Gli scrittori della porta accanto

Il Sermig di Torino: l'arsenale della pace e dell'accoglienza voluto da Ernesto Olivero

Il Sermig di Torino: l'arsenale della pace e dell'accoglienza voluto da Ernesto Olivero

Di Elena Genero Santoro. Visita al Sermig di Torino: una giornata di grande impatto emotivo all'arsenale della pace e dell'accoglienza voluto da Ernesto Olivero, che non fa assistenzialismo, ma crea opportunità. 

Figlia, che per settimane mi hai rotto le scatole perché volevi prendere parte a una gita del catechismo alla quale non avevo nessuna intenzione di mandarti.
Che mi hai stressata finché ieri non ho dovuto inviare un messaggio alla catechista per chiedere se c’era ancora posto (e pregando tra me e me che non ci fosse).
Che mi hai costretta a svegliarmi alle sei e mezza anche oggi che era domenica per presentarmi al pullman alle otto e un quarto, dato che il posto, alla fine, c’era.
Che mi hai obbligata ad alzarmi e vestirmi nonostante mi fosse arrivato il ciclo e avessi la schiena a pezzi.
Figlia, per tutto questo, voglio dirti grazie, perché mi hai permesso di trascorrere una giornata ad alto impatto emotivo.

Siamo andati al Sermig, l’arsenale della pace di Torino, nato da un sogno di gioventù di Ernesto Olivero, classe 1940, vedovo dal 4 maggio 2019 della sua sposa Maria e padre di tre figli. 

Il Sermig, che significa Servizio Missionario Giovani, è un luogo di accoglienza che nasce sulle ceneri dell’antico arsenale militare di Torino, il complesso che durante la seconda guerra mondiale fungeva da fabbrica delle armi e che vent’anni dopo era un rudere diroccato, presidiato dai militari, e con ancora i forni e le attrezzature dentro.
Ernesto Olivero ottenne, dopo quattro anni di richieste, di fare di quel posto il punto di partenza per allargare la sua famiglia al resto del mondo.
Ci sono voluti decenni di lavoro e di amore per trasformare un vecchio arsenale bombardato in una struttura di trentacinquemila metri quadrati che offre accoglienza a immigrati, donne in difficoltà che fuggono dalla prostituzione o dalla violenza domestica, famiglie; in un’organizzazione che gestisce corsi di italiano per gli stranieri, che nel pomeriggio ospita bambini di cinquantacinque nazionalità diverse e favorisce l’integrazione globale.
Per capire la filosofia del luogo: ci sono stati mostrati interi saloni pavimentati con mattonelle di legno (più di quarantamila pezzi) ripulite una ad una dai volontari che ne hanno raschiato via incrostazioni di catrame e sporcizia.

Al Sermig non si butta via nulla. Il Sermig accetta l’opera dei volontari che gravitano intorno a esso, e attualmente a Torino sono più di mille. 

In più riceve cibo, indumenti, giocattoli, occhiali usati da chiunque glieli doni e rimette tutto in circolo. (NB: lo sapete che in Europa si parla di Circular Economy? Ecco, al Sermig l’avevano già inventata prima).
Il punto di partenza è che tutti noi che abbiamo un tetto sulla testa possiamo restituire qualcosa delle grazie che abbiamo ricevuto e donarle a chi non gode dei nostri stessi privilegi. Possiamo mettere a disposizione oggetti, oppure ore di lavoro, tante o poche che siano. E così è stato creato addirittura un poliambulatorio gratuito, comprensivo di studio dentistico, in cui gravitano un centinaio di medici.

Il Sermig di Torino (ci sono altri tre arsenali di Ernesto Olivero in giro per il mondo) non fa assistenzialismo, ma crea opportunità. 

