Gli scrittori della porta accanto

[Inediti d'autore] Racconto: "Sposalizio a Lima" di Emanuele Zanardini


L'aria di Lima è densa e lattiginosa, al di fuori del terminal dell'aeroporto – sempre più simile in tutto il mondo – l'odore è quello delle metropoli del sud.

La calca è tanta già alle sei del mattino, i procacciatori dei taxi si sbracciano per farsi seguire. Ho viaggiato con la nazionale olimpica peruviana, che un gruppo di supporter accoglie nella sala arrivi con uno striscione.
Marta e Carlo arrivano poco dopo, forse loro sono più stanchi di me. Ci salutiamo con calore.
Si va in autobus. La guida con totale assenza di attenzione mi tiene ancora sveglio, nonostante la stanchezza per il viaggio. Il traffico è un'ossessione di colpi di clacson e frenate improvvise; le fermate sono ovunque, basta alzare una mano e attirare l'attenzione dell'autista. Marta mi domanda se è la prima volta in Sudamerica. Sono stato in Ecuador alcuni anni fa. “Non siamo molto amici con l'Ecuador”, conclude lei.
Arriviamo a destinazione dopo un'ora e mezza, pare che la casa sia dall'altro capo della città. Saliamo al secondo piano. La mamma di Marta interrompe la sua attività e mi abbraccia, quasi ci scontriamo baciandoci sulle guance. La bacio su entrambe, ma l'operazione non è convenzionale. La donna tiene a precisare che in Perù ci si bacia solo sulla izquierda [sinistra, ndr]. Marta invece si è già italianizzata, perché bacia su tutte due.
La mia camera è di mattoni nudi e cemento, coperta da rosse onduline sostenute da travi striminzite. La parte superiore dei muri è fatta di spessi cartoni, che lasciano penetrare il freddo dell'inverno australe. C'è un letto a castello – io dormirò sopra –, un armadio, degli scaffali e una televisione con qualche videogioco. Sul tavolo attorniato da quattro sedie ci sono ancora delle briciole, avanzo della colazione. Completano l'arredamento un fornello a gas, una mensola con alcuni barattoli e cestini di frutta e verdura. Tutto, ma proprio tutto, in quattro metri per quattro.
Un cortiletto aperto con la vasca per lavare e i fili per stendere, divide dalle altre stanze. Un bagno senza acqua calda; la stanza data in affitto a un ragazzo, un vicino “in”, più che “di” casa; due stanzette collegate, con angolo cottura, un piccolo tavolo, due letti e una poltrona, una libreria piena di libri e un televisore che non prende bene nessun canale. L'appartamento della mamma di Marta è l'unico intonacato e senza buchi nei muri. L'aver concesso a me un letto, costringe la famiglia a stringersi nelle altre stanze.
La camera dove mi riposo dopo il viaggio è la casa di Ainara, la sorella di Marta, e dei suoi due figli, Alejandro ed Elias. Quando tornano da scuola, subito mi mostrano il videogioco di SuperMario, del quale vanno fieri. Mi invitano a giocare con loro e ci provo, ma si vede che sono una frana, mentre loro si divertono un sacco. Allora chiedo chi dei due sia il più bravo e Alejandro lo rivendica con orgoglio.
Qui il cielo è grigio, il sole non fa capolino per tutto il giorno, anche se la nebbiolina si alza nelle ore più calde. Il cerro [collina, ndr] è tappezzato di povere case, quasi una sopra l'altra; la preghiera delle sei si è appena sciolta fuori dagli altoparlanti della vicina parrocchia; la notte scenderà presto, così come tornerà la nebbia a nascondere la sommità del cerro. Su un campetto di terra rossa, sconnesso e facile al tradimento, un gruppetto di ragazzini discutono di squadre e formazioni, come i grandi discutono di cose importanti. Le luci delle case si accendono a grappoli e presto saranno l'unica cosa riconoscibile sul pendio della collina. La nebbia scende, ma non coprirà quei ragazzini, che discutono come i grandi; almeno non adesso, come per ora non sentono preoccupazioni per il loro futuro.
La madre di Marta lavora come giardiniere per lo stato. Per la seconda volta in 13 anni di lavoro le hanno concesso un periodo di ferie. Il suo stipendio è di 500 soles [moneta peruviana, ndr] al mese, dai quali deve detrarre 200 soles per l'affitto e le spese di casa. Ainara fa le pulizie per i loro affittuari, che abitano al piano terra; hanno un SUV ultimo modello, dicono che l'abbiano vinto alla lotteria. In un quartiere dove al massimo girano moto-taxi o catorci su quattro ruote, assume una nota stridente. Il marito lavora molto e lei s'è fatta l'amante; pochissimi si sposano in chiesa, quasi sempre solo civilmente e le coppie sono molto “aperte”. La società peruviana soffre di machismo e forse questo spiega molte cose.
