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Figli, un film di Giuseppe Bonito: la recensione

Figli, un film di Giuseppe Bonito: la recensione

Cinema Recensione di Stefania Bergo. Figli, il film di Giuseppe Bonito tratto dal monologo di Mattia Torre: dramma e ironia per raccontare la famiglia italiana, con Paola Cortellesi e Valerio Mastrandrea.

Figli è tratto dal monologo recitato da Valerio Mastandrea e scritto da Mattia Torre, morto poco prima dell'uscita del film al cinema, I figli ti invecchiano. Il film ha vinto il nastro d'argento come miglior commedia e per il miglior attore e la migliore attrice protagonisti. E in effetti la coppia Cortellesi-Mastrandrea è perfetta: porta sullo schermo la giusta dose di ironia e dramma necessari a raccontare il quotidiano di tante famiglie e uno spaccato della classe media di questa nostra Italia in cui la crescita zero pare essere un problema sociale più che personale.

Nicola e Sara sono una famiglia della classe media, «fortunati ma non ricchi». Entrambi lavorano. Hanno intorno ai 35 anni e una figlia di sei. 

Anna è una bambina tranquilla, segue i genitori anche ai concerti, alle feste, dorme quando deve dormire. Nicola e Sara danno quindi per scontato che si possa continuare ad essere individui e coppia anche quando si è genitori. Si sentono diversi, migliori di altre coppie che, in una geniale carrellata su sfondo asettico, bianco, vengono raccontate da Mattia Torre. Ci sono i genitori apprensivi, quelli divenuti tali "da grandi", la cui vita ruota solo ed esclusivamente intorno ai figli trasmettendo loro l'errata idea di essere al centro dell'universo. Ci sono i genitori naturisti che impongono le loro scelte etiche apparentemente anticonformiste ai bambini, cui vengono vietati i prodotti alimentari industriali, la tecnologia e cui viene inculcato fin da piccoli cosa sia essenziale – sempre secondo l'idea dei genitori. Ci sono i genitori milionari, che mettono al mondo i figli per poi farli crescere dalla coppia di filippini al loro servizio. C'è il genitore separato, uomo, che se la spassa con la nuova fidanzata ma che sente tristemente la mancanza dei suoi figli – ci sta, in una narrazione maschile, che il padre separato si strugga per la lontananza dal tetto coniugale, provando «dolore, angoscia e distruzione». Ci sono i genitori con più di due figli, che forse hanno preso troppo sul serio l'esortazione di riportare la natalità ai valori del boom economico e ora si trovano intrappolati in una routine schedulata da cui non si può evadere se non con psicofarmaci – o cianuro. Ci sono i genitori giovanissimi, flessibili e dinamici, che non hanno paura di niente: i loro figli scalano gli scogli, vanno da soli a scuola, sono responsabili e maturi... ma in Italia non ci sono.

Di stereotipo in stereotipo, un po' sardonico, un po' drammaticamente realistico, Figli ci racconta uno spaccato di Italia, la famiglia, nella sua accezione di nucleo sociale primario, l'atomo.

Parte da un quadro desolante, fotografa quello che siamo presentandolo con intelligente sarcasmo, con amarezza, ma anche con speranza e fiducia. Per farcelo accettare – il vero messaggio del film è qui.
Sara e Nicola si illudono di essere al di sopra delle parti, oltre gli stereotipi o semplicemente la sommatoria di tutti. Fino a quando Sara comunica a Nicola di essere di nuovo incinta. «Andrà tutto bene», dice lui. E forse, ancora una volta, è così, sebbene quando si tratta di figli «uno più uno non fa due ma undici».

Figli, la locandina
Figli, un film di Giuseppe Bonito: la recensione

Figli

REGIA Giuseppe Bonito
SCENEGGIATURA Mattia Torre
FOTOGRAFIA Roberto Forza
MUSICHE Giuliano Taviani, Carmelo Travia
DISTRIBUZIONE Vision Distribution
ANNO 2020

CAST
Valerio Mastandrea, Paola Cortellesi, Stefano Fresi, Giorgio Barchiesi, Betti Pedrazzi

Pietro, il nuovo arrivato, non è flessibile quanto Anna. O forse è semplicemente la vita intorno che è cambiata, sono mutate le priorità e gli equilibri.