Nel dormitorio maschile si può restare per un mese, il tempo di nutrirsi, lavarsi, indossare abiti migliori e trovare un lavoro. Le donne, magari con bambini, invece possono godere di una permanenza più lunga, valutata caso per caso. Ma gli ospiti che si nutrono alla mensa, se possono, sono invitati a pagare un euro. Questo perché così possano conservare una dignità.
Ci hanno detto che gli arsenali del Sermig costerebbero al giorno novecento mila euro e che se i contributi dei volontari smettessero, loro chiuderebbero in tre giorni. I matematici stanno studiando il loro caso: l’effetto Sermig, ovvero come si possa mantenere in piedi un tale colosso solo con il passaparola e l’aiuto di chi si presta, anche occasionalmente.

Passaparola, perché il Sermig riceve finanziamenti pubblici minimi e non è reclamizzato da nessun giornale e nessun format. 

Addirittura un anno arrivarono Le Iene, pronte a prenderli in castagna, a fare emergere lo scandalo. Tutto quel giro di denaro doveva avere un’origine losca. Ernesto Olivero non si sottrasse: concesse una intervista di quasi tre ore, con la promessa, da parte delle Iene, che se non avessero trovato nulla di fuori posto avrebbero montato un servizio lusinghiero. Le Iene se ne andarono senza fare più sapere niente, ma otto mesi dopo, alla vigilia di Natale, mandarono in onda un servizio senza critiche, anzi, solo di elogio. E con Le Iene non capita spesso. In verità non capita mai. Ma “come San Francesco convertiva i lupi, Ernesto Olivero converte le iene” (cit.).



Dunque il Sermig è un miracolo? 

Posto che i volontari sono sia credenti di tutte le religioni che atei e che Ernesto Olivero non è un prete, forse sì, il Sermig è un miracolo. È una Provvidenza che opera di continuo, nonostante non si possa mai dare per scontata.
Ernesto Olivero è un laico con una profonda fede. L’abbiamo incontrato nel pomeriggio. Eravamo nella biblioteca della pace, uno dei primi progetti che hanno dato origine a ciò che è oggi il Sermig. Intanto i nostri figli erano stati messi a smistare indumenti. Perché chi va al Sermig lavora.
Olivero ha risposto alle nostre domande per un’ora. Ci ha narrato aneddoti, le sue amicizie con i papi Paolo VI e Giovanni Paolo II, di come sia sempre riuscito a farsi ricevere da loro anche quando era un perfetto sconosciuto.
Il rimpianto per la moglie venuta a mancare da poco è permeato da grande serenità e dalla consapevolezza che oggi la sua sposa è andata in un posto migliore. Maria non è morta, si è trasferita in cielo. La parola “morte” da lui non è mai stata pronunciata. Ernesto Olivero non ci ha nascosto le lacrime che ha versato, dal momento della scoperta della breve malattia della moglie, ma la pace ha appianato ogni punta di disperazione. I defunti sono tra di noi. Non c'è separazione.
Le due ragazze che ci hanno accolti questa mattina, invece, sono due monache in abiti civili innamorate di Gesù e del messaggio del vangelo. Appartengono al monastero metropolitano, riconosciuto dalla diocesi, e risiedono al Sermig. Sono motivate dal desiderio genuino di diffondere l’amore verso il prossimo.

La storia che ci hanno raccontato è una grande storia di fede, di segni, di semi che un giorno sono sbocciati. 

La loro stessa storia, il loro approdare al Sermig da due regioni molto lontane dell’Italia, dopo esserne entrate in contatto per vie traverse, suonava nella loro voce come quel destino che le ha portate esattamente dove dovevano  andare, per quante circonvoluzioni avessero fatto.
E anche il racconto della nascita del luogo, del suo sviluppo, della sua crescita, sembrava costellato da piccoli e grandi segni che testimoniano la mano di un disegno superiore che supera la sola volontà umana.
I segni che hanno costellato questa storia sono stati tradotti in simboli e rappresentazioni.
Quando si entra nell’arsenale, subito sulla destra, c’è un masso sul quale cade una goccia d’acqua, posto lì per ricordare che anche le gocce, alla lunga e con pazienza, erodono la pietra e plasmano la roccia. Dietro al masso un enorme “Grazie” per tutti coloro che donano qualcosa.

