ti ho incontrato a Montpellier. Perché dunque Arles e la Provenza? I giapponesi, o meglio, le giapponesi? Francia-Italia-Giappone: c’è un legame?

sole di dicembre
olive sugli ulivi
milioni di diamanti
Renaud Rouillé Lombard
Arles perché sono originario della Provenza e abitavo a Arles quando ho scritto questo libro.
E il legame è solo che ci sono molti turisti giapponesi, per Van Gogh. O meglio, vengono soprattutto molte donne giapponesi, mentre gli uomini stanno a lavorare a casa. Dunque il Giappone non è un paese per me! E poi, ci sono anche molti turisti italiani, per i monumenti romani...

Come è nata l’idea di tradurre Le bleu glacial du Mistral in italiano?

Direi… naturalmente. L’Italia è de facto un tema «trasversale» ad Arles e alla Provenza: città romana, molta gente ‒ come mia nonna ‒ di origine italiana e, come ho già detto, i turisti italiani. L’Italia è il mio secondo paese di cuore, due dei miei cinque libri preferiti sono italiani.

Davvero, quali ? 

La luna e i falò di Pavese e Il deserto dei tartari di Buzzati, quasi un’ossessione per me.
Ma anche se i miei haïku, come un po’ tutti gli haïku, hanno un’«identità» giapponese, anche un celebre «poeta-regista» italiano ha influenzato il mio lavoro...

Credo di sapere…

Zitta… Mi piacerebbe molto che i lettori italiani lo trovassero da soli! Lancio una sfida.

Come puoi spiegarci i numerosi haiku che evocano le italiane?

sento venti Italiane
nella hall dell’albergo
sono quattro
Renaud Rouillé Lombard
Spiegare!? Per questo haïku, avevo lavorato alcune settimane come receptionist in un hôtel nel vecchio centro romano di Arles… ma tutta la città è vecchia e romana! È un cliché, in Francia, dire che gli italiani parlano forte e tutti insieme… ma è spesso una realtà!

Italiane dunque, ma anche giapponesi, arabe, senza parlare della Signora di Boston: le donne occupano un posto di grande rilievo in questa raccolta.

quale cosa straordinaria
quella Giapponese tutta nuda
nel mio letto
Renaud Rouillé Lombard
In Francia, trent’anni dopo il modello americano e nord europeo, le relazioni uomo-donna si articolano attorno all’indifferenza. Delle donne di trent’anni vivono con delle tartarughe! Io faccio parte di une generazione che distingue ancora le donne dall’… arredo urbano. E questo offre diverse opportunità. Detto questo, queste evocazioni esotiche rappresentano solo qualche notte dei tre anni di scrittura piuttosto solitari, quasi ascetici. Del resto, non sono un fanfarone, lo preciso: quale cosa straordinaria...
Quanto ai veri sentimenti, mi sono innamorato «troppo» tra i sette e i diciassette anni, ho esaurito la mia quota. Se me ne rimane una sola, probabilmente sarà un’italiana!

E La Signora di Boston?

Ah, questo… è il mio lato «servizi alla persona» [si fa una risata]; il mio lato Calaferte, un autore francese nato a Torino!

E a proposito della presenza di animali, i gatti per esempio, cosa mi dici?

rissa tra gatti in via Bellon
sembrano quasi
leoni
Renaud Rouillé Lombard
Parlare dei piccoli animali vicino alle case fa parte degli haïku tradizionali giapponesi: rondini, grilli, volpi, rane… e gatti dunque!
Ma anche in Europa, i gatti sono l’animale preferito dei poeti ‒ in ogni caso lo sono per me! ‒ anche in Italia, no? Non solo, ci sono veramente molti gatti nelle stradine strette dove abitavo. Ma anche «il cane folle di Francesca», la mia ex-vicina di fronte, «che attacca le bici»!
I cani sono per i cacciatori e i presidenti, no? E per gli operai… per potere comandare "qualcuno"! Mi piace fingere di essere di destra…

Ah, sei di sinistra ?

Neanche per sogno! [altra risata]

Infine, c’è questa tematica politica e sociale, che, come leggo dalla quarta di copertina, rivisita «con gravità ed equivoci» l’haiku «classico».

Queste bellezze arabe
È per loro che tutti
Presto si batteranno
Renaud Rouillé Lombard

Hai scritto questi versi tra il 2008 e il 2011: ci si è davvero «battuti» da allora in Francia?

[mi guarda stupito] Non vi sono forse degli attentati "di massa" che hanno colpito la Francia dal gennaio 2015?