E trovare un nuovo assetto famigliare non è così scontato. «Dove mangiano tre, mangiano anche quattro», dicevano le nostre nonne. Solo che non si tratta di riempirsi lo stomaco, si tratta di rivoluzionare una casa e un'esistenza per farci entrare tutto quello che una nuova vita si trascina fuori dall'utero materno.
Sara e Nicola si trovano soli, senza poter contare sull'aiuto dei nonni. E forse il film vuole far notare anche questo: non è così scontato che i nonni concorrano ad allevare i nipoti alleggerendo il carico sui genitori, forse nemmeno dovuto. Ma questo non viene raccontato come una mancanza, bensì come un diritto degli anziani di vivere la loro vecchiaia lontano da "impegni" e preoccupazioni.

Da non perdere lo scontro generazionale portato sulla scena in un unico scambio di battute che meritano applausi. 

Sara, in un momento di stanchezza e disperazione – quando la madre si rifiuta di prendersi in carico anche Pietro per farla respirare di tanto in tanto – rinfaccia alla madre che la sua generazione si è mangiata tutte le ricchezze destinate ai figli, ha consumato il pianeta e ha sgretolato il futuro dei trentenni/quarantenni di oggi. E si resta sospesi, vien voglia di applaudire Paola Cortellesi, sicuri che non ci sia replica plausibile. Per poi ricevere, al pari di Sara, la tramvata in piena faccia della chirurgica Betti Pedrazzi, che attacca con un profetico «noi anziani siamo una forza silenziosa e tranquilla ma se ci incazziamo sono dolori». E detto in un paese in cui ci sono 160 anziani ogni 100 giovani è da tenere in serie considerazione.

Molti sono gli stratagemmi visivi e sonori di Giuseppe Bonito che arricchiscono la narrazione e la rendono deliziosa ed efficace.

Come il lancio dalla finestra istintivo e virtuale ogni volta che la situazione si fa insostenibile. Come la Pathétique di Beethoven in luogo del pianto disperato del neonato, foriero di piccoli/grandi drammi da gestire. Come le corse di Sara e Nicola ogni volta che escono di casa, fughe dal logorante ménage famigliare. Come la tuta da supereroe di Nicola quando racconta di aver fatto la lavatrice, dato da mangiare ai figli e lavato i piatti, tutto da solo – un supereroe goffo, messo sapientemente e ironicamente in ridicolo proprio dalla tutina attillata. Come la "ferocia" degli adulti quando strofinano il fazzoletto sulla bocca sporca di un bambino.
Molti sono i dettagli che fanno di questo film una chicca del cinema italiano moderno che vi consiglio di vedere – è disponibile su Prime Video di Amazon o a noleggio su YouTube.

Non trascurabile il riflettore acceso sull'ennesimo stereotipo della madre che deve sacrificare tutto per i figli e cui spetta il 100% della cura della famiglia.

Dalle labbra della Cortellesi escono taglienti rimproveri – sunto del sentire femminile collettivo – per un Mastrandrea che interpreta magistralmente l'uomo che si sente un eroe, aspettandosi applausi e ringraziamenti, quando aiuta in famiglia, sebbene di aiuto non si tratti, semmai di semplice suddivisione equa dei compiti di individui paritari all'interno di un nucleo che forse necessita di distinzione di ruoli in senso verticale – adulto e bambino – ma non trasversale.
L'amore per i figli non è in discussione, al di sopra di qualsiasi rappresentazione se ne possa dare, intoccabile, dato per assodato. Ciò su cui si sofferma Figli è tutta quella gamma di istinti inconfessabili ma naturali che temiamo possano renderci criticabili, indegni, incapaci. Ma che ci rendono semplicemente umani.
Paola Cortellesi e Valerio Mastrandrea sono perfetti per questo film di Giuseppe Bonito. Sanno ironizzare e prendersi sul serio, anche contemporaneamente. Sognano di evadere dalle responsabilità pur avendo coscienza dei loro doveri. Litigano. Dialogano. Scappano. Restano. Imparano che «andrà tutto bene» non è un mantra per nascondere la realtà dietro un arcobaleno. Ma uno sprone ad accettare gli eventi trovando un nuovo equilibrio attorno a quelli destabilizzanti – o spiacevoli. Se andrà davvero tutto bene dipende da noi. «Andrà tutto bene» è saper ridere guardando una finestra aperta invece di desiderare di buttarsi di sotto.




Stefania Bergo


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