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Recensione: La morte non mi ha voluta, di Yolande Mukagasana

Recensione: La morte non mi ha voluta, di Yolande Mukagasana

Libri Recensione di Elena Genero Santoro. La morte non mi ha voluta di Yolande Mukagasana (Marotta e Cafiero). La violenza e la crudeltà non vengono edulcorate, in nome di uno show, don’t tell. L'autrice, con uno stile di scrittura molto preciso e articolato, ci mostra i massacri che sconvolsero il Ruanda.

Il genocidio del Ruanda, iniziato il 6 aprile 1994, che in pochi giorni ha mietuto ottocentomila vittime, oggi ci sembra un affare così lontano, per geografia e collocazione temporale. All’Arsenale della pace del Sermig, di cui ho parlato nel mio ultimo articolo, c’è il biberon di legno rotto di un bambino ruandese decapitato.


Eppure la storia vera di Yolande Mukagasana ancora oggi è un pugno nello stomaco per chi l’ascolta.
Yolande Mukagasana ha un marito, Joseph, che ha imparato ad amare, e tre figli adolescenti, Christian, Nadine e Sandrine, quest’ultima adottata. Yolande è un’infermiera, ma nel luogo in cui abita svolge quasi la professione medica, perché non c’è alternativa. Negli anni si è documentata, ha studiato, ha fatto esperienza di primo soccorso. È una donna intelligente e colta. Per sua abilità a curare gli altri, la chiamano con l’appellativo di muganga, dottore. Gli abitanti del suo paese contano su di lei.

È il 6 aprile quando Yolande Mukagasana, quarant’anni, torna a casa dopo una normale giornata in ambulatorio. Per strada intuisce che è accaduto qualcosa. 

La situazione politica era già tesa. Il marito che la accoglie non riesce a nascondere la sua angoscia. L'aereo presidenziale di Juvénal Habyarimana, al potere con un governo dittatoriale dal 1973, era appena stato abbattuto. Yolande e Joseph sono tutsi. Per loro è la fine.
Il Ruanda all’epoca era popolato principalmente da due etnie: i tutsi, circa il 20% della popolazione, di tradizione ricchi allevatori, che detenevano il potere al governo, e gli hutu, il restante 80%, generalmente più poveri e agricoltori. La percezione di una distinzione etnica, non sempre facile, dato anche il numero di matrimoni misti, era stata accentuata durante la dominazione coloniale belga, che aveva imposto l’indicazione etnica persino sulla carta di identità. I belgi, giunti nel territorio alla fine del XIX secolo, avevano preso a dialogare con la parte di popolazione detentrice del potere politico, i tutsi, e avevano privato gli hutu della loro autorità. Il primo sterminio di centomila tutsi era già avvenuto nel 1959 e a più riprese c’erano stati episodi di violenza e razzismo, con vari avvicendamenti al potere, ma ciò che accadde nel 1994 andò ancora oltre.

Dunque Yolande Mukagasana viene accolta dal marito con questa tragica notizia e capisce: è iniziata la caccia all’uomo. 

L’equilibrio precario in cui i tutsi vivevano si frantuma in un soffio. In poche ora la vita dei tutsi viene stravolta. Le ronde di miliziani hutu che si aggirano per le strade ora hanno solo sete del loro sangue. Con Yolande, poi, ce l’hanno in modo particolare perché è muganga. Detiene un sapere che potrebbe ritorcerglisi contro. Dicono che abbia imparato a uccidere gli hutu con una puntura. La temono. Bruciano persino i suoi libri. (Già all'epoca, come adesso, da qualcuno la cultura era vista come un disvalore).
Inizia una guerra fratricida insensata e al limite della follia. Quelli che il giorno prima erano i suoi vicini di casa, la gente che aveva curato, ora vogliono solo la sua testa. Yolande Mukagasana deve essere pronta a capire chi la vuole davvero aiutare o chi sta per tradirla, magari per qualche spicciolo.
I tutsi non possono contare neppure sull’aiuto della chiesa, la stessa chiesa missionaria che ha preteso di convertirli, di plasmare la loro religione secondo i canoni cristiani, di trasformare il loro Imana in Gesù Cristo. Molti sacerdoti sono corrotti, parteggiano per quegli altri, si vendono al migliore offerente, sono razzisti.


L’odio che gli hutu riversano sui tutsi è insensato, ottuso e privo di pietà. 

I tutsi verranno uccisi a colpi di machete, saranno decapitati, mutilati; alle donne verrà usata violenza e poi saranno tagliati i seni; ai bambini sarà rotto il cranio a colpi di pietra. Gli hutu, in preda a un’alienazione collettiva, non riusciranno quasi mai a fare emergere una coscienza individuale che ne inibisca la sete di violenza. Uccidere, scrive l’autrice, è come fare l’amore. Spaventa all’inizio, ma poi a dominare si prova gusto.
È una storia che ricorda il nazismo. O la rivoluzione francese. I ricchi diventano capi espiatori e da quel momento la nazione in rivolta si trasforma in un branco di carnefici.
Per quanto l’autrice, testimone di tutto questo, non indugi in dettagli morbosi, la violenza e la crudeltà non vengono edulcorate nel testo, quindi questo libro richiede, in alcuni passaggi, uno stomaco robusto. In nome di uno “show, don’t tell”, Yolande Mukagasana, con uno stile di scrittura molto preciso e articolato, mostra.

Yolande Mukagasana deve difendere i suoi figli. Allontanarli da sé, affinché non vengano catturati insieme a lei. Ed è questo il fatto straziante che permea tutto il racconto. 