Che rapporto c’è? Sono attentati islamici…

Più o meno… Si tratta soprattutto dei giovani, perlopiù provenienti da un contesto migratorio, preoccupati dall'accesso a una sessualità «di qualità», che un’appartenenza sociale modesta, più che religiosa, ha svantaggiato.
Quanto alle giovani donne complici di questi atti, loro rigettano l’ipersessualizzazione ipocrita del mondo professionale occidentale. Molte donne che vengono dall’immigrazione magrebina riescono professionalmente perché hanno lavorato cinque o dieci volte più dei loro fratelli a scuola ‒ erano costantemente con me in biblioteca ‒ ma sono, ancor più che per le francesi “di origine”, le più carine che vengono sistematicamente scelte...
Quanto agli uomini francesi «di origine», attirati dall’estrema destra, loro non accettano di non avere “accesso” facilmente alle giovani donne di origine araba, spesso più colte di loro.
Che spreco! La Francia è il paese d’Europa o forse del mondo che pratica di più la promiscuità. Questa tendenza in questo momento è messa a dura prova – è un eufemismo – dallo spostamento della lotta di classe verso la lotta alle «razze», operata in maniera opportunista da Mitterrand e da tutta la sinistra francese dalla metà degli anni Ottanta.
Ma non ho inventato niente: Pietro da Cortona e Poussin hanno dipinto il Ratto delle Sabine…

Hai dei progetti letterari, lavori a nuove pubblicazioni?

Vorrei scrivere un saggio che spiega gli avvenimenti che stanno per accadere in Francia, di cui i gilet gialli non sono che un sintomo premonitore. Del resto, penso che questi avvenimenti interpelleranno anche l’Italia…

Le bleu glacial du mistral

di Renaud Rouillé-Lombard
Tapuscrits
Poesie

cartaceo 7,80€

Dove è possibile trovare il tuo libro?

Per ora lo si deve ordinare su internet al seguente indirizzo: www.tapuscrits.net o su Amazon.

Una domanda o un messaggio personale per finire?

Sí. Se una bella signora italiana, aristocratica e colta, tra i 40 e i 60 anni ‒ fino a 70, se molto… «aristocratica» ‒ si annoia nella sua grande casa in Toscana, in Sicilia o nelle Langhe, può contattarmi…

Ah, ah, accogliamo e lanciamo il tuo appello girandolo alle nostre lettrici, forse non tutte «aristocratiche» ma di sicuro molto «colte». Grazie per questo momento condiviso con noi e, a nome de Gli scrittori della porta accanto, ti faccio i complimenti per questa raccolta e in bocca al lupo per i tuoi progetti futuri.





Paola Casadei
In origine farmacista e direttore tecnico di laboratorio omeopatico, ha lasciato Forlì per trasferirsi prima a Roma, poi a Montpellier, quindi per dodici meravigliosi anni in Africa (otto in Sudafrica e quattro in Mozambico), dove ha insegnato musica e italiano. Ora risiede a Montpellier con la famiglia.
L'elefante è già in valigia, Lettere Animate Editore.
Malgré-nous. Contro la nostra volontà, traduzione, Ensemble Edizioni.
Dal buio alla luce. Il bisso marino e Chiara Vigo, traduzione, Cartabianca Editore.
Les fivettes, traduzione, Einaudi.
Leggi >
David Goldblatt, il fotografo dell’Apartheid

David Goldblatt, il fotografo dell’Apartheid

David Goldblatt, il fotografo dell’Apartheid

FotografiA Di Paola Casadei. David Goldblatt. Il fotografo dell’Apartheid, nato nel 1930 a Randfontein da una famiglia ebrea lituana sfuggita alle persecuzioni naziste. Testimonianze di 50 anni di vita in Sudafrica.

Il 24 giugno di quest’anno è morto, nella sua casa a Johannesburg, all’età di 88 anni un grande fotografo sudafricano, David Goldblatt. Era nato nel 1930 da una famiglia ebrea lituana sfuggita alle persecuzioni naziste a Randfontein, vicino a Johannesburg, nei pressi di una piccola città mineraria (oro) e si è laureato in commercio a WITS. Ha cominciato a fotografare il mondo attorno a sé fin da quando aveva diciotto anni, quindi verso il 1948, e proprio quell'anno veniva istituita (legalmente) l’apartheid.
Un animo sensibile come il suo doveva aver visto per tutta la sua infanzia atti ed episodi di razzismo, e per cinquant’anni ha stampato (in bianco e nero, «perché alcune cose sono troppo dure e difficili per poterle fotografare a colori») la sua testimonianza delle contraddizioni della società sudafricana, della brutalità e delle ingiustizie quotidiane.
Lo sfondo delle sue foto erano i quartieri residenziali delle belle città, come Città del Capo, le townships come quella di Soweto, la gigantesca baraccopoli ai margini di Johannesburg, i parchi immensi con i big five e le strade frequentate dai neri.

