Gli scrittori della porta accanto

The week: focus sugli eventi tra il 3 e il 16 luglio

The week: focus sugli eventi tra il 3 e il 16 luglio

The week Di Argyros Singh. Cosa è successo nel mondo tra il 3 e il 16 luglio? Le tensioni in Cisgiordania per l’operazione militare israeliana, l’ultimo vertice Nato e le incertezze politiche in Thailandia.

Dalle tensioni in Cisgiordania per l’operazione militare israeliana alla delicata situazione tunisina, passando per l’ultimo vertice Nato a Vilnius e le incertezze politiche in Thailandia: questi i temi trattati nel nuovo post per The Week.



L’offensiva israeliana in Cisgiordania

Nella prima settimana di luglio, Israele ha lanciato un’operazione militare in un campo profughi della città di Jenin, in Cisgiordania. Il campo è stato allestito negli anni Cinquanta del secolo scorso e si estende per meno di mezzo chilometro quadrato. Ci vivono circa undicimila persone. Per gli israeliani, rappresenta un luogo di resistenza armata palestinese.
Le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno parlato di un «vasto sforzo antiterroristico», realizzato prima con droni armati e poi con blindati. L’Idf ha setacciato le abitazioni per eliminare i leader delle fazioni armate. Il portavoce dell’Idf, il tenente colonnello Richard Hecht, ha riferito ai giornalisti che l’Autorità nazionale palestinese (Anp) e la Giordania erano state informate in anticipo dell’incursione. Il presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, ha però definito il raid «un nuovo crimine di guerra» israeliano.

Hamas e il gruppo Jihad Islamico hanno esortato i giovani a rispondere con le armi all’aggressione.

Nel frattempo, il portavoce delle forze armate ha riferito che questi raid si ripeteranno ogni volta che ci saranno informazioni di intelligence che richiederanno una cosiddetta azione antiterroristica. Il governo ha ottenuto sostegno anche dall’opposizione su questo tema. Il capogruppo centrista Yair Lapid, riferendosi alle Forze di difesa, ha dichiarato: «Siamo tutti con voi in un unico fronte.» Una voce critica è provenuta dai laburisti, guidati da Merav Michaeli, che hanno accusato i precedenti governi Netanyahu di aver reso Jenin ingestibile.
L’attacco al campo si è svolto mentre, sul fronte interno, riprendevano le proteste contro la riforma della giustizia, voluta dal premier Netanyahu, di cui ho scritto in un recente The Week. Il governo ha impresso un’accelerazione in questi giorni, per far approvare la legge entro la fine del mese, così migliaia di cittadini si sono radunati a Kaplan Street, a Tel Aviv, per manifestare. Netanyahu è costretto a concedere all’estrema destra israeliana ampio margine d’azione in Cisgiordania proprio per ottenere il consenso necessario a riformare il sistema giudiziario.

Secondo gli analisti, il vuoto di potere che si creerà alla morte dell’ottantasettenne Abbas farà proliferare i gruppi armati.

In parte sta già accadendo, per esempio con il gruppo Fossa dei Leoni, che recluta giovani a Nablus. L’Anp sta perdendo il controllo di molte strade cisgiordane; dal punto di vista diplomatico, non si registrano azioni specifiche dai negoziati sospesi nel 2014.
Mercoledì scorso, migliaia di palestinesi hanno marciato a Jenin per i funerali delle dodici persone uccise nel corso dell’operazione. Tra i soldati, si registra un caduto: secondo fonti israeliane, tra i morti ci sarebbero stati otto membri della Jihad islamica palestinese. Tra la folla in lutto, si trovavano uomini mascherati con armi automatiche; molti di loro indossavano i segni distintivi dei diversi gruppi della jihad e hanno sparato colpi in aria come dimostrazione di forza. Una parte del corteo ha poi cacciato gli alti funzionari dell’Autorità Palestinese. Le Nazioni Unite hanno espresso preoccupazione per le violenze, ma sul piano internazionale non si registrano dure condanne verso Israele. Per ora, c’è già stato un attentato a Tel Aviv, rivendicato da Hamas, in risposta all’incursione a Jenin: in un centro commerciale, un uomo ha iniziato ad accoltellare i passanti, provocando otto feriti.
Sulla Cisgiordania – cnn.com, aljazeera.com e ispionline.it

Il “caso Tunisia”

Nella città portuale di Sfax, in Tunisia, crescono le tensioni tra i residenti e i migranti subsahariani. Il governo ha rafforzato la presenza di forze dell’ordine, ma sembra che anch’esse spingano i migranti verso la frontiera libica, abbandonandoli nel deserto al confine.
A fine giugno, centinaia di tunisini avevano manifestato davanti alla prefettura, dicendo che i migranti costituivano «una minaccia per l’incolumità» dei residenti. Gli scontri avverrebbero nei quartieri popolari, abitati da persone che vivono in miseria, e sono alimentati dalla retorica razzista del governo guidato da Kais Saied.