La croce dei dolori del mondo e la cappella del Sermig

E poi, nella cappella, la croce dei dolori del mondo, ricavata dalle traversine e dai chiodi delle rotaie che entravano nell’arsenale di guerra: legno e chiodi che il dolore l’hanno visto per davvero e che ora sono stati striati di vernice rossa e bianca (ma il bianco della pace vince sul rosso). 

Fuori dalla cappella una teca con oggetti vari, raccolti da Olivero nei più disparati posti al mondo, tra i quali il biberon di legno rotto di un bambino decapitato nel genocidio del Ruanda. Vicino alla croce dei dolori del mondo, c’era dunque uno dei segni di tutto il dolore del mondo.
Il tabernacolo è stato ricavato da un antico forno dell’arsenale, mentre su un altro forno, più grande, all’esterno, è cresciuta un’improbabile pianta, segno che i semi germogliano non secondo logica umana, ma secondo logica divina.
In fondo la fede è proprio questo: credere che nulla sia mosso dal caso, che dietro gli accadimenti della vita, anche i più drammatici, ci sia un piano, un senso.
E forse un piano c’è. Alla fine della mattinata abbiamo preso parte alla celebrazione della messa, magnificamente animata da un coro polifonico, nella chiesa grande, quella da cinquecento posti, un locale moderno, lineare, tutto dipinto di bianco.
Il caso, o il destino, o il disegno più grande, ha voluto che fossi proprio oggi in quel luogo ad ascoltare il brano del vangelo sulla giustizia misericordiosa di Dio.
Un errore di gioventù di Elena Genero Santoro

Un errore di gioventù

di Elena Genero Santoro
PubMe | Collana Gli Scrittori della porta accanto
Narrativa
ISBN 9788833664378
ebook 2,99€

Proprio oggi che ricorrono i dieci anni dell’esecuzione in Florida del mio penfriend Martin Edward Grossman, alla memoria del quale ho dedicato un libro, Un errore di gioventù

Proprio oggi che per me era una giornata di grande dolore e ingiustizia. La giornata di tutti i dolori del mondo.
Alla fine della celebrazione la monaca ci ha spiegato la nascita di quella chiesa, una degli ultimi locali allestiti nel complesso. Era stata costruita dai genitori di una ragazza deceduta per incidente stradale, che avendo perso lo scopo della loro vita avevano voluto continuare l’opera di volontariato della figlia. La giovane, nei suoi diari, aveva espresso quanta felicità avesse provato al Sermig. Aveva ragione: il Sermig è un luogo di pace, in ogni angolo si respira la grazia e la tranquillità di cui è permeato. Il Sermig è il luogo in cui l’amore si può vedere e toccare per quanto è concreto.
Dietro l’altare, un’unica, grande croce bianca: la croce di luce, successiva e contrapposta alla croce dei dolori del mondo. Perché, come dicono al Sermig: basta una luce per scacciare il buio.
Elena Genero Santoro

Elena Genero Santoro
Ama viaggiare e conoscere persone che vivono in altri Paesi. Lettrice feroce e onnivora, scrive da quando aveva quattordici anni.
Perché ne sono innamorata, Montag.
L’occasione di una vita, Lettere Animate.
Un errore di gioventù, PubMe - Collana Gli Scrittori della Porta Accanto (seconda edizione).
Gli Angeli del Bar di Fronte, Gli Scrittori della Porta Accanto Edizioni (seconda edizione).
Il tesoro dentro, PubMe - Collana Gli Scrittori della Porta Accanto Edizioni (terza edizione).
Immagina di aver sognato, PubGold.
Diventa realtà, PubGold.
Ovunque per te, PubMe.
Claire nella tempesta, Leucotea.


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