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[Libri] "Pastor che a notte ombrosa nel bosco si perdé" di Lodovica San Guedoro, candidato al Premio Strega, recensione di Davide Dotto

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Pastor che a notte ombrosa nel bosco si perdé, di Lodovica San Guedoro, Felix Krull Editore, 2017, candidato al Premio Strega 2017. Un amore fuori dalle convenzioni, un'avventura intricata, un'impresa piena di peripezie, di equivoci, di dolori, di felicità e di colpi di scena.

Lodovica e Kasim si incrociano per caso a Monaco. Lei procede lungo un viale alberato, sono i primi giorni di settembre. Lui è giovane, e i giovani le repellono, per Lodovica sono marziani, più alienati dei loro genitori e molto più dei loro nonni. Comincia una conversazione che non verrà interrotta, un botta e risposta che è l'inizio di un racconto che non dà nulla per scontato e costituirà un reciproco, incessante porsi sotto esame, alla ricerca di toni giusti e delle condizioni indispensabili perché possa, la storia, funzionare e proseguire.
Si aggiungono a mano a mano altre parti che in un intreccio romantico non mancano mai. In tutto il romanzo c'è la rincorsa di elementi che caratterizzano le atmosfere mitiche e idilliache proprie dell'arte pastorale. Da cui probabilmente il titolo che richiama un'aria di Francesco Domenico Araja (1709-1770ca.). 
La cosa si fa chiara se si ha presente l'incipit:
Poniamo che avvenne così, che non fu un sogno… Camminavo per un viale alberato. Dai platani cadevano volteggiando le foglie, per terra ce n’era già un lunghissimo tappeto. Mentre rasentavo il recinto di un piccolo giardino, si era sollevata, inattesa e improvvisa, una fragranza di terra umida e di fresca erba tagliata… così viva! Chiudendo gli occhi, avrei potuto credere che fosse primavera. Li avevo chiusi… Petali rosei, le palpebre erano state per un attimo barriera alla legge del tempo. Era primavera. Un sussulto al cuore, un’irragionevole trepidazione… 
La città, le situazioni, i sentimenti e le parole usate assecondano o turbano l'atmosfera da sogno che non è dato mantenere, e che esige uno sforzo ininterrotto per essere recuperata.
Il ragazzo, Kasim, prende Lodovica alla sprovvista per la sfrontatezza, subito bilanciata dall'ebbrezza che promana, insieme a quella, dalla giovane età. Pur incontrandosi nel medesimo luogo, ma in altro modo e non in quell'attimo, avrebbero potuto ignorarsi, passando oltre. Invece si sono prestati reciproca attenzione, come se l'occasione fosse stata predisposta da qualcuno che ha tramato alle spalle. La banalità dell'approccio era tale che il momentaneo interesse poteva scemare immediatamente.

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Eppure è proprio l'insondabilità del banale a rendere unica una storia tra mille che le somigliano.

Nel presupposto però di rispettare delle regole parimenti insondabili e non scritte, un cerimoniale fatto di parole pronunciate nel loro esatto ordine. Una ritualità sul filo del rasoio che contempla le sue violazioni, tra simmetrie e asimmetrie, purché siano anch'esse misurate. Sono eccezioni al vaglio della regola stessa, che contribuiscono al ritmo della narrazione. Ecco l'ansia nel darsi appuntamento, la moltiplicazione dei gesti, l'indugiare fino all'ultimo minuto. Su tutto aleggia una certa tensione, che si stempera per aggredire di nuovo di lì a poco, inasprendosi.  Si incontrano a tratti, in altri si urtano e vagano ciascuno dentro i propri pensieri, estromettendosi a vicenda. Sembra che ognuno tenda ad ascoltare e sondare se stesso, concentrandosi su un desiderio di appagamento che è lungi dall'essere soddisfatto.
Paradossalmente è assente un autentico dialogo, insistono a recitare e a indovinare le battute di ruoli che un misterioso drammaturgo ha preconfezionato. È probabile che questa sorta di canovaccio serva ad allentare o raggirare le barriere che il mondo reale non può fare a meno di interporre. La realtà si fa sentire le volte che domina un individualismo di fondo che si fa impedimento. Kasim fa valere le sue prerogative, Lodovica è un giudice che vaglia, verifica e investiga tentando di condurlo sulla sua strada.

Si contravviene in maniera esasperante a quel modello mitico e idilliaco, al canto d'amore proprio della favola pastorale. 