David Goldblatt è stato il primo artista sudafricano a esporre con una personale al MoMA di New York, nel 1998, e ha ricevuto vari premi e riconoscimenti, come l’Hasselblad Award nel 2006 e l’Henri Cartier Bresson Award nel 2009. 

Le sue foto, durante la sua carriera, sono state pubblicate sulle riviste del mondo ed esposte in molti musei importanti, a Lisbona, Oxford, Monaco di Baviera, Bruxelles e Johannesburg e anche alla Biennale di Venezia. Ha esposto a Documenta, ha tenuto mostre personali al Museo Ebraico e al New Museum di New York, e il Centre Pompidou di Parigi gli ha regalato una grande retrospettiva, poco prima della sua morte.
David Goldblatt era un uomo con dei valori che voleva difendere, e ha cercato di esprimerli e testimoniarli con il suo lavoro. Tra le sue dichiarazioni ho letto:
Ero molto interessato agli eventi che si svolgevano nel paese come cittadino ma, come fotografo, non sono particolarmente interessato, e non lo ero allora, a fotografare il momento in cui succede qualcosa. Sono interessato alle condizioni che danno origine agli eventi.
Nella sua ricerca dei soggetti da fotografare e nella realizzazione, non cercava di mostrare una tragedia in particolare, ma voleva studiare e restituire un’immagine del dolore silenzioso e persistente. Non cercava di cogliere il dramma nel momento in cui esso avveniva, ma raccontava la sopportazione, la disperazione silenziosa delle vittime di violenze, la rassegnazione, a volte la paura, la fatica, la stanchezza, senza gridarle mai.

Fotografie di David Goldblatt | Lifetimes under apartheid

L’apartheid, scrisse David Goldblatt, «era una matrice grigia della legislazione e della regolamentazione che incombevano sul paese, penetrando, limitando, controllando e ostacolando ogni aspetto della vita. Niente e nessuno è sfuggito a questo».

L’apartheid è stata legale dal ’48 al ’91; aveva le sue imposizioni, i suoi codici, il razzismo riempiva gli spazi. E David Goldblatt ha cercato di dare una voce a tutto questo.
Una serie di foto pubblicata nel ’73 si chiama On the mines, si trova in vendita su Amazon e le altre piattaforme: documenta l’attività massacrante dei minatori che vivevano a lungo nel sottosuolo, a grattare con le unghie per cercare oro, diamanti e sopravvivenza. Alcune foto sono sfuocate a causa della luce del luogo, non modificate con artifici o luci aggiuntive per dare un effetto il più vicino possibile alla realtà, e le figure umane paiono davvero fantasmi su quel tetro sfondo.
Un’altra collezione, pubblicata nel 1986 sempre assieme a Nadine Gordimer, autrice sudafricana e attivista anti-apartheid, si intitola Lifetimes under apartheid e raccoglie una selezione di storie scritte dell’autrice vincitrice del Premio Nobel per la letteratura accompagnate dalle fotografie di uomini e bambini di Goldblatt. Sulla copertina la foto di un ragazzino di 15 anni picchiato dalla polizia e arrestato, la rassegnazione negli occhi, forse la paura, un’ombra sul dolore provato.

Fotografie di David Goldblatt | The transported: a South African Odyssey, Particulars e On the mines

Sempre a metà degli Anni ’70 nasce la serie Particulars: per sei mesi David Goldblatt ha fotografato solo dettagli del corpo delle persone, osservandone l’attitudine, la postura, i gesti, l’abbigliamento.

Il risultato è un catalogo di incontri ravvicinati di uomini e donne, bianchi o neri, fotografati non in quanto figure intere, ma in certi dettagli, gli abiti, le scarpe, le pieghe della pelle, le pose assunte dinanzi all’obiettivo, i gesti spontanei, la miseria, la solitudine, il pudore, i movimenti delle mani. Lavorando, si era reso conto che nel linguaggio del corpo, nei vestiti, nella decorazione, negli atteggiamenti, era possibile leggere i valori in cui la gente crede, ed è in questa ottica che ha esplorato il corpo come fonte di segni e informazioni che raccontassero la comunità in cui vivevano.
Da notare anche la serie The transported: a South African Odyssey.
«Sulla copertina, drammatico lo scatto che ritaglia, nella penombra di un autobus notturno, le sagome dei passeggeri, tutti lavoratori-schiavi di ritorno verso casa, costretti a riprendere servizio all’alba; uno di loro, al centro, investito dalla fredda luce artificiale, ha la testa reclinata all’indietro, vinto dal sonno e dalla fatica. Quasi la scena di un delitto muto .»
- da www.artribune.com