Nella maggior parte delle abitazioni non esiste diritto alla privacy, a causa della convivenza forzata di più famiglie. Così per le coppie è difficile godere della necessaria intimità. Allo scopo esistono degli alberghi “a ore”, dove non si consumano rapporti clandestini – quelli si fanno alla luce del sole –, ma la normale vita sessuale di coppie regolari.
Nella famiglia di Marta non ci sono uomini – per dolorose e riservate vicende – e tra poco se ne andrà anche lei, dopo essersi sposata con Carlo – lui è italiano ed è questo il motivo del mio viaggio. In questi ultimi mesi stanno cercando di dare un certo indirizzo alla famiglia, prima di volare in Italia. Elias e Alejandro si sono molto affezionati a Carlo.
Lima è un gigante dai piedi d'argilla o, meglio, di sabbia. L'avenida  [viale, ndr] principale scorre in una vallata, per raggiungerla si scende dal cerro e si percorre un ponte che scavalca l'unica linea metropolitana, appena entrata in esercizio. Il binario è difeso da alti muri, a destra e a sinistra, per impedire che gli abitanti dei quartieri poveri possano prenderla senza pagare il biglietto. Ai piedi del ponte si attraversa un giardinetto. Numerosi cartelli avvisano che si stanno creando aree verdi in tutta la città, ma l'impressione è che si tenti di piantare l'erba sulla sabbia.
Saliamo sul cerro dietro casa, io, Carlo e i ragazzi. Nel primo tratto la strada è asfaltata e le case sono di mattoni. In un campo due formazioni di adulti si affrontano con divise più o meno ufficiali. Incontreremo altri luoghi di gioco, aree attrezzate con giochi per bambini, che spezzano il grigiore del luogo. Guardando in direzione della città, si nota un grande ruota panoramica, che svetta tra i bassi edifici dei quartieri residenziali. Più arranchiamo verso la sommità del cerro, più la zona si fa insidiosa. Gruppi di ragazzi allo sbando attendono qualche viaggiatore incauto da spennare. Carlo mi avvisa che è meglio che non faccia vedere la macchina fotografica. Quando le strade finiscono, dobbiamo proseguire su lunghe e ripide scale di cemento, approntate dalla municipalità per favorire il percorso sul terreno sabbioso e mobile. Sono numerate, noi percorriamo gli oltre 300 gradini della n° 1158.
Fino all'anno scorso la famiglia di Marta ha vissuto in una choza  [baracca, ndr] a metà del cerro. Anche Carlo vi ha soggiornato per tre mesi, costruendovi un bagno esterno che fino a quel momento mancava. Sono due baracche uno sopra all'altra, all'interno sono rimasti un mobile e dei libri di scuola, appartenuti ai ragazzi. Questa zona della collina è composta in prevalenza di chozas dalla stabilità approssimativa, a causa del terreno cedevole. Tuttavia non mancano di una certa dignità, abbellite da giardinetti di cactus e piante fiorite; di biancheria stesa sul filo, che testimonia il trascorrere dell'esistenza, seppure difficoltosa. Gli abitanti ci osservano mentre passiamo, incuriositi, mentre noi riusciamo a vedere l'interno delle chozas sottostanti, attraverso le fessure dei tetti.
Giungiamo sulla sommità. Si avvicinano a noi due ragazzini dell'età di Alejandro e Elias, che trascinano la sorellina infilata in un trolley. La grande costringe la sorellina a fissare l'obiettivo, mentre si mettono in posa. La piccola non sorride, mentre i fratelli sembra sappiano già come ci si atteggia davanti alla macchina fotografica. Guardo la città sotto di noi, immensa distesa di strade e case, a perdita d'occhio. Scorgo il padiglione del mercato del pesce, ma non riesco bene ad orientarmi; il cerro sembra davvero un formicaio, perforato da cunicoli che portano in nessun luogo colui che non ne conosce i segreti. L'orizzonte è nebuloso, pallido; un baffo bianco appena visibile rivela le acque dell'oceano che schiumano sulle spiagge della baia.
Iniziamo la discesa, accompagnati da numerosi cani randagi, che a volte si fanno minacciosi costringendoci a prenderla alla larga. I ragazzi si attaccano alle nostre gambe, per fuggire ai più aggressivi; gli raccomandiamo di non correre, per non attirarli. Elias e Alejandro a turno si portano in spalla, cadendo l'uno sull'altro, ridendo. Un pezzo più giù, su una terrazza naturale, è situata una cappella della Comunità Missionaria di Villaregia. All'interno dell'edificio un gruppetto di ragazzi sta partecipando a una riunione. Marta e Carlo frequentano questa comunità missionaria, che è anche il motivo del primo viaggio in Perù di Carlo. E la scintilla che li ha fatti conoscere.

