
Cinema Di Elena Genero Santoro. Dove osano le cicogne e Joy, due film sulla fecondazione assistita disponibili su Netflix: una commedia sulla maternità surrogata e un biopic sulla sperimentazione pionieristica che ha portato alla prima bambina concepita in vitro.
Angelo Pintus e la moglie Michela hanno penato a lungo per mettere al mondo il figlio Rafael con l’aiuto della fecondazione assistita. Da questa esperienza complessa e impegnativa, senz’altro dolorosa anche se conclusasi con un lieto fine, è nato il film Dove osano le cicogne – disponibile in abbonamento su Netflix – in cui Angelo Pintus, che non si è neppure cambiato il nome, porta in scena una storia di procreazione difficile. Lui e la moglie "fittizia" Marta non riescono a concepire per vie naturali, in parte per l’età, ma soprattutto perché lei soffre di una forma invasiva di endometriosi. Così, consigliati dall’amico Andrea, si rivolgono a una clinica privata spagnola dove viene proposta loro la maternità surrogata.![]() Dove osano le cicogne e Joy: due film sulla fecondazione assistita Dove osano le cicogneREGIA Fausto BrizziSCENEGGIATURA Gianluca Belardi, Fausto Brizzi, Herbert Simone Paragnani, Angelo Pintus PRODUZIONE | PRODUTTORE PiperFilm, Lovit, Netflix Studios, Tramp Ltd. DISTRIBUZIONE PiperFilm MUSICHE Andrea Bonini FOTOGRAFIA Marcello Montarsi ANNO 2025 CAST Angelo Pintus, Marta Zoboli, Beatrice Arnera, Andrea Perroni, Tullio Solenghi, Maria Amelia Monti, Imma Piro, Antonio Catania |
C’è una volontaria, Luz, che, pur di trasferirsi in Italia, metterà al mondo, “in forma gratuita”, l’embrione concepito in vitro e biologicamente figlio di Angelo e Marta.
Pur sapendo di violare la legge (la maternità surrogata in Italia è un reato universale), Angelo e Marta accettano. Il concepimento va a buon fine e la coppia torna a casa portandosi dietro Luz. Da quel momento Angelo e Marta devono mettere in atto mille strategie per garantire il parto senza destare sospetti; fingono la gravidanza di Marta comprando protesi di silicone, mentono a tutti, anche al padre di Marta, un carabiniere in pensione sospettoso e pignolo che ricorda Robert De Niro quando si accanisce con Ben Stiller in Ti presento i miei.La commedia ha un ritmo serrato, tante gag e un tono leggero.
Si ride molto mentre un paio di concetti traspaiono in controluce: avere un figlio per vie non naturali (e in questo caso pure illegali) è un affare costosissimo, infatti i Pintus iniziano a tirare fuori migliaia di euro da quando Luz sale in aereo e pretende la prima classe e continuano fino a corrompere la Doula (Maria Amelia Monti) incaricata di seguire il parto.E poi, che avere un figlio è un desiderio talmente potente e doloroso da far passare sopra ogni scrupolo morale e legale.
Si arriva a un finale molto più politicamente corretto di quanto atteso, ma balzando tra mille situazioni contorte, battute al vetriolo e qualche colpo di scena. Alla fine il ritmo del film la fa da padrone e l’ora e mezza di pellicola si fa bere come gazzosa.
Rimane la domanda: cosa sareste disposti a fare per avere un figlio? Anche a violare la legge?
I Pintus del film non prendono nemmeno in considerazione altre forme di genitorialità, l’adozione, l’affido; il desiderio struggente che li consuma è quello di avere un bambino tutto loro.Oggi ci domandiamo se la gestazione per altri sia moralmente accettabile o meno, se sia il reato universale che lo stato italiano cerca di combattere in ogni modo o se, sotto certe condizioni, possa essere anche un gesto di solidarietà o di amore. Siamo tutti d’accordo che se parliamo di posti come l’India, dove le donne partoriscono figli per altri nove volte in nove anni per morire di consunzione prima di arrivare ai trent’anni, stiamo parlando di sfruttamento, abominio e messa al mondo di neonati a fini di lucro. Ma le situazioni intermedie sono tantissime. La prima volta che ho letto, tanti anni fa e in tempi non sospetti, di una nonna che partoriva il nipote per la figlia e il genero, forse in America, ho pensato che fosse una cosa bella. Che io per mia sorella un figlio lo avrei fatto, se fossi stata nelle condizioni fisiche adeguate.