Paola Casadei
In origine farmacista e direttore tecnico di laboratorio omeopatico, ha lasciato Forlì per trasferirsi prima a Roma, poi a Montpellier, quindi per dodici meravigliosi anni in Africa (otto in Sudafrica e quattro in Mozambico), dove ha insegnato musica e italiano. Ora risiede a Montpellier con la famiglia.
L'elefante è già in valigia, Lettere Animate Editore.
Malgré-nous. Contro la nostra volontà, traduzione, Ensemble Edizioni.
Dal buio alla luce. Il bisso marino e Chiara Vigo, traduzione, Cartabianca Editore.
Les fivettes, traduzione, Einaudi.
Leggi >
Recensione: Fancy Red, di Caterina Bonvicini

Recensione: Fancy Red, di Caterina Bonvicini

Recensione: Fancy Red, di Caterina Bonvicini

Libri Recensione di Paola Casadei. Fancy Red di Caterina Bonvicini, Mondadori. Un noir hitchcockiano, un thriller psicologico, una storia d’amore e di desiderio indomabile, un romanzo storico, dalle miniere in Angola alla guerra di Sarajevo, dalla storia del Koh-i-Noor ai Pink Panthers, alle aste invalidate in Argentina.

«I diamanti sono condannati a guardare da vicino la miseria estrema e la ricchezza estrema. Solo loro conoscono intimamente questi due opposti che non si toccano mai. Solo loro conoscono davvero il mondo. E non lo possono nemmeno raccontare.»
Fancy Red di Caterina Bonvicini, dopo una dedica che mi è piaciuta molto («Alle mie amiche scrittrici»), si apre con questa immagine: un uomo, a Lindos, in Grecia, in una notte d'estate si sveglia in una lussuosa camera da letto che non riconosce. Sente una goccia sulla mano, poi un’altra. Sono le lacrime di una ragazza vicino a lui, sul bordo del cuscino, che sta piangendo. Distesa a terra, un'altra donna. È sua moglie Ludovica, o meglio Ludò: morta. «Sei stata tu?» chiede alla ragazza. «No, sei stato tu» risponde lei. 
Lui, Filippo, fa il gemmologo per Sotheby’s. Si descrive in questo modo: 
«Sono un gemmologo, e lo sono per vocazione. Lo ero anche prima di studiare. Da piccolo smettevo di piangere solo se qualcuno mi dava una collana in mano. I grandi pensavano che a calmarmi fosse il movimento, l’ipnotica oscillazione.
Invece erano le pietre, mi bastava toccarle.
Mi piace guardarli, i diamanti, non possederli: quando ho infranto questo patto con loro, è cominciata la mia fine.»
Dopo la rivelazione da parte della ragazza accanto a lui, Isabel, Filippo non sa cosa pensare; non ricorda niente. Guarda sua moglie, Ludò, a terra nel suo sangue, al naso porta il solito rarissimo diamante rosso montato come un piercing. Nel panico, la prima reazione dell’uomo è quella di sbarazzarsi del cadavere. Con l’aiuto della ragazza, decide di buttare il cadavere della moglie in mare, assieme al suo prezioso piercing.

Ludò, per tutti, è annegata durante una nuotata. Un bigliettino scritto da lei lo conferma e rappresenta un ottimo alibi.

Filippo e Ludò si erano incontrati in un caveau. Lei, giovane, inquieta, ambigua, complicata, ribelle e molto ricca, figlia – adottiva – di un grosso finanziere milanese, si era presentata lì per vendere tutti i gioielli della madre che da poco aveva ereditato. Tutti tranne il Fancy Vivid Red al naso. Sei mesi dopo l’incontro, i due, diversi in tutto, si sposano e a modo si amano con grande passione, nonostante alcuni tradimenti, sempre dichiarati, da parte di Ludò. E viaggiano tanto; li vediamo in Grecia, a Lisbona, a Cuba, nelle Fiandre, in Argentina: Ludò, donna indomabile, è sempre in cerca di qualcosa
Il suo Fancy Vivid Red, un diamante raro, dalle peculiari sfumature di rosso che lo rendono praticamente un esemplare unico e riconoscibile, non è solo un piccolo ammasso di atomi di carbonio: quel diamante, che doveva essere stato sepolto in mare assieme alla sua proprietaria, diventa un vero protagonista quando, alcuni mesi dopo la vicenda, riappare.
Il caso viene riaperto. Il padre di Ludò non si dà pace. E i sensi di colpa investono Filippo. Ma davvero lui sarebbe stato capace di fare una cosa simile a sua moglie? E chi è davvero Isabel?
Cercando di darsi delle risposte, l’uomo trova delle lettere che lei gli aveva scritto senza mai dargliele e riesce poco a poco a scoprire chi era la sua Ludò, da dove nascevano certi suoi comportamenti e quali drammi ha attraversato nella sua breve vita.
A partire da quel momento ho guardato al romanzo con occhi diversi.