Lascia quasi sgomenti l'irrazionale equilibrio di queste chozas, spiaggiate come relitti sul versante sabbioso del cerro; è netto il segno lasciato dall'inondazione umana, come la piena appena ritirata lascia una linea sui muri delle case.

Il fronte delle abitazioni si alza sempre più, non mi stupirei, tornando tra qualche tempo, di non vedere più la sommità della collina spoglia di baracche. Ma basterebbe una pioggia insistente per ammucchiare a valle queste misere esistenze.
Prendere il giusto autobus per andare nel luogo desiderato, richiede una ferrea disciplina: riconoscere il mezzo giusto; fare un cenno con la mano e all'occorrenza gettarsi in mezzo alla strada per fermarlo; salire al volo sull'autobus. Una sequenza molto rapida, da praticare con precisione. La dimensione del mezzo indica il fatto che più grande è, più veloce procede, fregandosene bellamente di qualsiasi veicolo si trovi sulla sua traiettoria. Sulla fiancata sono riportati i nomi delle varie tappe del percorso. Le fermate sono un'approssimazione, in periferia, dove ogni luogo è buono per raccattare un cliente. In centro invece ci sono le paline blu con la scritta paradero  [stazione di transito per passeggeri e merci, ndr]. Nelle ore di punta è uno stillicidio di accelerate e frenate improvvise; di manovre azzardate e pericolose; di testa a testa con altri autobus per accalappiarsi i clienti. La porta si apre quando il mezzo è ancora in moto e il bigliettaio si sporge e urla la destinazione. Quelli che devono scendere si devono affrettare, accompagnati da un insistente baja, baja, baja! [Scendi, scendi, scendi!, ndr], quando le porte non sono neppure aperte. Tutto si gioca sul filo: più clienti, più guadagno.
Per raggiungere casa di Clarita, andiamo verso l'oceano, che non vedrò a causa della foschia. Nell'ultimo tratto che percorriamo a piedi, ci imbattiamo in un piccolo cimitero abusivo, dove si dice siano seppelliti 15 giovani, assassinati dai militari del regime di Fujimori [Alberto Fujimori, presidente-dittatore del Perù dal 1990 al 2000. Condannato a 25 anni di carcere per “crimini contro l'umanità” e corruzione, ndr]. Più avanti ci fermiamo ad ammirare una chiesa in stile locale, con la facciata finemente decorata da motivi floreali in rilievo.
Clarita è un'amica di famiglia, che vive ancora più in periferia. Quando arriviamo è in corso un trasloco. Due donne stanno caricando un carretto e le passano praticamente per il salotto. Carlo fa da portinaio alle due, incuranti del disagio che stanno arrecando. Clarita traffica in cucina, mentre noi attediamo sul divano. Suo marito lavora anche la domenica, ma ci sono in casa la figlia e il cane. Clarita chiude la porta, il viavai sembra terminato, ma un bussare insistente spezza la calma appena riconquistata. Le due donne hanno dimenticato qualcosa, lei le fa passare per l'ultima volta. Si spera.
La casa di Clarita è molto più grande di quella di Marta ma, essendo ancora più lontana dal centro città, i prezzi sono quasi identici. Ci offre caffè e tisane, con panini dolci e arroz con leche [Dolce di riso con latte e cannella, ndr], che gusto con piacere.
Il cane è timido, non si lascia toccare.
Lima non deve aver fatto parte dell'impero di Luigi XIV. Per giorni sembra che il sole non sorga e non tramonti, una foschia bassa di umidità e smog rende il cielo grigio e monocromo e incappuccia la sommità del cerro. Lo puoi solo desiderare e immaginare, un alone chiaro che vaga dietro un sipario incolore.
Magari si è preservato per noi. Infatti il giorno che mi accompagnano a visitare il centro della città, il disco solare risplende integro nel cielo azzurro. Lo considero un piccolo privilegio. La fortuna di avere due giorni consecutivi di sole sorprende anche Carlo, tanto che ci siamo vestiti troppo pesante e presto il caldo ci dà noia.
La piazza della cattedrale è affollata di gente e turisti dalla carnagione pallida; la aiuole fiorite sono ben tenute; il tratto davanti al cortile del palazzo presidenziale è chiuso dalla polizia. Alle nostre spalle, la campana batte dodici rintocchi e una banda in alta uniforme appare nel cortile, a guidare il cambio della guardia. Da alti portali laterali escono due compagnie di soldati che convergono verso il centro; la banda passa suonando davanti agli spettatori; in prima fila alcune scolaresche assistono all'evento; altri si accampano e mangiano.
Il passo è lento, sincronizzato, i primi sostengono la spada all'altezza del volto; seguono soldati con alti pennacchi sull'elmo, obbedienti come pulcini dietro la chioccia. Ora alzano il ginocchio fino al petto, ora allungano la gamba opposta in avanti nel passo dell'oca. Lentamente si incrociano, scambiandosi di posto, mentre la banda suona i Carmina burana di Carl Orff.
Dopo aver mangiato qualcosa in un bar, raggiungiamo il santuario dedicato a Santa Rosa da Lima [Patrona del Perù, del Nuovo Mondo e delle Filippine. E' invocata in caso di ferite, contro le eruzioni vulcaniche e in caso di litigi famigliari , ndr], la prima santa americana. La chiesa è chiusa, ma possiamo entrare nel cortile adiacente, dove c'è il pozzo nel quale si gettano le preghiere e le richieste alla santa. Anche lì ci sono scolaresche in gita, chiassose e indisciplinate, che osservano con scetticismo due uomini bianchi, che gettano i loro biglietti. Poco lontano sorge la casa natale di San Martin de Porres [Patrono dei barbieri e dei parrucchieri e, in Perù, della giustizia sociale, ndr], il primo santo nero della chiesa cattolica; figlio di un nobile spagnolo e di una ex schiava di origine africana. La pareti esterne della casa sono rivestite da mattonelle blu decorate.

