Inediti d'autore Racconto di Claudia Gerini. Una donna. Una tra tante. Troppe. Violenza, femminicidio. Una storia che si ripete spesso. Troppo.
Non era facile essere una donna. Anche nel 2019. A volte le sembrava di essere tornata indietro nel tempo. Quando ancora una donna doveva urlare con tutta la voce che aveva in corpo anche solo per farsi ascoltare. Anni di lotte buttati al vento. Diritti calpestati. Ma non succedeva solo alle donne, se ne rendeva conto ogni volta che accendeva il televisore sul canale delle notizie. Anche gli uomini non stavano messi tanto meglio. E nemmeno i disabili, e gli omosessuali, e le coppie di fatto, e i single… come se tutto intorno a lei ci fosse una gara a chi calpestava più forte i diritti acquisiti a fatica da tante persone. Persone come lei, come gli altri, che si vedevano sfumare davanti agli occhi tutte le cose per cui era valsa la pensa di lottare fino a quel momento.
Una gara al massacro.
Così la vedeva lei.
Chi la sparava più grossa, prendeva bene la mira e faceva più male, era il vincitore, quello che la folla, affamata di odio e di rancore, acclamava sempre più forte. Si tendeva ad additare sempre e comunque. C’erano i noi e i loro. E di solito i noi erano quelli che avevano ragione, che stavano nel giusto, che gridavano più forte. I loro erano gli ultimi, o i diversi, o quelli che secondo i noi facevano finta di essere buoni.
O le donne.
Non c’era cosa più crudele di una donna che additava o offendeva un’altra donna. Se l’era di certo andata a cercare. Era una troia, per forza! Avrebbe fatto bene a starsene zitta. Era la vergogna del genere femminile… quante volte su Facebook aveva visto donne mettere alla gogna altre donne, come lei.
Che ne sapevano loro? Perché non riuscivano a mettersi nei suoi panni? Perché non capivano che nessuno se lo meritava. Che non era una scelta. E che il più delle volte non serviva a niente urlare, denunciare, scappare?
Così la vedeva lei.
Chi la sparava più grossa, prendeva bene la mira e faceva più male, era il vincitore, quello che la folla, affamata di odio e di rancore, acclamava sempre più forte. Si tendeva ad additare sempre e comunque. C’erano i noi e i loro. E di solito i noi erano quelli che avevano ragione, che stavano nel giusto, che gridavano più forte. I loro erano gli ultimi, o i diversi, o quelli che secondo i noi facevano finta di essere buoni.
O le donne.
Le donne a suo parere erano più vittime di tutti, a volte anche di loro stesse.
Che ne sapevano loro? Perché non riuscivano a mettersi nei suoi panni? Perché non capivano che nessuno se lo meritava. Che non era una scelta. E che il più delle volte non serviva a niente urlare, denunciare, scappare?
La sua prima volta era stata poco dopo il matrimonio.
L’aveva presa alla sprovvista, una sera d’estate. Il caldo insopportabile rendeva l’aria quasi irrespirabile. A niente serviva aver spalancato le finestre nel tentativo di far entrare l’aria ferma e afosa della sera. La discussione era nata dal nulla, come la miccia di un petardo era arrivata al culmine in pochi secondi, e infatti era scoppiata proprio come un petardo. Uno schiaffo sonoro, la guancia che bruciava, le parole che facevano ancora più male: sei inutile, maledetto il giorno che ti ho sposato.
L’aveva presa alla sprovvista, una sera d’estate. Il caldo insopportabile rendeva l’aria quasi irrespirabile. A niente serviva aver spalancato le finestre nel tentativo di far entrare l’aria ferma e afosa della sera. La discussione era nata dal nulla, come la miccia di un petardo era arrivata al culmine in pochi secondi, e infatti era scoppiata proprio come un petardo. Uno schiaffo sonoro, la guancia che bruciava, le parole che facevano ancora più male: sei inutile, maledetto il giorno che ti ho sposato.
Ce ne erano state altre.
A volte piccoli episodi. Altre volte c’erano stati schiaffi e calci.
