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di Gianrico Carofiglio
Sellerio Editore | 299 pagine
Le pareti sono come sempre ricoperte di poster anni Settanta e Ottanta, con una larga prevalenza di Bruce Springsteen.
Ce n’è uno enorme dell’album Born to run, il boss immortalato di spalle con una giacca di pelle nera. Anche i proprietari dell’Icarus, a sentire Bruno due cinquantenni con un passato molto vissuto, hanno un look alla Springsteen prima maniera che li rende perfetti per il posto. Il mio socio torna con due boccali di birra e mi fa un cenno con la testa per dirmi che questo giro lo offre lui.
“Comunque qualcosa salta fuori, tranquillo,” mi dice mettendomi davanti il boccale. “Senza contare che tra poco ti potrebbe richiamare la Patecco per qualche altro lavoro,” aggiunge prima di risedersi.
“Sai che gioia… un altro posto tipo la Kruscol e mi sparo un colpo in testa.”
“Ah, e tuo padre?”
“Si agita e gli sale la pressione… sono più preoccupato per lui che per il lavoro che non arriva, non riusciamo a fargli capire che si deve rilassare.”
“L’ha presa come una questione di principio.”
“Sì, praticamente sì… si è messo in testa che mi deve sistemare e non recede di un millimetro.”
“Già, la vita è proprio una brutta bestia,” esclama convinto.
“Cos’è, adesso ti sei messo a fare anche il filosofo? Guarda che non sei credibile con la faccia che ti ritrovi,” e gli do una botta in testa.
“Fanculo, stai attento… così mi spettini,” dice cercando di rimaner serio, mentre io provo a colpirlo di nuovo.
“E con Allegra come va?” chiede.
“Come peggio non potrebbe.”
“In che senso?”
“Nel senso che mi ha mollato” e lo guardo in attesa di una reazione, ma lui rimane fermo a guardarmi.
“Stai scherzando?” domanda e quando io faccio segno di no con la testa, la sua espressione diventa subito seria.
“Ma quando?”
“Tre giorni fa.”
“E perché?”
Ce n’è uno enorme dell’album Born to run, il boss immortalato di spalle con una giacca di pelle nera. Anche i proprietari dell’Icarus, a sentire Bruno due cinquantenni con un passato molto vissuto, hanno un look alla Springsteen prima maniera che li rende perfetti per il posto. Il mio socio torna con due boccali di birra e mi fa un cenno con la testa per dirmi che questo giro lo offre lui.
“Comunque qualcosa salta fuori, tranquillo,” mi dice mettendomi davanti il boccale. “Senza contare che tra poco ti potrebbe richiamare la Patecco per qualche altro lavoro,” aggiunge prima di risedersi.
“Sai che gioia… un altro posto tipo la Kruscol e mi sparo un colpo in testa.”
“Ah, e tuo padre?”
“Si agita e gli sale la pressione… sono più preoccupato per lui che per il lavoro che non arriva, non riusciamo a fargli capire che si deve rilassare.”
“L’ha presa come una questione di principio.”
“Sì, praticamente sì… si è messo in testa che mi deve sistemare e non recede di un millimetro.”
“Già, la vita è proprio una brutta bestia,” esclama convinto.
“Cos’è, adesso ti sei messo a fare anche il filosofo? Guarda che non sei credibile con la faccia che ti ritrovi,” e gli do una botta in testa.
“Fanculo, stai attento… così mi spettini,” dice cercando di rimaner serio, mentre io provo a colpirlo di nuovo.
“E con Allegra come va?” chiede.
“Come peggio non potrebbe.”
“In che senso?”
“Nel senso che mi ha mollato” e lo guardo in attesa di una reazione, ma lui rimane fermo a guardarmi.
“Stai scherzando?” domanda e quando io faccio segno di no con la testa, la sua espressione diventa subito seria.
“Ma quando?”
“Tre giorni fa.”
“E perché?”
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"Oltre alle regole scritte, quelle del codice e delle sentenze che lo interpretano c'è una serie di regole non scritte. Queste ultime vengono rispettate con molta più attenzione e cautela. E fra queste ce n'è una che più o meno dice: un avvocato non difende un cliente buttando a mare un collega. Non si fa, e basta. Normalmente chi viola queste regole, in un modo o nell'altro, la paga. O perlomeno qualcuno cerca di fargliela pagare". L'avvocato Guido Guerrieri deve correre questo rischio. C'è un uomo in carcere che si dichiara innocente, condannato in primo grado per traffico di droga. Le circostanze sono schiaccianti e lui stesso, in un primo momento, aveva confessato. Ma c'è però la possibilità che sia finito in una trappola orchestrata dall'avvocato di primo grado. Un maledetto imbroglio, dunque, che Guerrieri è restio a caricarsi, e non solo perché tutte le apparenze sono contro. Il detenuto non è una faccia nuova: ai tempi del movimento studentesco lo chiamavano Fabio Raybàn, picchiatore fascista ossessione dell'adolescenza di Guido. C'è anche una situazione personale ambigua che coinvolge l'avvocato: la fine forse di un amore, l'inizio pericolosissimo di un altro, e in ciascuno di questi incroci sembra materializzarsi lui, il detenuto che si proclama disperatamente innocente.
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