Viaggi Di Valentina Gerini. Samanà onthe road: da Bayahibe lungo l'Autopista del Nordiste/Route 7 che spacca in due l'isola di Santo Domingo.
Anno 2011. Partiamo alla volta di Samanà. Ricordo ancora quando, nell'ormai lontano 2003, avevo sentito per la prima volta nominare questa penisola: lì infatti si era svolta la prima edizione dell'Isola dei Famosi. Memore delle bellezze viste in televisione, una volta sul posto ero decisa a visitarla. La decisione, come sempre, è repentina: affittare una macchina con una compagna di viaggio, stesura di un itinerario abbozzato, due vestiti in una borsa e partiamo.La jeep da noi affittata ha qualche problema alla frizione, a volte si ingolfa. Da Bayahibe a Santo Domingo la questione non ci preoccupa più di tanto, la strada è costeggiata da negozi e case, talvolta da resort all'inclusive (zona di Bochachica e Juandolio).
Ma quando, prima della capitale, si deve svoltare a destra prendendo l'Autopista del Nordiste/Route 7 che spacca in due l'isola collegando la parte sud, toccata dal mar dei Caraibi, con la parte nord, bagnata dall'Oceano, la questione si fa più seria. Non una casa, non una macchina, non un paese.Ma a vent'anni non ti preoccupi più di tanto e prosegui senza pensare. Ci fermiamo all'unica stazione di servizio che vediamo, un parador ben servito dove anche altri turisti e dominicani stanno mangiando e facendo una sosta. Riso bianco, platano fritto, una chuleta (bistecchine di maiale fritte) e siamo pronte per riprendere il viaggio.
Dalla radio esce una merengue divertente che rallegra il nostro animo, già eccitato per il cammino appena intrapreso. La strada deserta sembra la famosa Route 66 americana, ai lati d'un tratto si materializzano delle coltivazioni di palme da olio, una distesa infinita che fa quasi male alla vista. "Il cimitero delle palme" lo chiamano i dominicani, ce ne avevano parlato prima della partenza.
Proseguiamo con un buon ritmo, Ilaria, la mia compagna di viaggio, guida come un autista di formula uno. Il sole è alto in cielo, il fresco del mattino ce lo siamo ormai lasciato alle spalle e l'aria condizionata diventa necessaria.
Arriviamo sulla costa nord toccando la cittadina di Nagua e subito giriamo a destra in direzione Samanà.
Sono più di 3 ore che guidiamo e decidiamo di sostare una notte nel piccolo paese di Las Terrenas, zona turistica abbastanza conosciuta. Ci fermiamo nell'agenzia turistica di Colonial Tours and Travel e subito ci consigliano un piccolo appartamento libero.Dopo una doccia ristoratrice, usciamo in esplorazione. Tutto pulito, tutto preciso, tutto perfetto. Sembra di essere in Europa. Quasi non si vede un dominicano in giro, non si sente la musica provenire dalle case, non si vede un colmado che offre birra gelata. Il villaggio sembra costruito a misura di turista, come la zona del Dominicus di Bayahibe, da dove noi siamo partite. Non è ciò che cercavamo però ormai siamo in ballo e dobbiamo ballare. Ceniamo in un ottimo ristorante di pesce e ci fermiamo a bere qualcosa in uno dei tanti club in stile europeo che si trovano in centro.
Al mattino facciamo colazione in un bar francese e, zaino in spalla, riprendiamo la nostra macchina per arrivare fino a Samanà.
Immersa nel Parque Nacional Los Haitises, la punta della penisola si introduce nell'Oceano Atlantico dando luogo a meravigliosi paesaggi. La cittadina sembra dipinta da un abile pittore, le case vicino al porto hanno tutte lo stesso stile, in legno, colorate e ben tenute. Devono costare un occhio della testa! Cerchiamo un hotel e ne troviamo uno piccolo, poco distante dal malecon, la strada che costeggia il mare piena di ristoranti e locali di svago. Il piccolo albergo, di cui ancora ricordo il nome (Hotel Samanà Spring), offre una doppia pulita e impeccabile, con bagno in camera, a soli 1000 pesos, l'equivalente di 20 euro. Ci fermiamo, posiamo gli zaini e andiamo subito al porto. Vogliamo vedere le balene, siamo a febbraio e in questo periodo sono solite passare in queste acque.Le megattere giungono dal canada nelle calde acque vicino Samanà per la riproduzione e l'accoppiamento.
Possono raggiungere dimensioni che vanno dai 12 ai 16 metri, fanno acrobazie e i maschi possono emettere un suono, simile ad un canto, che può durare fino a 20 minuti. Ci fermiamo alla prima spiaggia che incontriamo e, come sempre fiduciose, ci fidiamo di uno dei tanti venditori di escursioni. Saliamo su una barca, una semplice lancia monomotore che dà l'impressione di non poter reggere le forti onde del mare aperto. Di fatti, di lì a poco, la barca inizia sballottare e a prendere acqua. «Niente paura!», ci rassicura la guida e altrettanto fa il capitano. Io intanto sono in preda ai conati di vomito. Mi consigliano di guardare un punto fisso ma di fisso non c'è niente, solo acqua in agitazione!Le balene pare siano più lontane del solito oggi e dobbiamo spingerci un poco più in là. "Fantastico!", penso. Quando, però, le balene si fanno vedere, facendo mostra del loro corpo e della loro grande agilità con un'acrobazia rimaniamo tutti a bocca aperta. Una madre salta fuori dall'acqua con il suo piccolo, per poi rientrare subito immersa nel blu. Che spettacolo! Una volta viste le balene rientriamo, per mia fortuna, approdando sull'isolotto di Cayo Levantado, dove possiamo pranzare e trascorrere qualche ora in spiaggia.