Laura non capiva.
Lei faceva del suo meglio. Puliva, cucinava, stirava, metteva fiori freschi nei vasi, diceva sempre di sì. Ma non bastava mai. Una volta era rientrata troppo tardi, la volta dopo aveva cucinato una cena da schifo, che se ci fosse stata sua madre allora si che avrebbe mangiato bene.
Ma lei, le diceva lui, era una incapace.
E la volta dopo aveva messo una gonna troppo corta, che cosa aveva in mente di fare, far chiacchierare tutto il vicinato? E la volta dopo la camicia non era stirata bene… c’era sempre qualcosa che sbagliava.
E più stava attenta e più sbagliava.
Sempre più forte.
Tanto che un giorno aveva dovuto dire alla madre che era caduta nella doccia e si era fatta un occhio nero. Tanto che alle sue amiche inventava bugie su bugie.
Si sentiva perennemente in colpa.
Sempre.
Se lui era arrabbiato con lei di chi poteva essere la colpa se non sua?
Non era una brava moglie.
Non era nemmeno una donna capace di tenersi stretto il proprio uomo.
Lo sapeva quello che dicevano in giro. Lo sapeva che lui frequentava altre donne. Era convinta che a loro non avrebbe mai tirato uno schiaffo. Loro erano di sicuro meglio di lei. Forse sapevano anche fare l’amore meglio di lei. Se lo era immaginato, lui, con quella sua collega che gli telefonava continuamente. Quella tutta curve e sorrisini. Se lo era immaginato nel letto, nudo con lei. Era per quello che non la guardava neanche più. Se non per dargli i suoi schiaffi “quotidiani”. Quelli a lei di certo non li avrebbe dati mai. Quella era una donna.
Lei era solo una moglie sbagliata.
A volte piccoli episodi. Altre volte c’erano stati schiaffi e calci.
Laura non capiva.
Lei faceva del suo meglio. Puliva, cucinava, stirava, metteva fiori freschi nei vasi, diceva sempre di sì. Ma non bastava mai. Una volta era rientrata troppo tardi, la volta dopo aveva cucinato una cena da schifo, che se ci fosse stata sua madre allora si che avrebbe mangiato bene.
Ma lei, le diceva lui, era una incapace.
E la volta dopo aveva messo una gonna troppo corta, che cosa aveva in mente di fare, far chiacchierare tutto il vicinato? E la volta dopo la camicia non era stirata bene… c’era sempre qualcosa che sbagliava.
E più stava attenta e più sbagliava.
E poi lui si arrabbiava.
E la picchiava.
Forte.
Tanto che un giorno aveva dovuto dire alla madre che era caduta nella doccia e si era fatta un occhio nero. Tanto che alle sue amiche inventava bugie su bugie.
Si sentiva perennemente in colpa.
Sempre.
Se lui era arrabbiato con lei di chi poteva essere la colpa se non sua?
Non era una brava moglie.
Non era nemmeno una donna capace di tenersi stretto il proprio uomo.
Lo sapeva quello che dicevano in giro. Lo sapeva che lui frequentava altre donne. Era convinta che a loro non avrebbe mai tirato uno schiaffo. Loro erano di sicuro meglio di lei. Forse sapevano anche fare l’amore meglio di lei. Se lo era immaginato, lui, con quella sua collega che gli telefonava continuamente. Quella tutta curve e sorrisini. Se lo era immaginato nel letto, nudo con lei. Era per quello che non la guardava neanche più. Se non per dargli i suoi schiaffi “quotidiani”. Quelli a lei di certo non li avrebbe dati mai. Quella era una donna.
Lei era solo una moglie sbagliata.
Che avrebbero detto le altre donne, quelle che additavano su Facebook la disgraziata di turno? Se solo avessero saputo, che avrebbero detto? Avrebbero pensato lo stesso che se l’era meritato?
Ma aveva deciso.
Basta violenze, basta sensi di colpa.
Basta.
