Cinema Recensione di Mario D'Acunto. A single man, il debutto al cinema dello stilista Tom Ford: è l’estetica la vera forza del film, la sorellanza leopardiana di moda e morte.
Esordio alla regia per lo stilista Tom Ford, con A Single Man, film del 2009, ambientato nel 1962, anno del raggiunto accordo segreto tra il presidente russo Chruščёv e Fidel Castro, che porterà all’installazione sul territorio cubano di strutture di lancio missilistiche, necessarie all’impedimento di una possibile invasione statunitense.Il dato storico (in particolare la paura di rimanere vittime di una guerra missilistica) non è trascurabile se si pone l’attenzione sul filo rosso che percorre l’intera narrazione filmica, ossia il preannuncio e la coscienza di una morte avvertita come inevitabile dal protagonista George, che le attribuisce il ruolo di condizione ultima e unica focalizzabile di un presente che non si affaccia al futuro, ma che procede inesorabilmente e a passi lenti verso di essa. Emblematico a tal proposito il riferimento al noto volto di Psycho, che si trasforma in un’opera davanti alla quale si può parcheggiare un’auto e fumare una sigaretta... si attende la morte familiarizzandovi.
Fin dalle scene iniziali di A single Man si nota la mano e l’idea dello stilista Tom Ford.
Basti pensare all’accurata scelta delle musiche classiche d’orchestra, che diventano ampliamento della cupa condizione interiore del protagonista, nonché accompagnamento verso un viaggio con destinazione morte che, anche grazie ad esse, George e lo spettatore compiono insieme. Probabilmente nella scelta Ford avrà tenuto ben presente il Kubrick di Arancia Meccanica. Una somiglianza che diventa fin troppo lampante quando entra in gioco la mescalina.Si cade in errore se si cerca la forza del film nella sceneggiatura, che con la morte della persona più cara al nostro Professor Falconer, causa nello spettatore più pietà e vicinanza al protagonista in una forma di commiserazione, che un motivo originale e accattivante che tiene accesa l’attenzione dall’inizio alla fine.
Inoltre la tematica omosessuale è uno sfondo che fortunatamente ai nostri giorni non fa troppo scalpore.
È l’estetica la vera forza del film, la sorellanza leopardiana di moda e morte.
La superficie colpisce, l’esperienza estetica ipnotizza lo spettatore in slow-motion che hanno il sapore di fashion films.Persino il colore diviene un‘esperienza estetica, nel suo farsi più acceso in alcuni dettagli (labbra rosse, corpi atletici ecc.) che creano un’empatia tra George e noi spettatori. In fondo, siamo tutti George... o almeno fino alla fine del film.
Un’ importante marca registica quindi, che unita alla cura dei dettagli, degli abiti, dei giochi di luce e dei colori in scena, rende l’esperienza estetica esemplare, nell’accezione letterale del termine, ossia portatrice di un esempio, quello che il regista ha tentato quantomeno di trasmetterci.
Mario D'Acunto Sono un cantautore e studente universitario in Letteratura, Musica e Spettacolo presso l’Università La Sapienza di Roma. Ho visto nascere la mia passione per la musica sui banchi di scuola, scrivendo il mio primo brano durante una lezione di Greco. Ho iniziato ad appassionarmi al cinema, materia di studio nel mio corso, con spirito critico. Mi piace viaggiare e rimanere incantato davanti alle bellezze della natura. Credo l'arte, che si tratti di musica, cinema o letteratura, sia una delle più alte manifestazioni dello spirito umano, da accogliere, condividere e trasmettere… |
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