 Troppi ostacoli frenano questo canto: religiosi, culturali, geografici e caratteriali. Se lei - scrittrice - argomenta e descrive con cura e precisione i sentimenti e le emozioni che scopre in se stessa, quelli di Kasim rimangono celati da una coltre di impenetrabilità. A parlare sono il corpo, i gesti, il timbro di voce che mostrano un uomo petulante passabilmente immaturo, e soprattutto non coltivato e, forse, non coltivabile. Prevalgono i tentennamenti, più che dello spirito, dell'adolescente con le sue inusuali sfrontatezze, e una incontenibile, particolarissima, genuina spontaneità da fanciullo. E il fatto di essere piuttosto diretto nell'espressione dei propri desideri.
A riprova va considerato che il punto di vista prevalente è quello di Lodovica, voce narrante. Avremmo avuto un romanzo diverso se fosse stato scritto da Kasim o addirittura da Hans, il compagno di lei. In queste ipotetiche narrazioni avremmo focalizzato l'obiettivo su Hans e su come costui si fosse misurato con Kasim. Perché Hans appare un personaggio ombra con il quale Lodovica si confronta e si confida, non nascondendo nulla. È e rimane un punto fermo nonostante non abbia alcuna voce in capitolo. Non è il classico terzo incomodo, è una figura completamente differente dalla moglie di Kasim. Il rapporto tra Lodovica e Hans non viene messo in discussione. Lo stesso vale per Kasim che, dopo la separazione, recupera il rapporto con sua moglie. (a condizione che rinunci a Lodovica).

Se Lodovica è in equilibrio, Kasim oscilla pericolosamente. Nel romanzo si parla spesso di metamorfosi.

Una metamorfosi che esprime una debolezza congenita e radicale. Le barriere sono esterne, ma anche interne. I due abitano diversi universi pur vivendo nella stessa città, e hanno due caratteri discordi. Lodovica è più emancipata, Kasim ha un retaggio che lo coinvolge fino alla punta dei capelli e senza il quale perderebbe la propria identità. Cosa che non fa che contraddire l'immagine che Lodovica si era fatta, equiparando l'uomo nientemeno che alla Carmen di Merimée.  

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Unica nota dolente è una finestra impropriamente aperta sulle vicissitudini letterarie di Lodovica. Nulla di male se non si fosse ecceduto in una sorta di curriculum vitae e di sfoghi (un vero e proprio corpo estraneo al testo) i quali provocano una trasbordante sovrapposizione di piani che disorienta il lettore, rischiando di andare a detrimento del romanzo stesso. Si tratta di quattro-cinque facciate in tutto che potevano essere tranquillamente espunte o rimodulate, le quali producono un effetto barocco. Ed è un peccato, perché l'idea è tutt'altro che malvagia: quella di giocare e insistere sull'ambiguità (senza scioglierla) tra il romanzesco e l'autobiografia. Idea ingegnosa e coerente con la stessa struttura del racconto. Da una parte la voce narrante si confonde (ma non si dovrebbe identificare) con l'autrice; dall'altra gli episodi narrati che si confrontano con la vita e gli accadimenti reali.
In ogni caso, vere e autentiche sono le emozioni, le esperienze vissute, le sofferenze, le ansie e le lotte rievocate in queste pagine.


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Pastor che a notte ombrosa nel bosco si perdé...

"Pastor che a notte ombrosa nel bosco si perdé..." racconta con un tono sommesso, delicato e poetico, di sorprendente sincerità, una storia d'amore del tutto non convenzionale, nata in autunno tra una scrittrice non più giovane e sposata e un conducente della U-Bahn, ancora giovane e sposato, fuggito, ragazzo, dalla Bosnia in guerra.
Lei è atea, lui maomettano, lei è colta, lui non lo è, lei è emancipata, lui in bilico tra retaggio e modernità...
Per quanto li accomunino freschezza di spirito, giocosità e trasgressività vitalistica, per quanto siano fortemente attratti l'una dall'altro, arrivare a una fusione delle anime, che consenta loro di raggiungere un'unione fisica, si rivela perciò un'avventura molto intricata, un'impresa piena di peripezie, di equivoci, di dolori, di felicità e di colpi di scena.



di Lodovica San Guedoro | Felix Krull Editore | Narrativa
ISBN 3939901202 | cartaceo € 14,93


Davide-Dotto

Davide Dotto
Sono nato a Terralba (OR) vivo nella provincia di Treviso e lavoro come impiegato presso un ente locale. Ho collaborato con Scrittevolmente, sono tra i redattori di Art-Litteram.com e curo il blog Ilnodoallapenna.com. Ho pubblicato una decina di racconti usciti in diverse antologie.
Il ponte delle Vivene, Ciesse Edizioni.


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