La scelta di Sfax dipende dalla vicinanza della località con Lampedusa (duecento chilometri).

In città si raccolgono migliaia di persone senza documenti, provenienti dai confini porosi con Libia e Algeria. Secondo le autorità tunisine, nel primo trimestre del 2023 sarebbero stati intercettati quattordicimila migranti, una cifra quintuplicata rispetto allo stesso periodo del 2022.
A gennaio di quest’anno, Saied ha anche destituito il governatore di Sfax, Fakher Kakhfakh, non ancora sostituito. La sezione locale del sindacato Ugtt (Union générale tunisienne du travail) ha accusato il presidente di aver trasportato a Sfax tutti i barconi intercettati nel Mediterraneo. In parallelo, l’Unione Europea sta portando avanti i negoziati per convincere la Tunisia a gestire la questione migranti sul suolo tunisino. L’Ue prevede lo stanziamento di 900 milioni di euro a tal fine, ma al momento la Tunisia non sembra propensa ad accettare la gestione del fenomeno.

A livello di politica interna, nel luglio 2021 Saied ha congelato il parlamento e ha esautorato il governo.

Da febbraio, oltre venti persone, tra cui politici d’opposizione, giornalisti e uomini d’affari, sono state arrestate con accuse come il «complotto contro la sicurezza dello Stato» e il «terrorismo».
Secondo Maha Azzam, leader del Consiglio rivoluzionario egiziano, la primavera araba aveva costituito uno spiraglio di libertà dopo decenni di tirannia. Così era stato per la Tunisia nel 2011, ma oggi il Paese sta vivendo una fase inversa, repressiva.
Per Soumaya Ghannouchi, figlia del leader incarcerato di Ennahdha, Saied «ha dato loro [ai tunisini] non solo la dittatura, ma anche la povertà e la bancarotta dello Stato.» La crisi economica tunisina è inoltre aggravata dalla sospensione dei colloqui con il Fondo monetario internazionale, che prevedevano un prestito di 1,9 miliardi di dollari.
Sulla Tunisia – aljazeera.com, euronews.com e open.online

Il vertice Nato a Vilnius

A maggio 2022, la Svezia aveva fatto domanda di adesione alla Nato. Il 10 luglio 2023, è caduto il veto turco. La Turchia aveva bloccato l’ingresso della Svezia accusandola di sostenere i membri del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), considerato un’organizzazione terroristica da Ankara.
Il veto è venuto meno alla vigilia dell’incontro dei membri della Nato a Vilnius. Poco prima, Erdogan aveva riaperto la questione dell’integrazione del suo Paese all’Ue, proponendola come moneta di scambio per l’ingresso svedese. Non è chiaro che cosa abbia fatto cambiare idea al presidente turco, oltre alle rinnovate promesse di Stoccolma di non sostenere altri gruppi di militanti curdi, rilanciando la cooperazione economica con la Turchia.

L’incontro ha permesso anche a Grecia e Turchia di avviare un nuovo processo di relazioni bilaterali.

Erdogan e il premier greco Kyriakos Mitsotakis si sono incontrati per la prima volta in sedici mesi e si sono impegnati ad «attivare molteplici canali di comunicazione». In autunno, a Salonicco, le due parti terranno un Consiglio di cooperazione ad alto livello, tenutosi per la prima volta nel 2010, ma in sospeso dal 2016. A dividere le due nazioni, questioni mai risolte sui confini marittimi e la disputa per il controllo di Cipro. A riavvicinarle, il rapido soccorso greco alla Turchia, all’indomani dei devastanti terremoti dello scorso febbraio.

Il summit si è poi incentrato sull’ammissione dell’Ucraina nella Nato.