Non ho più letto Fancy Red di Caterina Bonvicini come un romanzo noir, perché ci ho trovato dentro altri generi, una storia d’amore, un romanzo storico, un romanzo di guerra. 

E tutto il contorno mi piaceva più del noir che ha dato il via alla storia. È come se la trama fosse una traccia lineare a cui tornare di tanto in tanto, mentre tutto intorno si aprono mondi laterali, e il lettore viene condotto in modo studiato al dramma delle miniere in Angola, alla guerra di Sarajevo, ai RUF in Sierra Leone, alla storia del Koh-i-Noor, ai Pink Panthers, alle aste invalidate in Argentina.
Da dove nasce un romanzo che contiene tanto all’interno?
Ho letto qualche intervista alla Bonvicini; pare che il titolo della prima parte, L’odore dolce della miseria, sia il titolo di un racconto che lei aveva scritto in precedenza. E che ha fatto bene ad approfondire. E in un’altra (rilasciata a Gli Scrittori della Porta Accanto, a cura di Silvia Pattarini, GSDPA), Caterina Bonvicini spiega che ogni romanzo non solo ha una genesi diversa, ma: 
[...] ha tante genesi diverse. Nemmeno l’autore riesce a ricostruirle tutte. Se cerco fra i miei motori, posso mettere insieme un’ossessione per Sarajevo che risale ai miei diciassette anni e l’incontro con una gemmologa capitato per caso due anni fa, un amore dell’adolescenza e il mio viaggio di nozze in Argentina. Tutto così. Fancy Red è nato ufficialmente dopo una delusione editoriale.


È proprio quell’ossessione per Sarajevo ha dato origine a una parte del romanzo che ho trovato particolarmente affascinante. Sono pagine intense, l’autrice deve aver letto tanto per conoscere e poter dare una simile testimonianza con tanta passione e precisione!

Infine la storia dei diamanti, di quelle pietre che si portano al dito ma che provengono dalla sofferenza di chi con le dita deve scavare nel fango per trovarli. 

Eppure, nonostante le condizioni di vita e di lavoro degli uomini che li cercano nelle miniere in condizioni disumane, il loro fascino resta invariato. Ho vissuto in Sudafrica, ho visitato le miniere di diamanti di Cullinan, vicino a Pretoria e conoscevo la storia del Cullinan, che Caterina Bonvicini fa raccontare a Filippo:
La storia del Cullinan mi è sempre piaciuta. Il 26 gennaio del 1905, il signor Frederick Wells, il responsabile della miniera sudafricana acquistata da Thomas Cullinan, rimuove con il suo coltello a serramanico una pietra che pesa più di mezzo chilo. Tutti pensano che sia solo un pezzo di vetro, invece è un diamante grezzo di tremila e centosei carati.
Ma come esistono spesso disparità economiche e sociali enormi al mondo, di certo non può esserne esente il mondo che gira intorno ai diamanti.

Ho trovato Fancy Red di Caterina Bonvicini un romanzo complesso e ricco, che vuole colpire e non lasciare indifferenti.

Ho apprezzato anche la nota finale dell’autrice, dove chiarisce molti punti sulle realtà di cui ha raccontato nel romanzo.
Nell’ultima piccola nota finale ci rivela di aver costruito il romanzo come un ottaedro (le otto facce triangolari diventano otto capitoli da tre paragrafi) perché è la struttura cristallina del diamante.
Io ho trovato utile l’informazione: una costruzione molto originale e diversa, come originale è questo romanzo.



Fancy Red

di Caterina Bonvicini
Mondadori
Giallo | Noir | Thriller
ISBN 978-8804702016
cartaceo 15,30€
ebook 9,99€

Sinossi
Lindos, Grecia. È una notte d'estate. Un uomo si sveglia in una lussuosa camera da letto che non riconosce. Sdraiata accanto a lui c'è una ragazza che sta piangendo. Distesa a terra, un'altra donna. È sua moglie Ludovica: morta. «Sei stata tu?» chiede alla ragazza. «No, sei stato tu» risponde lei. Lui è Filippo, fa il gemmologo per Sotheby's. L'incontro con Ludo risale a cinque anni prima: lei, giovane e ribelle, figlia di un finanziere milanese, vuole vendere tutti i gioielli della madre, appena ereditati. Tranne uno: un Fancy Vivid Red, il rarissimo diamante rosso che porta al naso, montato come un piercing. A Filippo i diamanti piace guardarli, non possederli, è la sua regola da sempre. Ma la infrange quando si innamora di Ludo e del suo Fancy Red. Lì comincia la sua fine. Nel giro di sei mesi lui e Ludo sono sposati. Si amano molto, di un amore geloso e passionale, fatto di tradimenti veri e presunti, in un gioco erotico che li porta ai quattro angoli del mondo, da Lisbona a Cuba, dalle Fiandre all'Argentina, alla ricerca dell'avventura perfetta. Di quella notte fatale in Grecia, Filippo non ricorda nulla. Sa solo che lui e la ragazza, nel panico, si sono sbarazzati del corpo, buttandolo in mare. Ludo, per tutti, è annegata durante una nuotata. Ma dieci mesi dopo il diamante ricompare e il caso viene riaperto. Il Fancy Red è tornato, come un fantasma destinato a perseguitare Filippo e a metterlo di fronte alle sue colpe. Può davvero essere stato lui a uccidere la donna che amava? E perché? Per gelosia? Quanto tempo ci vorrà prima che il padre di Ludo e la polizia lo scoprano? Chi è davvero la ragazza con cui lui e sua moglie hanno passato la notte? Fancy Red è un noir hitchcockiano, un thriller psicologico pervaso da una suspense costante, una storia d'amore il cui protagonista indiscusso è il desiderio, indomabile e capriccioso come Ludo e la sua pietra.

