Gli scrittori della porta accanto

[Cinema] "Il diavolo veste Prada", recensione di Elena Genero Santoro



IL DIAVOLO VESTE PRADA

David Frankel REGISTA
Aline Brosh McKenna SCENEGGIATORE
Lauren Weisberger SOGGETTO
Wendy Finerman PRODUTTORE
2006 ANNO
Florian Ballhaus FOTOGRAFIA
Theodore Shapiro, AA. VV. MUSICA
Patricia Field COSTUMI

CAST
Meryl Streep, Anne Hathaway, Emily Blunt, Stanley Tucci, Adrian Grenier, Simon Baker
Tracie Thoms




Ho rivisto, per l’ennesima volta dopo tanto tempo, Il diavolo veste Prada e me lo sono gustato dal primo all’ultimo minuto. Se dopo dieci anni dall’uscita mi è venuta voglia di scrivere una recensione tardiva, è perché mi sono resa conto che questo film non è solo bello, è proprio perfetto, e questo è il motivo per cui è diventato un cult. A distanza di dieci anni è ancora attuale e fruibile come alla prima visione e dicono che questo sia uno dei (pochi) casi in cui il film è decisamente superiore al libro. È una commedia, certo, ma con un buon ritmo e un messaggio finale non di poco conto.

Ecco la trama, per chi ancora non lo conoscesse.
Andrea, detta Andy (Anne Hathaway), è una neolaureata con velleità giornalistiche che si è appena stabilita a New York nel tentativo di intraprendere una carriera mirata. È una ragazza molto semplice, che non segue la moda, anzi, in tutta onestà, è carina, ma davvero sciattina. Vive con il fidanzato Nate, cuoco, e per ironia della sorte trova lavoro presso la prestigiosa rivista di moda Runway, diretta dalla terribile Miranda Priesley (Meryl Streep) la quale assume Andy come seconda assistente personale. 
Miranda Priestly è una donna feroce, una virago dedita al lavoro, che ha sacrificato la sua vita privata per la carriera. Il suo parere in fatto di moda è legge; è capace di mandare in crisi qualunque stilista. È stimata, ma temuta da tutti. 
Andy accetta, perché nel giro di un anno quell’incarico, che pure non la porta a scrivere, le potrebbe aprire le porte di qualunque testata giornalistica. Tuttavia Andy non nasconde il suo disinteresse per il settore moda, che ritiene sciocco e superficiale, e questo all’inizio la porta a dover ingoiare diversi rospi. 
Miranda la prende di punta, la subissa di pretese assurde, la chiama a tutte le ore del giorno e della notte, la sottrae alla sua famiglia, alle sue amicizie, ai suoi affetti, e quando ritiene che Andy non abbia soddisfatto appieno le sue richieste non esita a vessarla sadicamente in ogni modo, per il gusto di umiliarla e di vederla affannarsi. 
Tuttavia Andy riesce a tenere testa a tutto, inizia persino a vestirsi come una modella, e si cala talmente bene nella parte che a un certo punto Miranda la prende a ben volere (avviene nel momento in cui inizia a chiamarla per nome e smette di chiamarla “Emily”, come la prima, cinica e ambiziosa assistente).


Ma nel momento in cui la sua carriera va finalmente per il verso giusto, Andy comincia ad avere problemi con la famiglia, rompe con il fidanzato e si trova nella posizione di dover fare uno sgarbo a Emily, la sua collega. Infatti Miranda vuole portarla con sé a Parigi, lasciando a casa Emily che invece pregustava quel viaggio da mesi. 
Alla fine Andy parte per Parigi, ma una volta là ha una brutta sorpresa e scopre che Miranda sta per essere rimpiazzata dalla direzione di Runway. Allora cerca in tutti i modi di avvertire la sua datrice di lavoro della congiura imminente, ma Miranda è scafata, nonché già informata, sa perfettamente come difendersi, e infatti, sacrificando il suo più fidato collaboratore, (Nigel), fa in modo di restare al suo posto. Però ringrazia Andy per l’aiuto e si lancia a dire che in lei rivede se stessa. 
Ma è a questo punto che Andy capisce che sta sbagliando tutto. Lei non vuole diventare come Miranda, non vuole sacrificare la famiglia, non vuole essere una stronza che fa le scarpe ai colleghi e, ultimo ma non ultimo, non vuole occuparsi di moda a vita. Così se ne va, nonostante ormai le si prospetti una buona carriera, quella che tutte le ragazze sognano, quella per cui altre stagiste al suo posto sarebbero arrivate a uccidere.