Quindi il dibattito è tutto meno che chiuso.
Più la scienza va avanti, più si aprono possibilità e più le domande di cosa sia lecito fare si infittiscono.In realtà, forme di maternità surrogata ante litteram sono sempre esistite. È sempre accaduto che, se la “signora” di casa non riusciva a concepire, il padrone mettesse incinta una servetta e si tenesse il bambino. E chissà se la servetta era consenziente.
Poi però è stata inventata la fecondazione in vitro e anche le modalità di concepimento si sono evolute.
Il secondo film che mi è capitato di guardare di recente è Joy, che a dispetto del nome, gioia, ha un tono tristissimo.
Louise Joy Brown, nata nel 1978, è la prima bambina concepita in provetta nel Regno Unito. Prima di arrivare a lei, due medici e un’infermiera hanno sperimentato per almeno tre lustri, con errori, speranze infrante, pochi finanziamenti, opinione pubblica contraria, chiesa ostile.Loro erano Robert Geoffrey Edwards, Patrick Steptoe e Jean Purdy e Joy racconta la loro storia, specialmente quella di Jean Purdy, che come infermiera non aveva titoli ufficiali per ricevere dei riconoscimenti accademici, ma che ha avuto dei tributi postumi.
Joy – disponibile in abbonamento su Netflix – inizia negli anni sessanta, con un giovane ed entusiasta Edwards che assume Jean Purdy come assistente e coinvolge l’anziano Steptoe, ginecologo pioniere della laparoscopia, nella sua sperimentazione. Sappiamo che la storia finisce in gloria, che Edwards ricevette il nobel nel 2010 per il suo contributo alla medicina, e solo lui perché era l’unico ancora in vita, e che grazie al lavoro dei tre sperimentatori sono nati milioni di bambini che diversamente non avrebbero mai visto la luce, ma il film Joy narra gli anni precedenti, quelli in cui non vi era certezza del risultato, quelli fatti di cadute, di sogni infranti, di fallimenti, di voglia di arrendersi.
![]() Dove osano le cicogne e Joy: due film sulla fecondazione assistita JoyREGIA Ben TaylorSOGGETTO Rachel Mason, Jack Thorne, Emma Gordon, Shaun Topp PRODUZIONE | PRODUTTORE Pathé, Pathe UK, Wildgaze Films DISTRIBUZIONE Netflix MUSICHE Steven Price FOTOGRAFIA Jamie Cairney ANNO 2024 CAST Thomasin McKenzie, James Norton e Bill Nighy |
Joy narra soprattutto la storia di Jean Purdy, dei suoi scrupoli morali.
Lei era cristiana, appartiene alla comunità che ruota intorno alla chiesa, sua madre è molto devota e la allontana quando lei inizia a sperimentare sugli embrioni. Gli amici le voltano le spalle, il prete le dice che può tornare se si pente. Ma lei non vuole pentirsi. Jean Purdy rimane sola, prosegue la sua attività anche se alcune cose non le piacciono: i suoi colleghi praticano pure gli aborti e per lei, cristiana, non è una bella cosa, il dubbio di coscienza la attanaglia, ma va avanti. Rimane, con una missione: aiutare le donne che desiderano un figlio e che non possono averlo. Lo fa anche perché sa di non poter diventare madre: soffre di una grave forma di endometriosi e non concepirà mai.Jean Purdy si impegna per le altre, perché quelle come lei possano realizzare il loro sogno.
Non solo svolge il lavoro pratico con gli embrioni, ma anche quello umano con le aspiranti mamme. Le accompagna, rende il loro percorso meno gravoso, le sorregge mentre deve distruggere le loro speranze perché gli esiti delle terapie non sono quelli attesi o perché il bambino che portano in grembo non nascerà.Jean Purdy, la cui storia è diventata nota solo di recente, si è immolata per le donne, per la fecondazione in vitro, per la scienza. Ha donato la sua vita, con molto amore. Morirà a soli trentanove anni per un cancro, dopo aver lasciato un segno indelebile nella storia della maternità assistita.
Elena Genero Santoro |
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