Paola Casadei

Paola Casadei
In origine farmacista e direttore tecnico di laboratorio omeopatico, ha lasciato Forlì per trasferirsi prima a Roma, poi a Montpellier, quindi per dodici meravigliosi anni in Africa (otto in Sudafrica e quattro in Mozambico), dove ha insegnato musica e italiano. Ora risiede a Montpellier con la famiglia.
L'elefante è già in valigia, Lettere Animate Editore.
Malgré-nous. Contro la nostra volontà, traduzione, Ensemble Edizioni.
Dal buio alla luce. Il bisso marino e Chiara Vigo, traduzione, Cartabianca Editore.
Leggi >
Dove ballano le ragazze, di Alessandro Cartoni

Dove ballano le ragazze, di Alessandro Cartoni

Dove ballano le ragazze, di Alessandro Cartoni - Recensione

Libri Recensione di Paola Casadei. Dove ballano le ragazze, di Alessandro Cartoni, Zerounoundici Edizioni, 2017. Racconti di paternità, solitudine, della crisi dell’uomo (del maschio) nella società e, perché no?, della crisi della scuola pubblica. 

Fin dalle prime righe mi sono detta: ma chi è l’autore? Mi piacerebbe incontrarlo. Sono rimasta subito affascinata dal suo modo di scrivere e intrigata da quello che ha scritto. Mi sono chiesta cosa potesse aver visto o vissuto l’autore, o l’uomo, Alessandro Cartoni per poter indagare così a fondo nella psiche maschile, per raccontare «la tana di ostilità e di odio» in cui alcuni si chiudono, «la nostalgia fatta di rabbia, desiderio e rancore» che prende altri, per riconoscere il «monomaniaco onanista». Mentre leggevo ho pensato che avrei voluto scrivere una recensione, ma mi sono detta che sarebbe stato difficile, temevo di non saper trovare le parole più adatte.
La prima parola che mi è venuta in mente pensando a una recensione di questo libro è stata: leggetelo!

Si tratta di cinque racconti che narrano di paternità, di solitudine, della crisi della scuola pubblica, della crisi – o del ruolo – dell’uomo, del maschio, nella società.

Le situazioni che racconta sono estreme o portate all'estremo, Alessandro Cartoni riesce a mettere nero su bianco lo smarrimento dell’uomo di fronte alle ipocrisie della vita, le ansie e le ossessioni di gente comune. Si tocca con mano il disagio dei suoi personaggi, forse mossi dalla consapevolezza che è inutile cercare sempre un senso nelle cose e che non si può essere del tutto se stessi senza che altri soffrano per questo.
Nel primo racconto, L’esercito di Giulia, il papà di Giulia a un certo punto ha smesso di resistere e ha ceduto alla sua bambina di sette anni (che quando può usa una strategia: l’isolamento dell’avversario) e al suo esercito di alleati fedeli e pericolosi: i suoi bambolotti. Acuto.
Nel secondo racconto, I vermi, il prof Luca Spalletti è in terapia. La dottoressa gli dice che in Italia il 40% dei pazienti in terapia è costituito da insegnanti. Gli suggerisce di tenere un quadernino e lui ne porta due con sé per tutta l’estate, per annotarsi le cose che non vanno e quelle che vanno. E intanto i vermi entrano in casa e nel letto...
Effetti del tempo e dell’esilio meriterebbe una recensione tutta per lui.
Ma ognuno dei racconti ha qualcosa da dire.

Dove ballano le ragazze di Alessandro Cartoni è un libro che ci porta a riflettere, per fortuna spesso col sorriso sulle labbra nonostante la gravità con cui i personaggi vivono, anzi sopravvivono, o subiscono la vita, ormai soggiogati e schiacciati dalla disfatta psicologica. 

