Livia, di Francesca Petroni, Le Mezzelane, 2017. Un viaggio attraverso gli occhi di quella che sarà la donna più potente dell’Impero, fra le tradizioni di una Repubblica che cede il passo all'avanzata di Cesare e dei suoi legionari vittoriosi.
In queste pagine pubblico e privato si confondono e, anzi, si amalgamano in una granitica totalità. Livia Drusilla Claudia e Gaio Giulio Cesare Ottaviano sono uniti da un vincolo infrangibile, un tutt’uno con la sorte di Roma, ormai proiettata verso l’Impero. Come tale legame sia sorto, maturato, è descritto nel romanzo di Francesca Petroni.
C’è più di un punto in comune tra i due: la spregiudicatezza nel gestire un destino di cui, da veri iniziati, troveranno presto la chiave. Artefici della Storia, avvolgeranno le reciproche promesse, e le loro vite, nelle spire della ragion di stato. Non molto altro si nasconde dietro il voto (a ogni costo) che si sono fatti, quasi avessero sottoscritto un patto mefistofelico.
Livia rinuncia agli affetti familiari, a dimostrazione di cosa possa nascondersi in un amore che su tutto vinca, prossimo a tingersi di tinte assai fosche.
Qualcuno ha così riassunto il quadro:
Il padre di Livia, propugnatore di ideali libertari, si sarebbe doppiamente suicidato se avesse potuto presagire che la figlia, in seguito alla sue seconde nozze, sarebbe divenuta moglie, ed egli suocero, di quello tra i triumviri vincitori a Filippi che, coniando lo slogan della Res Publica restituta, ne sarebbe stato il definitivo e assoluto affossatore. Né avrebbe mai potuto immaginare – cosa per lui inimmaginabile – che il suo nipotino, nato proprio in quell’anno, figlio di primo letto di Livia, sarebbe divenuto il secondo autocrate di uno stato già avviato a un trapasso istituzionale verso una monarchia di stampo dinastico, che sarà l’Impero - Lorenzo Braccesi
Siamo lontani dalla consueta storia d’amore col classico happy ending.
Essa si fa assoluta, terribile, vince su ciascun fronte possibile. Unica e irripetibile, si fa beffe di tutti i Macbeth, i Montecchi e i Capuleti del mondo.
L’autrice racconta personaggi di cui ci sono note le vicende successive. In esse non pesano le incertezze di Macbeth, né la recrudescenza delle sue vendette. Livia e Ottaviano posseggono energie in esubero per realizzare i propri progetti. La causa prima è l’esistenza stessa di Roma. Grazie alla Città Eterna, Livia e Ottaviano escono dai rispettivi involucri, cessano di essere individui (votati alla tragedia).
A ben ricordare, Shakespeare diffidava dei legami affettivi. In Romeo e Giulietta, lungi dal prendere il destino nelle loro mani, mette in bocca parole terribili:
Oh Romeo Romeo perché sei tu Romeo? Rinnega tuo padre, rifiuta il tuo nome, o se non vuoi, giura che mi ami e non sarò più una Capuleti. Solo il tuo nome è mio nemico: tu sei tu. Che vuol dire "Montecchi"? Non è una mano, né un piede, né un braccio, né un viso, nulla di ciò che forma un corpo. Prendi un altro nome. Che cos'è un nome? Quella che chiamiamo "rosa" anche con un altro nome avrebbe il suo profumo.Rinuncia al tuo nome, Romeo, e per quel nome che non è parte di te, prendi me stessa.
Un invito, insomma, a bere un calice tanto amaro quanto iniziatico. Lo stesso che costringe Livia (figlia e moglie di due proscritti: Marco Druso Claudiano e Tiberio Claudio Nerone) a fughe rocambolesche per evitare la furia di Ottaviano e la spada dei suoi soldati, il quale sta consolidando il suo potere costi quel che costi. Un Macbeth fuori misura, incontrollabile ed estraneo ai tormenti della penna di Shakespeare (mancano le scoperte e le invenzioni di quest'ultimo, le quali in età classica, non c'è bisogno di dirlo, sarebbero state premature e a dir poco anacronistiche).
In Shakespeare, precisa per esempio Harold Bloom (Shakespeare, l’invenzione dell’uomo), l’amore non è mai un mezzo di salvezza, ma l’origine stessa di una tragedia fatta di morti che sembrano non servire a niente, perché prive di significato.
