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La Storia, una poesia di Eugenio Montale: il pessimismo esistenziale davanti al vuoto della società

La Storia, di Eugenio Montale: il pessimismo esistenziale davanti al vuoto della società

Poesia Di Tamara Marcelli. È una poesia controversa, poco nota, ma ricca di spunti critici e di riflessione. La Storia, di Eugenio Montale, dalla raccolta poetica “Satura”  del 1971.

La storia non si snoda
come una catena
di anelli ininterrotta.
In ogni caso
molti anelli non tengono.
La storia non contiene
il prima e il dopo,
nulla che in lei borbotti
a lento fuoco.
La storia non è prodotta
da chi la pensa e neppure
da chi l'ignora. La storia
non si fa strada, si ostina,
detesta il poco a poco, non procede
né recede, si sposta di binario
e la sua direzione
non è nell'orario.
La storia non giustifica
e non deplora,
la storia non è intrinseca
perché è fuori.
La storia non somministra carezze o colpi di frusta.
La storia non è magistra
di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve
a farla più vera e più giusta.
La storia non è poi
la devastante ruspa che si dice.
Lascia sottopassaggi, cripte, buche
e nascondigli. C'è chi sopravvive.
La storia è anche benevola: distrugge
quanto più può: se esagerasse, certo
sarebbe meglio, ma la storia è a corto
di notizie, non compie tutte le sue vendette.
La storia gratta il fondo
come una rete a strascico
con qualche strappo e più di un pesce sfugge.
Qualche volta s'incontra l'ectoplasma
d'uno scampato e non sembra particolarmente felice.
Ignora di essere fuori, nessuno glie n'ha parlato.
Gli altri, nel sacco, si credono
più liberi di lui.
Eugenio Montale, La Storia

Eugenio Montale nacque a Genova il 12 ottobre 1896 da una agiata famiglia borghese. La sua forte passione per la letteratura e la poesia lo portò a dedicarsi alla scrittura. Fu poeta, critico e giornalista, uomo di cultura internazionale. Si confrontò con i grandi classici, ebbe una mente aperta alle avanguardie pur discostandosene in maniera peculiare. Conobbe autori come Svevo, Saba e Ezra Pound.

Una concezione della storia decisamente pessimista.

Nei suoi componimenti traspare prima il dolore per le brutture del mondo contemporaneo, poi una critica più pungente. La sua concezione della storia è decisamente pessimista, il suo sguardo disincantato. Attraverso la figura del litote descrive cosa la storia non è. Ogni strofa inizia con l’anafora «la storia non è», mezzo con cui il poeta distrugge una ideologia sottesa a quel concetto, un’immagine erroneamente positiva, puntando ad evidenziare le contraddizioni intrinseche. La storia non può giustificare o, peggio, legittimare tutto. Viene definita come «magistra di niente che ci riguardi», ed in questo si nota la cospicua distanza dalla poesia classica.
L’antistoricismo qui espresso non equivale a disprezzo, ma a mera osservazione del mondo circostante, della vita. La storia è fatta di immagini di un passato che sfugge, di visioni che ripropongono tragicamente la negatività del mondo.
Negli anni sessanta la poesia di Montale abbandona lo stile alto e approda ad una comunicazione diretta, costellata da una lirica intrisa di ironia, di toni spesso polemici.

Con linguaggio essenziale, concreto e preciso, sfuggendo dalla visione antica della superiorità della parola nella poesia, Eugenio Montale riproduce il mondo moderno.

La poesia è minacciata dalla saturazione della parola, dal linguaggio convulso ed in continua fermentazione che finisce per renderla vuota.
Poesia è testimonianza della condizione esistenziale dell’uomo. Non ha alcun ruolo elevato. Il poeta può solo dire ciò che non siamo, non può conoscere alcunché di assoluto.
È questa una visione negativa, frutto di un profondo pessimismo esistenziale che schiaccia l’uomo tra le pareti stringenti del tempo storico.
Montale è la voce di una cultura razionale, al contempo tradizionale, italiana ed europea, internazionale. Incarna lo spirito critico e la sete di conoscenza dell’intellettuale del Novecento.
Nel suo famoso discorso all’Accademia di Svezia il 12 dicembre 1975 per il conferimento del Premio Nobel per la Letteratura, egli pone una riflessione sul senso della Poesia.

«È ancora possibile la Poesia?» La sua domanda al mondo accademico e intellettuale, una domanda rimasta sospesa, senza risposta. 

Il poeta deve confrontarsi con la società contemporanea che lo fa inorridire con l’assenza, il vuoto dei valori. Tormentato dal pesante fardello dell’obbligo del benessere ad ogni costo che ha «i lividi connotati della disperazione». Trasportato, suo malgrado, nel vortice di pseudo arti usa e getta, tristi catene di montaggio dell’economia consumista. Il patrimonio incommensurabile di valori elaborati in secoli da una ricca tradizione europea si scontra con lo sviluppo irrefrenabile di una vacua cultura di massa senza futuro.
Per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni.
Motivazione al premio Nobel 1975

Morì a Milano il 12 settembre 1981. La sua raccolta più famosa rimane Ossi di seppia, del 1925.
Me ne andrò zitto, tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Eugenio Montale


Tamara Marcelli



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