L’esilio non sta nel luogo, ma nel qualcosa che è dentro di te simile a un vetro opaco che distanzia.
Ma forse il filo conduttore è, come dice la quarta di copertina, l’amore, il desiderio di amore e normalità: 
Minimo comun denominatore dei cinque racconti di “Dove ballano le ragazze” è l’amore nella sua forma estrema, debordante, crudele. Che sia paterno, erotico, filiale, feticista o altro, tale sentimento spinge i protagonisti di queste storie, tutte ambientate nelle Marche, a confrontarsi con se stessi e con il mondo esterno. Dallo scontro emerge la configurazione di un universo pericolosamente in bilico tra antichi pregiudizi e selvaggi edonismi di massa.
Alessandro Cartoni ha una scrittura estremamente gradevole, descrive persone che non riescono più a tenere insieme i pezzi della loro vita, riesce a rendere limpido e a suscitare un sorriso su soggetti e scene che di per sé sarebbero sporchi e impuri. Penso tra l’altro alla bambola gonfiabile o a Gaja, la ballerina di lapdance di cui il prof si innamora...
Ho letto un commento e vorrei averlo scritto io (grazie Angelo Canaletti): «Ogni suo personaggio è uno specchio». E davanti a uno specchio, da soli, a un certo momento tutti dobbiamo guardare con attenzione e togliere la maschera. Cosa resta?


Dove ballano le ragazze

di Alessandro Cartoni
Zerounoundici Edizioni
ISBN 978-8893700665
Cartaceo 12,32€
Ebook 1,99€

Sinossi
Minimo comun denominatore dei cinque racconti di "Dove ballano le ragazze" è l'amore nella sua forma estrema, debordante, crudele. Che sia paterno, erotico, filiale, feticista o altro, tale sentimento spinge i protagonisti di queste storie, tutte ambientate nelle Marche, a confrontarsi con se stessi e con il mondo esterno. Dallo scontro emerge la configurazione di un universo pericolosamente in bilico tra antichi pregiudizi e selvaggi edonismi di massa.

Paola Casadei

Paola Casadei
In origine farmacista e direttore tecnico di laboratorio omeopatico, ha lasciato Forlì per trasferirsi prima a Roma, poi a Montpellier, quindi per dodici meravigliosi anni in Africa (otto in Sudafrica e quattro in Mozambico), dove ha insegnato musica e italiano. Ora risiede a Montpellier con la famiglia.
L'elefante è già in valigia, Lettere Animate Editore.
Malgré-nous. Contro la nostra volontà, traduzione, Ensemble Edizioni.
Dal buio alla luce. Il bisso marino e Chiara Vigo, traduzione, Cartabianca Editore.
Leggi >
L'appetito vien leggendo, del collettivo Gli scrittori della porta accanto

L'appetito vien leggendo, del collettivo Gli scrittori della porta accanto

L'appetito vien leggendo, del collettivo Gli scrittori della porta accanto - Recensione

Libri Recensione di Paola Casadei L'appetito vien leggendo, del collettivo Gli scrittori della porta accanto. Un libro, tante storie, esperienze di vita e ricette etniche e della cucina regionale italiana.

Più che una recensione, un invito a pranzo!
Penso che questo libro sorprenderà parecchi lettori, quelli che amano cucinare e quelli che amano solo mangiare. Aprirà i confini del gusto!
Non si tratta del solito libro di ricette, tutt’altro. Tra le pagine si trovano piatti tipici regionali o etnici, di paesi e addirittura epoche diverse. È un libro che raccoglie vari romanzi, tante esperienze di vita e tante “ricette vissute”. Si potrebbe parlare, come ho letto in un commento, di ricette letterarie, perché ispirate da libri o descritte nei libri.
Quando l’ho letto, mi sono detta: peccato che io non abbia potuto dare il mio contributo e partecipare. Mi sono sentita parte del progetto anche solo leggendo. Ho viaggiato, mi sono sempre appuntata le ricette di piatti gustati e cucinati che hanno origini lontane. Trovo interessante aprire le frontiere in questo modo.
Ogni sezione parla di un romanzo, ne riporta un estratto e per ogni libro vengono elencate quattro ricette che in qualche modo sono ad esso legate, rimandano ai luoghi descritti, oppure si ispirano all'atmosfera rievocata.

Quattro portate per ogni capitolo, per creare una cena completa, dall'antipasto al dolce.