Il lettore sa già dalle prime pagine che Yolande resterà sola. Perderà la sua famiglia, il fratello Nepo e le sorelle.
La prima notte si rifugiano tutti nel boschetto di fronte alla loro abitazione, dormire in casa non è sicuro e gli hutu colpiscono prevalentemente al buio. Però sono braccati, sono bestie in gabbia, gli hutu hanno istituito barriere e confini, nessuno può scappare. Se non li ammazzano subito è perché si divertono come in una caccia alla volpe.
E qui inizia il gioco crudele. Joseph sarà il primo a sacrificarsi, tentando di salvare a lei la vita. Yolande lo vedrà colpito, mutilato, in fin di vita. Saprà che è morto. Intanto i figli patiranno la fame, diventeranno adulti in pochi giorni. E lei li osserverà soffrire, si sentirà impotente, si domanderà se ha fatto la scelta migliore per proteggerli.

Nel momento in cui sto scrivendo, l’Italia è stata travolta dalla psicosi del coronavirus. 

Posto che, per come la situazione si sta evolvendo, sembra che questo virus non sia poi così malefico, né mortale per i bambini, e che costituisca più un pericolo sociale che individuale, mi sono trovata insieme a Yolande a pormi lo stesso dubbio: sto facendo la cosa migliore per i miei figli? Venerdì 21 febbraio i media hanno diffuso, di punto in bianco, le notizie catastrofiche della pandemia, scenari apocalittici con il conteggio dei morti in tempo reale, i supermercati saccheggiati e l'Amuchina a 200 euro. Questo mi ha gettata in un vortice nero di ansia, perché domenica 23 avevamo in programma un viaggio. Ho trascorso un sabato infernale nel tentativo di capire se portare i bambini con me a Roma, come avevamo già programmato, o se lasciarli a Torino, dove sembrava esserci un focolaio attivo. Dove avrebbero rischiato meno? A casa, con parenti che però avevano preso parte a eventi importanti e affollati, o a Roma, all’aperto, ma tra turisti di tutte le provenienze? Qual era il bilancio costi / benefici più favorevole? A che rischio li esponevo? Potevano ammalarsi gravemente? C'era un pericolo reale? Alla fine li ho portati a Roma, ma in auto, anziché in treno, come consigliavano i giornali, per evitare di restare a lungo in luoghi chiusi con persone sconosciute e potenzialmente malate, e ancora mi sto a domandare se ho fatto la scelta corretta. O se, qualunque fosse stata la scelta, sarebbe stata sbagliata, che tanto non potrò mai proteggerli da tutto e ci sono situazioni imponderabili che non dipendono da noi. Che quando c’è un virus impazzito, o una folla inferocita e colta da un’isteria generale, poche precauzioni possono risultare efficaci.

Yolande Mukagasana non riuscirà a salvare i suoi figli, ma prenderà coscienza della loro morte solo alla fine. 

Nel frattempo la sua avventura si farà serrata e avvincente. I suoi nascondigli, la sua furbizia, i suoi inganni, l’aiuto della devota Emmanuelle, riusciranno a portarla in salvo. Questo romanzo, uscito per la prima volta nel 1997 e ripubblicato adesso dalla Marotta & Cafiero di Rosario Esposito La Rossa, ha il respiro di un thriller.
Invece è la testimonianza di una donna che la morte non ha voluto prendere con sé. Di una donna che ha poi consacrato la sua vita al ricordo. Che nonostante l’odio e la stupidità del razzismo, nonostante l’ingiustizia patita – tutto il dolore del mondo – non è riuscita a smettere di amare.
Visto che la morte non mi ha voluta, allora peggio per lei.
Yolande Mukagasana, La morte non mi ha voluta


La morte non mi ha voluta di Yolande Mukagasana

La morte non mi ha voluta

di Yolande Mukagasana
Traduzione di Cinzia Sciancalepore
Marotta e Cafiero
Non-fiction | Biografia
EAN 9788897883883
Cartaceo 12,75€

Sinossi

Yolande è un'infermiera, una donna emancipata. Yolande è sulla lista nera degli hutu. Scappa nella foresta, tra i gorilla, con tre bambini e suo marito. Ogni notte, con i machete, migliaia di tutsi vengono massacrati in quello che passerà alla storia come il genocidio del Ruanda. L'Occidente resta a guardare, mentre Yolande perde i suoi figli e suo marito. Ma lei sopravvive, perché la morta non l'ha voluta. Questo libro è una terribile testimonianza di una donna che non ha taciuto nonostante l'orrore. Una storia cruda, senza filtri, senza pietà. Una mamma, una moglie, un'esule che non ha mai smesso di amare la propria terra.

Immagine di copertina © Chris Schwagga
Elena Genero Santoro

Elena Genero Santoro
Ama viaggiare e conoscere persone che vivono in altri Paesi. Lettrice feroce e onnivora, scrive da quando aveva quattordici anni.
Perché ne sono innamorata, Montag.
L’occasione di una vita, Lettere Animate.
Un errore di gioventù, 0111 Edizioni.
Gli Angeli del Bar di Fronte, Gli Scrittori della Porta Accanto Edizioni (seconda edizione).
Il tesoro dentro, Gli Scrittori della Porta Accanto Edizioni (seconda edizione).
Immagina di aver sognato, PubGold.
Diventa realtà, PubGold.
Ovunque per te, PubMe.
Claire nella tempesta, Leucotea.


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