Io ho il mal di mare, mi sembra ancora di essere in acqua anche se ho i piedi ben saldi sulla terra ferma.
La sera ceniamo in uno dei tanti ristoranti locali di Samanà e ci prepariamo alla partenza del mattino successivo, in direzione Cabarete, vicino Puerto Plata, verso ovest.Di primo mattino, decidiamo di passare per le cascate del Limon, ma il tempo non è dalla nostra parte. Il sole di ieri sembra scomparso ed è stato rimpiazzato da delle grandi nubi grigie, una forte umidità e la pioggerellina che non sembra aver intenzione di cessare. Non ci importa, ormai siamo qua e vogliamo vederle. Ci fermiamo al primo cartello che troviamo che indica le cascate. Parcheggiamo e chiediamo informazioni al ragazzo che ci raggiunge non appena abbiamo fermato la macchina. Lui può accompagnarci fino ad una delle cascate, a piedi. «Non ci vorrà molto», dice. In Repubblica Dominicana è cosi: o ti fidi di tutti e speri che ti vada bene o non ti fidi di nessuno e non esci nemmeno di casa. Noi ci fidiamo e iniziamo una scalata lungo un sentiero di montagna che si fa man mano scivoloso a causa della pioggia. I prati si trasformano in vegetazione fitta, verde e rigogliosa e la terra diventa fango. Non abbiamo di certo gli abiti adatti: infradito e pantaloncini, io, addirittura, una corta gonna di jeans. Ma chi si immaginava una scalata verso la vetta?
Camminiamo una mezz'ora buona, con l'acqua che scroscia sulle nostre teste, senza un ombrello che ci ripari.
Incontriamo altri turisti lungo il cammino e la cosa ci rincuora, chi va è eccitato chi torna ci dice che ne vale la pena. Finalmente un piccolo chiosco vuoto, sotto il quale ripararsi. Una tettoia di legno con qualche panca e un cartello che indica che, di lì a pochi metri, troveremo una delle cascate. «Sono sette», ci informa la guida e noi ne vedremo solamente una. "Beh, meglio che niente", mi dico. Ci avviciniamo in preda all'euforia e vediamo l'acqua limpida scendere a picco da una parete mezza rocciosa e mezza verde. Il tuffo produce un suono assordante e dalla schiuma bianca dell'acqua che cade ne nasce una pozza trasparente che si divide in rigagnoli e fiumiciattoli. Uno spettacolo senza eguali, come ogni volta che osservi la natura e ti rendi conto di quanto sia maestosa. La sensazione è identica a quella provata alla vista delle balene, il giorno prima. Il ritorno verso la macchina è decisamente meno faticoso non solo per la pendenza in discesa ma anche perché ci sentiamo più leggere, soddisfatte di ciò che abbiamo visto.Arriviamo a Cabarete dopo pranzo, in tempo per goderci un pomeriggio di sole sulla fantastica spiaggia bianca, lunga da perdersi all'orizzonte, affiancata da un mare increspato pieno zeppo di surfisti alla presa con le onde.
Il tempo è di nuovo cambiato. C'è sole, il clima è ottimo, ben ventilato e non afoso come nella penisola di Samanà.Il paese dalle case colorate e costruite una vicino all'altra è molto carino. Sembra costruito a misura di surfista. Ogni negozio vende tavole da surf, oggetti e abbigliamento legato a questo sport. Di italiani nemmeno l'ombra, tanti americani e inglesi.
La spiaggia, ampia e ben tenuta, è piena di locali che affondano tavolini nella sabbia e offrono possibilità di pranzare seduti in riva al mare oppure distesi su un'amaca. Che bello!
Pranziamo e cerchiamo una sistemazione per la notte.
Poi, per l'ora di cena, scendiamo di nuovo in spiaggia dove i ristoranti, una volta passata l'ora dei pasti, si trasformano in discoteche a cielo aperto.
Passeggiamo lungo la battigia, passando da un locale all'altro, bevendo qualche drink e ballando spensieratamente. Cabarete è un paese da giovani, non c'è dubbio!Al mattino facciamo colazione in un piccolo bar sulla spiaggia costruito tutto in legno, aggrovigliato ad un grande albero che fa da perno e colonna portante a tutta la costruzione. Sembra gestito da americani e, di fatti, la colazione è esclusivamente americana: pancakes e caffè annacquato.
Ripartiamo in direzione Bayahibe, i nostri tre giorni di vacanza sono finiti. Prima di riprendere il lungo viaggio ci fermiamo, nei pressi di Nagua, ad osservare una parte della costa che si presenta davanti ai nostri occhi.
Le prime luci del mattino rendono tutto sempre più magico, il mare è una tavola e la spiaggia è deserta. Due palme si intrecciano quasi a formare un cuore, come se volessero darsi la mano, diventare l'una parte dell'altra, per poi proseguire, ognuna per i fatti propri, alte verso il cielo.
Ci facciamo una foto e poi partiamo. Sono stati tre giorni bellissimi!
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Valentina Gerini |
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