Rivedere questo film dopo qualche anno ha cambiato un pochino il mio punto di vista, come potrebbe capitare rileggendo un libro dopo tanto tempo. Mentre da giovane mi identificavo completamente in Andy, che con una certa ingenua sfacciataggine inizia il suo incarico confidando solo nella propria bravura, oggi, dopo dodici anni di azienda, ho trovato leggermente urticante che una ragazzina saccente pretenda di lavorare in un posto che in fondo disprezza. Da un certo punto di vista ha ragione: la moda, cosa c’è di più effimero e superficiale? Eppure per qualcuno (Nigel) quel mondo è arte, sogno, ragione di vita, anche se non lo capisce. 
Detto ciò, nel film non viene risparmiato nessuno: il mondo aziendale americano connesso al fashion è spietato e durissimo. Vivere per l’immagine è un lavoraccio. Bisogna essere sempre impeccabili, sempre perfetti, sempre costantemente a dieta, e neppure un raffreddore (di Emily, in questo caso) può venire perdonato. Un piccolo sbaglio può compromettere mesi e anni di sacrifici. E nonostante tutto l’impegno, qualcuno può decidere di farti fuori senza complimenti. Non ci sono amici, tutti lì sono disposti a vendere la propria madre, figuriamoci un collega. 
Nonostante ciò, la moda è una mondo incantevole, è una fortissima attrazione e tentazione a cui nessuno in quel settore riesce a resistere. Chi non è affascinato da un abito di haute couture?
Da qui il “diavolo” del titolo: il diavolo è lei, Miranda, cattiva, spietata, cinica, vendicativa, votata al suo unico obiettivo, il successo. Miranda è talmente dura da non concedersi nemmeno un momento di raccoglimento per piangere sulla fine del suo terzo matrimonio. E quando Andy, intenerita, le chiede: “Cosa posso fare per aiutarti?” lei, impietrita, risponde: “Il tuo lavoro”.
Ma il diavolo è anche quello che offre la tentazione di restare in un ambiente di lustrini e paillettes, di vendere la propria anima, la propria felicità, la propria sfera privata per qualcosa di vano. Anche Andy, a un certo punto, diventa sensibile a tutto ciò. Come dice Miranda: “Tutti vorrebbero essere come noi”. Invidiati, riveriti, ammirati. Ma a quale prezzo? 
Andy alla fine non riesce a rinunciare a tutto per una carriera che l’avrebbe lasciata insoddisfatta, e ritrova se stessa. Torna alla sua principale vocazione, la scrittura, e al suo mondo semplice, ma fatto di affetti reali.
Andy riesce a fare quello che tutti noi non abbiamo il coraggio di mettere in pratica: dare una sterzata alla propria vita, cambiare, scegliere quello che ama, buttare via tutto e ricominciare per evitare di avere rimpianti in seguito. Forse da giovani si può fare. Quando passa qualche anno e ci si trova imbrigliati in un’esistenza che si è scelta solo per metà, ma si hanno mutuo e bollette da pagare, il salto nel buio sembra molto meno praticabile.
Andy siamo tutti noi quando smettiamo di autoconvincerci che il mondo patinato che ci sta intorno è quello che vorremmo veramente. E' quando ammettiamo che l'inferno non fa per noi. E' quando smettiamo di farci bastare un paradiso di  cartone e vogliamo qualcosa di meglio.

Il film, dicevo, è perfetto per la costruzione e per i dialoghi. Non c’è una sola scena o battuta che sia eccessiva. Meryl Streep nei panni di Miranda Priestly è strepitosa. Certe sue occhiate di disapprovazione e disgusto sono talmente esaurienti da far sentire a disagio persino lo spettatore, che non potrà fare a meno di domandarsi se le scarpe che indossa si intonino con la cintura.



Elena Genero Santoro
Ama viaggiare e conoscere persone che vivono in altri Paesi. Lettrice feroce e onnivora, scrive da quando aveva quattordici anni.
Perché ne sono innamorata, Montag
L’occasione di una vita, ebook Lettere Animate
Un errore di gioventù, 0111 Edizioni
Gli Angeli del Bar di Fronte, 0111 Edizioni.
Il tesoro dentro, 0111 Edizioni.



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