È inappropriato leggere il romanzo ignorando il ritratto che la storia ci ha fornito di due personaggi così importanti.
E poi c’è Roma, si diceva, il Potere, allacciati indissolubilmente a essi più delle norme morali o dei precetti religiosi. Vi è qualcosa che va oltre, in grado di fare intorno terra bruciata e che giustifica l’attributo di divino in capo a chi si cinge della carica imperiale.
Livia e Ottaviano, tra le pagine di questo racconto, appaiono giovanissimi, immersi in una Roma stravolta dalla guerra civile. Nulla è certo: incerta la sorte di Livia dopo la congiura delle idi di marzo del 44 a.C. Solida quella di Ottaviano, inaspettatamente adottato nel testamento di Cesare. Livia, dal canto suo, comprende che
la Repubblica è finita e che non c'è niente e nessuno che potrà mai riportarla indietro. Adesso c'è solo da scegliere dalla parte di chi stare.
Sulla loro strada - si ricordi - vi era una coppia che, giocando le carte giuste, avrebbe potuto dar filo da torcere, disegnano in modo diverso la cultura e la lingua (non latina ma greco-orientale) del Mediterraneo: Marco Antonio e Cleopatra, sconfitti nella battaglia navale di Azio da Augusto e dall'ingegno di Marco Vipsanio Agrippa. Ma già questa è un'altra storia.
Livia
Livia e Gaio Ottavio, il futuro Augusto. Due fazioni, due famiglie rivali nella Roma più bella e sanguinosa della storia. Un viaggio attraverso gli occhi di quella che sarà la donna più potente dell’Impero, fra le tradizioni di una Repubblica che sta cedendo il passo di fronte all’avanzata dei carri scintillanti di Cesare e dei suoi legionari vittoriosi.
Livia è solo una bambina quando Giulio Cesare oltrepassa il Rubicone, ma sente nella voce di suo padre quando questo sia devastante per lo Stato a cui lui ha dedicato la sua vita. Lei è troppo giovane per capire le ripercussioni che questo avrà sulla politica ma, da quando ha incontrato il giovane Gaio Ottavio e si è persa nei suoi occhi di cristallo, si è fatta strada in lei la consapevolezza che la sua vita legata a doppio filo con le sorti di Roma, perché il giovane Ottavio le ha promesso che la sposerà, dovesse mettere Roma in ginocchio ai suoi piedi. Ma la strada è aspra e dolorosa e la speranza è a un passo dal perdersi in una fine che, in realtà, è un nuovo inizio. Una nuova alba per Roma e per quelli che ormai non sono più due adolescenti, ma un giovane uomo e una donna che la renderanno grande come non è mai stata e come, forse, non sarà mai più.
Livia è solo una bambina quando Giulio Cesare oltrepassa il Rubicone, ma sente nella voce di suo padre quando questo sia devastante per lo Stato a cui lui ha dedicato la sua vita. Lei è troppo giovane per capire le ripercussioni che questo avrà sulla politica ma, da quando ha incontrato il giovane Gaio Ottavio e si è persa nei suoi occhi di cristallo, si è fatta strada in lei la consapevolezza che la sua vita legata a doppio filo con le sorti di Roma, perché il giovane Ottavio le ha promesso che la sposerà, dovesse mettere Roma in ginocchio ai suoi piedi. Ma la strada è aspra e dolorosa e la speranza è a un passo dal perdersi in una fine che, in realtà, è un nuovo inizio. Una nuova alba per Roma e per quelli che ormai non sono più due adolescenti, ma un giovane uomo e una donna che la renderanno grande come non è mai stata e come, forse, non sarà mai più.
di Francesca Petroni | Le Mezzelane | Romanzo storico
ISBN 9788899964344 | ebook € 5,99 | cartaceo 13,52€
ISBN 9788899964344 | ebook € 5,99 | cartaceo 13,52€
Davide Dotto Sono nato a Terralba (OR) vivo nella provincia di Treviso e lavoro come impiegato presso un ente locale. Ho collaborato con Scrittevolmente, sono tra i redattori di Art-Litteram.com e curo il blog Ilnodoallapenna.com. Ho pubblicato una decina di racconti usciti in diverse antologie. Il ponte delle Vivene, Ciesse Edizioni. |
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