Leggendo il libro, ho notato che a volte gli scrittori sono particolarmente precisi nel raccontare i piatti che i loro personaggi consumano, magari nella romantica scena di un primo incontro o nell'accurata descrizione di un pedinamento. Altri accennano invece in modo più vago a ricette etniche (magari mentre l’eroina del romanzo si trova catapultata dall’altra parte del mondo per inseguire il suo sogno nel cassetto).
Ma le ricette vengono riportate successivamente con ogni dettaglio e sono in molte/i ad averle sperimentate.
Io consiglio dunque ai lettori di “leggere” - nel senso più ampio del termine - tutte le ricette presenti, leggere gli estratti dei libri e lasciarsi catturare dalle atmosfere e dalle esperienze spesso di vita vera degli autori, in questo caso delle autrici-cuoche. Chiunque troverà qualcosa di diverso in questi menu. Ciascuno potrà eventualmente sviluppare e modificare le ricette, aggiungere un tocco ai propri piatti pescando da quelle della cucina italiana (piemontese, piacentina, veneziana, sarda, emiliana), africana, dominicana, greca, medievale che troverà in questo ricettario ricco di vita.

L'appendice della seconda edizione e un gustoso seguito.

Devo dire che, quando credevo di essere alla fine del libro, la sorpresa dell’appendice con Pomodori verdi fritti, Virginia Wolff, Agatha Christie e perché no? un tocco di Chocolat, oltre a Bridget Jones e Piccole donne è stata quel tocco in più molto piacevole.
Ma c’è una novità: dati i riscontri del pubblico, Gli scrittori della porta accanto hanno ritenuto interessante ripetere l’esperienza e pensare di pubblicare il seguito del libro, con nuovi libri, nuovi autori, nuove ricette, nuovi stimoli...
Buona lettura, allora, e… Buon appetito!

L'appetito vien leggendo

del collettivo Gli scrittori della porta accanto Edizioni
Gli Scrittori della Porta Accanto Edizioni
Ricettario
ISBN 978-8865490419
Cartaceo 9,99€
Ebook 0,99€

Sinossi
Ricette facili e originali per aiutarvi a sbizzarrirvi in cucina e stupire con piatti regionali o etnici.
Non si tratta del solito ricettario, bensì di un insieme di ricette provenienti da diverse regioni, paesi ed epoche, ispirate o descritte nei nostri libri. Perché cucinare sempre gli stessi piatti quando si può creare qualcosa di speciale, diverso e gustoso, magari attingendo a ricette regionali italiane, africane, dominicane, greche, medievali?
Sarà un’esperienza fantastica, qualcosa che non solo vi farà venire l’acquolina in bocca ma vi invoglierà a leggere i libri che parlano di queste ricette. Dieta mediterranea, vegana, senza lattosio e senza glutine, tra le 48 ricette tratte dai nostri libri e una nuova appendice di sei ricette tratte da romanzi celebri, come la torta al pistacchio e rose ispirata ad "Assassinio sull’Orient Express" di Agatha Christie o la zuppa di Bridget Jones. Dall'antipasto al dolce, potrete preparare una cena coi fiocchi grazie alle nostre "ricette letterarie".
Mettetevi ai fornelli e seguite i passi delle varie ricette suggerite. Così poi, dopo che tutti i commensali si saranno complimentati con voi per il menù insolito proposto e voi sarete soddisfatti e con la pancia piena, potrete dedicare qualche ora alla lettura di uno di questi libri e ritrovare tra le pagine gli stessi sapori e gli stessi odori che avrai sentito gustando i piatti cucinati.

48 ricette dai libri di:
Valentina Gerini - "Volevo un marito nero" & "La notte delle stelle cadenti"
Stefania Bergo - "Con la mia valigia gialla"
Tamara Marcelli - "Il sogno dell'isola"
Ornella Nalon - "Oltre i confini del mondo" & "Non tutto è come sembra"
Silvia Pattarini - "Biglietto di terza classe"
Elena Genero Santoro - "Perchè ne sono innamorata"
Renata Morbidelli - "Astéris: la Prescelta"
Samantha Terrasi - "Ti aspetto"
Francesca Gnemmi - "Il tempo delle lucciole"
Tiziana Viganò - "Come le donne"



Paola Casadei

Paola Casadei
In origine farmacista e direttore tecnico di laboratorio omeopatico, ha lasciato Forlì per trasferirsi prima a Roma, poi a Montpellier, quindi per dodici meravigliosi anni in Africa (otto in Sudafrica e quattro in Mozambico), dove ha insegnato musica e italiano. Ora risiede a Montpellier con la famiglia.
L'elefante è già in valigia, Lettere Animate Editore.
Malgré-nous. Contro la nostra volontà, traduzione, Ensemble Edizioni.
Dal buio alla luce. Il bisso marino e Chiara Vigo, traduzione, Cartabianca Editore.
Leggi >
ARTICOLO PRECEDENTE >>
Post più vecchi
Home page

Parole chiave


Pubblicità
Prenota il tuo viaggio in Repubblica Dominicana




Libri in evidenza