Aveva preso coraggio e aveva parlato, come un fiume in piena aveva raccontato tutto alla sua mamma. Piangeva, Laura, lacrime liberatorie solcavano il suo viso sfigurato dopo l’ennesima botta. Dopo l’ultima umiliazione. Piangeva, Laura, mentre raccontava la sua storia, le sue lotte quotidiane. La mamma l’aveva stretta a sé e le aveva dato tutto il coraggio che non aveva mai avuto. Non era sola, ora lo sapeva. Con lei c’era la sua mamma e tutte quelle donne silenziose che, come lei, non avevano mai avuto il coraggio di raccontarsi.
Era tornata a casa e lo aveva aspettato. Seduta sul divano, con i pugni stretti sulle ginocchia si era ripetuta all’infinito: ce la posso fare. La mamma l’aspettava a casa, sarebbe stato facile, le aveva detto. Forse lui avrebbe protestato, l’aveva messa in guardia, forse le avrebbe dato uno schiaffo, l’ultimo. Ma poi sarebbe stata libera e avrebbe ricominciato a vivere.
Su una cosa aveva ragione la sua mamma. Lui le aveva dato uno schiaffo. Ma poi gliene aveva dato un altro, e poi un altro ancora. E poi calci e pugni. Aveva sentito i suoi capelli strapparsi sotto le sue mani. Aveva pianto e urlato mentre lui la prendeva di forza e la gettava a terra.
E la picchiava forte.
E ancora.
E ancora.
Laura aveva pensato che forse, ancora una volta, era stata colpa sua.
Che un’altra occasione non se la meritava.
Che non avrebbe mai vissuto libera.
“Forse hanno ragione loro, forse me lo meritavo” pensò Laura chiudendo gli occhi, per sempre.
Quel giorno avrebbe detto basta.
Basta.
Aveva preso coraggio e aveva parlato, come un fiume in piena aveva raccontato tutto alla sua mamma. Piangeva, Laura, lacrime liberatorie solcavano il suo viso sfigurato dopo l’ennesima botta. Dopo l’ultima umiliazione. Piangeva, Laura, mentre raccontava la sua storia, le sue lotte quotidiane. La mamma l’aveva stretta a sé e le aveva dato tutto il coraggio che non aveva mai avuto. Non era sola, ora lo sapeva. Con lei c’era la sua mamma e tutte quelle donne silenziose che, come lei, non avevano mai avuto il coraggio di raccontarsi.
Era tornata a casa e lo aveva aspettato. Seduta sul divano, con i pugni stretti sulle ginocchia si era ripetuta all’infinito: ce la posso fare. La mamma l’aspettava a casa, sarebbe stato facile, le aveva detto. Forse lui avrebbe protestato, l’aveva messa in guardia, forse le avrebbe dato uno schiaffo, l’ultimo. Ma poi sarebbe stata libera e avrebbe ricominciato a vivere.
Su una cosa aveva ragione la sua mamma. Lui le aveva dato uno schiaffo. Ma poi gliene aveva dato un altro, e poi un altro ancora. E poi calci e pugni. Aveva sentito i suoi capelli strapparsi sotto le sue mani. Aveva pianto e urlato mentre lui la prendeva di forza e la gettava a terra.
E la picchiava forte.
E ancora.
E ancora.
Laura aveva pensato che forse, ancora una volta, era stata colpa sua.
Che un’altra occasione non se la meritava.
Che non avrebbe mai vissuto libera.
“Forse hanno ragione loro, forse me lo meritavo” pensò Laura chiudendo gli occhi, per sempre.
Claudia Gerini Claudia Gerini nasce a Pontedera negli anni ’70. Completa il liceo linguistico e collabora saltuariamente con un’importante testata giornalistica. Poi abbandona gli studi e le passioni per un impiego fisso. Da più di 15 anni infatti lavora nel reparto gastronomia di un supermercato. Adora la sua famiglia ed è ciò a cui si è ispirata per scrivere il suo primo romanzo, uscito in prima edizione per Lettere Animate. Il sogno di Giulia, Gli Scrittori della Porta Accanto Edizioni (seconda edizione). |
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Che racconto ben scritto, è proprio per questo una pugnalata.
RispondiEliminaAlessandra N