Gli scrittori della porta accanto

Scrittori: intervista a Matteo Magnani

Scrittori: intervista a Matteo Magnani

Caffè letterario A cura di Silvia Pattarini. Intervista ad Matteo Magnani, in tutti gli store online con il romanzo storico Beati i poveri di spirito (PubMe Editore): «Non riesco a immaginarmi senza scrittura o definirmi senza lettura».

Diamo il benvenuto a Matteo Magnani. Grazie per avere scelto il nostro web magazine culturale Gli Scrittori della Porta Accanto. Com'è nata l'esigenza di scrivere Beati i poveri di spirito?

Anche se potrebbe suonare strano, l’episodio culminante di questo libro (che non svelerò) è stato un sogno. Per di più un sogno basato su una particolare serie di circostanze: mio nonno, persona che definire affabulatrice sarebbe stato poco, mi aveva ripetuto, tanti anni fa, il racconto che gli aveva fatto a sua volta sua nonna. Questa donna, nata nel 1836 durante il Regno Lombardo Veneto, aveva assistito da bambina all’evento attorno al quale ruota tutta la narrazione del mio libro. Per sapere più in dettaglio di che cosa si tratti… non rimane che leggere il romanzo!

Ci ricordi i titoli delle tue precedenti pubblicazioni?

Le mie opere precedenti sono state tre raccolte di racconti che ho autopubblicato con Amazon: Avere metodo, La maggior parte dei problemi (non ha soluzione) e Elementi. Aggiungo che, a richiesta, allegavo gratuitamente al secondo libro una dimostrazione logico-matematica rigorosa dell’affermazione contenuta nel titolo. Per la cronaca: nessuno me l’ha mai richiesta. Evidentemente certe cose si preferisce ignorarle…
Questo è il primo libro che pubblico con una casa editrice, la PubMe, per la collana Iomeloleggo.

Beati i Poveri di Spirito: perché hai scelto proprio questo titolo?

L’ho sempre trovata una frase molto evocativa. Fa parte del famoso discorso della Montagna, tenuto da Gesù nel corso delle sue predicazioni. E tuttavia… è anche un falso storico. Nella versione originaria di Luca non era presente la specificazione (in realtà la limitazione) “di spirito”, che è stata aggiunta solo nella Vulgata di Matteo. Il passo suonava così molto più eversivo: “Beati i poveri”. Anche se non è da sottovalutare nemmeno quanto possa suonare strano proclamare: “Beati i poveri di spirito”, cosa non molto diversa dal dire: “Beati gli stupidi”.
Nel mio romanzo parlo di tre contadinelli mantovani che possono rientrare, nonostante il sincero affetto che provo per loro, in entrambe le classificazioni.

Matteo Magnani ci riveli qualche indiscrezione sulla trama, così da farci addentrare meglio nel tuo contesto?

Gli avvenimenti descritti nel romanzo hanno il loro inizio e la loro causa scatenante nello scherzo innocente che tre contadini, un malaugurato giorno, decidono di architettare. Di per sé non avevano in mente che di farsi due risate. E tuttavia scateneranno, con quel loro gesto, una incredibile serie di conseguenze sempre più gravi e preoccupanti, che né loro né nessuna delle persone coinvolte sarà più in grado di dirigere o di governare. Non ci riuscirà il Commissario Distrettuale che serve sotto l’amministrazione austriaca, né l’astuto cancelliere che governa gli uffici anagrafici. E quando ci proveranno l’Avvocato difensore, il Parroco del paese o il figlio del Notaio, c’è da scommetterci che riusciranno solo a ingarbugliare ancor più la faccenda.

Perché consiglieresti il tuo romanzo?