Nei viaggi come nella vita, l'unico senso di marcia è quello verso “l'ignoto”, con la speranza di conservare sempre la nostra umanità.

L'atmosfera serale delle città mi è sempre piaciuta. La luce possiede quella tonalità bluastra della fatidica ora blu, quando il sole è appena sceso sotto l'orizzonte. Il mercato è ancora aperto, ma la folla del giorno si è diradata. E' una galleria di piccoli sgabuzzini di legno su due file, una di fronte all'altra e collegati da un tetto che ripara dalla pioggia. Sono ricolmi fino ai capelli di merci; le teste dei venditori sbucano appena, seduti su sgabelli, tengono sulle gambe un piatto fumante di zuppa.
La carne è appesa in bella vista; mezzi polli belli colorati disposti in ordine, sottoposti al pubblico ludibrio o all'approvazione delle massaie; numerose varietà di riso e cereali in sacchi di tela; spezie dai mille colori e profumi, un caleidoscopio commestibile. Nelle vie interne si vende frutta e verdura, disposte su carretti inclinati; avocado, papaya, banane, pomodori e tanto altro, accumulati in piramidi confinanti, che si sorreggono le une le altre e formano un mosaico; patate di varietà sconosciute in occidente. Ne esistono al mondo circa 300 varietà diverse, ignorate da noi in nome dell'omologazione del profitto. E' il mercato, bellezza!
L'articolo che attira di più la mia attenzione è però il grano nero, con il quale si prepara la mazamorra morada [dolce peruviano , ndr], una melassa densa e dolce, violacea, alla quale si aggiungono albicocche o prugne. La cosa che mi affascina di più di questi mercati sono i ristorantini ambulanti; si pranza e si cena su scomodi sgabelli. Una ragazza intinge del pane in un piatto di pesce, mentre lo chef spadella del riso; il profumo è inebriante, lo sfrigolio dell'aglio e della cipolla apre lo stomaco e il cuore. Assaggio delle frittelle ad anello, intinte nello sciroppo di cannella. Buonissime.
Chiedo a una donna se posso scattarle una foto. All'inizio non capisce, ma si vede che è già imbarazzata. Alla fine dice no, e va bene così, prima di tutto il rispetto. Ricordarsi che siamo a casa loro. Padroni a casa nostra, no? Sotto un ombrellone a spicchi gialli, blu e rossi, una vecchia in abito tradizionale andino, cappello tondo, gonna e gilet colorati, pelle scura e trecce, vende fichi d'India.
Carlo e Marta si sono sposati il 15 agosto. Io il 14 ho fatto 36 anni, ma non l'ho detto subito, perché c'era una occasione più importante da festeggiare. Così il giorno prima della mia partenza, offro una torta succulenta alla famiglia che mi ha ospitato tanto generosamente. Alejandro e Elias mi danno una lettera di saluto che mi tocca il cuore. Tengo sempre sul comodino di camera mia la statuetta in peltro di un angelo che regge dei fiori, che mi hanno regalato i ragazzi.
Sono gli attimi più intensi, quelli che precedono una separazione. Il punto è che non c'è certezza alcuna che ci si incontrerà di nuovo. In fondo, nei viaggi come nella vita, l'unico senso di marcia è quello verso “l'ignoto”, con la speranza di conservare sempre la nostra umanità.


Emanuele Zanardini
Ho scavallato l'età della scuola senza infamia e senza lode... e ancora sto “immaginando” cosa farò “da grande”.
Ho toccato il suolo dei cinque continenti, ho visto il mondo, senza avere la pretesa di averlo capito. Eppure in ogni luogo ho trovato una storia. E ho deciso di raccontarle!


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