Il 22 ed il 23 febbraio scorsi abbiamo organizzato un incontro con gli allievi e le allieve dei corsi di istruzione e formazione professionale della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno (ex carcere delle Vallette) di Torino per raccontare attraverso alcuni scatti la nostra esperienza estiva in un Nepal accogliente e sorprendente nei sorrisi del suo popolo, nella semplicità del vivere oltre la devastazione del terremoto che lo ha colpito nell'aprile del 2015.
Entrai per la prima volta nell'allora carcere delle Vallette nell'ottobre 1998 ('Ascolta me, ho più di 15 anni di galera' dico ai miei allievi con un sorriso ironico dispensando consigli ...), docente di cultura generale, orientamento e pari opportunità, sempre alla ricerca della possibilità di portare ai miei allievi quelle idee e quelle esperienze che loro non possono, o non immaginano di potere, andare a cercare. Se Maometto non va alla montagna, sarà la montagna ad andare a Maometto ...
Già nell'inverno del 2014 avevo organizzato un'iniziativa che chiamammo 1000 cuori una sola scuola, a sottolineare come i frutti dell'istruzione siano gli stessi in ogni parte del mondo.
Gli obiettivi degli incontri ( e mi auguro di altri che verranno ) sono di far incontrare ai nostri allievi ed allieve due diverse realtà che hanno coinvolto il Comitato Mahmud: quella delle persone rifugiate ospitate nel campo profughi di Bab al Salam al confine con la Turchia e quella del popolo nepalese dopo il terremoto del 25 aprile 2015, con il duplice obiettivo di informare sui temi della guerra in Siria e le sue conseguenze prima, e su quello delle catastrofi naturali e delle loro ricadute sulla popolazione del Nepal poi, per sensibilizzare sui temi della pace e della solidarietà umana fra i popoli. Il tutto attraverso testimonianze e proiezione di fotografie.
Fra le possibili, anzi probabili ed auspicate, ricadute dell'incontro anche quella di fornire spunti che permettano ai nostri allievi ed allieve di relativizzare la loro situazione di ristretti aprendosi alla conoscenza di situazioni ben meno agevoli, e quella di portare fuori da quelle quattro mura l'umanità che esse contengono, con occasioni come questo editoriale appunto.
Con me Roberto Pedron, che invece ha varcato per la prima volta una lunga fila di cancelli, ritrovandosi all'interno di quello che comunque è un mondo 'altro' con anche un linguaggio proprio; chi è portato a viverlo ne esprime molto sinteticamente la realtà: chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori (vero è che poi ci sono 'personaggi' come me che vivono una semilibertà al contrario, con un tempo 'dentro le mura' mattutino e pomeridiano, e uno notturno al di fuori).
Roberto, fotoreporter di guerra, pensava, per la sua professione, di aver visto tutto o almeno abbastanza, eppure ha definito attraversare i corridoi del carcere 'un'impresa non indifferente'. Durante la sua permanenza a Torino ha raccolto numerose informazioni e testimonianze dirette ed ha parlato con alcuni "ospiti", che hanno dimostrato una straordinaria umanità: per molti di essi è evidente la volontà di migliorare e di imparare cose nuove, quasi che ciò possa redimerli dai reati, commessi spesso per fame.
Ci aspetta ora un reportage sulle attività lavorative e formative che si svolgono all'interno della Casa Circondariale torinese: il progetto di Reportage open, con il quale proveremo ad approfondire e a documentare, attraverso la fotografia, quello che più ci ha colpito, con l'intento di trasmettere al lettore le stesse, identiche emozioni.
Elisabetta e Roberto Presidente e vicepresidente del Comitato Mahmud, ente no profit di Torino; deve il suo nome al piccolo profugo siriano di cui per primo si occupa, tutelandone la salute. Si pone come obiettivo la realizzazione di progetti volti a restituire ai bambini ed alle bambine che versino in gravi condizioni sanitarie e/o ambientali il futuro a cui hanno diritto, in qualunque parte del mondo essi si trovino. |
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