Il romanzo si situa a metà strada fra due esigenze differenti e per certi versi opposte: da una parte la volontà di raccontare la vita quotidiana di persone vissute oltre centocinquanta anni fa, ai tempi del Lombardo Veneto. Dall’altra parte e quasi in antitesi con questa istanza realista, c’è quella di raccontare una favola non molto diversa da quella che avrebbe potuto raccontare una persona presente agli avvenimenti, molti anni dopo, ai propri nipoti. In questo modo la stessa realtà si ingigantisce di esagerazioni, di personaggi grotteschi eppure non per questo meno veri. Ecco, io consiglierei il libro a chi ama questo tipo di mescolanza fra reale e immaginario, che in fondo sono concetti che, ai tempi delle vicende raccontate, avevano probabilmente dei confini molto meno marcati. Oppure dei confini che non passavano necessariamente lungo le stesse convinzioni e le stesse idee che possiamo avere noi oggi sul senso della vita e su che cosa spinga avanti il mondo, giorno dopo giorno.
Beati i poveri di spirito

Beati i poveri di spirito

di Matteo Magnani
PubMe
Narrativa storica
ISBN 978-8833666402
ebook 1,99€
cartaceo 12,35€

Quanto ti ha coinvolto emotivamente la stesura di questo romanzo?

Questo libro, anche in parte per la sua origine “genealogica”, è un libro verso il quale ho sempre sentito una grande familiarità. Certo potrebbe sembrare strano che il racconto di personaggi immaginari e vicende accadute così lontano nel tempo possa suonare più immediato di parlare del tempo presente. Ma si tratta di un passato mitico, che ho infarcito di personaggi e caratteri che, per lo più, è stato mio nonno a raccontarmi nel corso degli anni. Anzi, mi sono trovato ad avere così tanto materiale fra le mani che non escludo di scrivere, prima o poi, un seguito alle vicende raccontate. Un po’ come quando si fa l’impasto per i tortelli di zucca ma se ne fa così tanto che ci si ritrova con meno sfoglia di quella che sarebbe servita: forse varrebbe la pena mettersi a stendere altra sfoglia (per citare un altro ambito, la cucina mantovana, che mi coinvolge emotivamente parecchio).

Se potessi esprimere con un'immagine ciò che rappresenta veramente per te la scrittura, quale sarebbe?

Dico una cosa forse un po’ strana, provenendo da una persona che scrive. E tuttavia ammetto che l’immagine che mi faccio della scrittura o, meglio, del mio personale modo di vivere la scrittura non è un’immagine del tutto positiva. Mi ricorda piuttosto una di quelle immagini che circolano su internet di enormi voragini che si aprono all’improvviso in mezzo a una strada, in un bosco o persino in un lago, prosciugandolo. Dico questo avendo in mente il tempo che la scrittura mi richiede, anzi: che pretende. Che è tempo per forza di cose sottratto a qualcos’altro.

Scrivere, a volte, diventa terapeutico. Ma non credo sia solo questo lo scopo del tuo libro. C’è qualche altra motivazione?

Come dicevo, più che cercare un effetto terapeutico è piuttosto un cedere senza ritegno a un istinto ossessivo-compulsivo che può essere in parte quello del classificare l’esistente e in parte quello di costruirne una versione alternativa, più appagante. Non è un caso, citando una delle mie letture preferite, che i paladini dell’Orlando Furioso siano nati nei momenti di riposo di un impegnatissimo segretario di stato alla corte degli Estensi. Chissà quanto di quello che vedeva tutti i giorni Ludovico Ariosto, quante insulse chiacchiere di cancellieri, dignitari, ciambellani, buffoni, creditori, poeti, venissero poi ribaltate o sublimate in ciò che scriveva. Ecco, pur arrossendo fino alla radice dei capelli alla sola idea di una comparazione, ciò che voglio dire è che mi ritrovo molto nel concepire lo scrivere come un continuo travasare di idee, di concetti e di sensazioni da una parte all’altra dello specchio che divide la realtà esteriore da quella interiore. E poco importa se a farsi carico di questa fatica è uno scrittore di genio o un dilettante. È un po’ come se si somministrasse la stessa medicina a un premio Nobel o a un povero ignorante: possiamo solo immaginare che li curerebbe allo stesso modo.

Ringraziamo tantissimo Matteo Magnani per essere stato ospite degli Scrittori della porta accanto e, anche a nome dei nostri lettori, gli auguriamo in bocca al lupo per suoi progetti futuri.

Silvia Pattarini

Silvia Pattarini


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