L’Alleanza ha parlato di “porte aperte”, ma a Kyiv non sono state fornite tempistiche precise. Come ha dichiarato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, l’Ucraina dovrà vincere la guerra, altrimenti sarebbe inutile parlare di un ingresso.
Il presidente ucraino Zelens’kyj ha tenuto un discorso pubblico al vertice, in presenza, lamentando la lentezza di un processo che era già stato annunciato, sia per l’Ucraina che per la Georgia, quindici anni fa, al summit di Bucarest.
Per l’Alleanza, sono fondamentali le riforme politiche interne che mirino alla democratizzazione del Paese e alla difesa dello stato di diritto, forse anche alla luce delle criticità riscontrate in questi anni con Ungheria e Turchia, due membri Nato che risultano sempre meno democratici.

Nella dichiarazione congiunta dei trentuno membri, è stato riconosciuto il pericolo presente costituito da Mosca, pur nella consapevolezza del vero pericolo sul lungo periodo, la Cina, accusata di «creare rapporti di dipendenza strategica e di rafforzare la propria influenza».

Non a caso, a Vilnius sono stati invitati il presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol, il premier giapponese Fumio Kishida, l’australiano Anthony Albanese e il neozelandese Chris Hipkins.
A latere del vertice, si è tenuto anche il G7, che ha precisato la volontà di garantire a Kyiv la capacità di sapersi difendere negli anni a venire da una possibile nuova aggressione russa.
Gli Usa vorrebbero riprodurre il modello israeliano, poiché a Tel Aviv vengono versati ogni anno oltre tre miliardi per la difesa. Riguardo all’Ucraina, la Germania ha annunciato la fornitura di dodici miliardi di euro di aiuti fino al 2032.
Sul vertice – bbc.com, ispionline.it, politico.eu

Thailandia a rischio ingovernabilità

Alle elezioni di maggio, il giovane partito Move Forward aveva ottenuto il maggior numero di seggi. Il suo leader, Pita Limjaroenrat, non ha però ottenuto abbastanza voti parlamentari per formare un governo, giovedì scorso. Con 324 voti ricevuti sui 376 necessari, si passerà ora a un nuovo turno di votazioni.
Move Forward ha promesso riforme strutturali in settori come la difesa, l’economia e la distribuzione del potere, con la volontà di modificare anche l’articolo 112 del codice penale, una rigorosa legge sulla lesa maestà. Proprio quest’ultimo punto ha spinto i parlamentari conservatori a non votarlo. Il partito dovrà convincere alcuni dei 250 membri non eletti del Senato, nominati dai militari in base a una costituzione scritta dopo un colpo di Stato.

Move Forward e il suo leader hanno inoltre ricevuto due denunce: una di queste accusa l’uomo di aver violato la legge elettorale per la presunta partecipazione azionaria in una società di media.

Per protesta, Limjaroenrat ha raccolto sostenitori da tutto il Paese, che si sono radunati a Bangkok.
La nuova votazione si terrà giovedì prossimo e sono già stati calendarizzati due ulteriori turni. La situazione di stallo politico potrebbe però incrinare la coalizione o provocare un’ondata di manifestazioni in tutto il Paese.
È da almeno due decenni che la Thailandia vive una tensione irrisolvibile tra i partiti riformisti, che vincono le elezioni, e un establishment militare intenzionato a reprimerli con cavilli legali o con colpi di Stato.
Sulla Thailandia – cnbc.com, reuters.com e ispionline.it


Argyros Singh


Ti siamo davvero riconoscenti per il tempo che ci hai dedicato. Se sei stat* bene in nostra compagnia, che ne dici di iscriverti alla NEWSLETTER SETTIMANALE per restare sempre aggiornat* sui nostri argomenti? Oppure potresti offrirci UN CAFFÈ o sostenerci acquistando i GADGET ispirati ai nostri libri. Te ne saremmo davvero grati!
Oppure potresti lasciarci un commento per farci sapere che ne pensi di questo articolo, il tuo feedback è davvero importante per noi.
NB: Gli autori non sono responsabili per quanto pubblicato dai lettori nei commenti ad ogni post. Tuttavia, verranno cancellati i commenti ritenuti offensivi o lesivi della immagine o della onorabilità di terzi, razzisti, sessisti, spam o che contengano dati personali non conformi al rispetto delle norme sulla Privacy e, in ogni caso, ritenuti inadatti a insindacabile giudizio degli autori stessi.

About Gli Scrittori della Porta Accanto

Il webmagazine degli scrittori indipendenti.
0 commenti

Posta un commento

<< ARTICOLO SUCCESSIVO
Post più recente
ARTICOLO PRECEDENTE >>
Post più vecchio
Home page

Parole chiave


Pubblicità
Abbonamento Audible Amazon




Libri in evidenza