Gli scrittori della porta accanto

"L'anno della grande nevicata" di Gianni Lorenzi



Gianni Lorenzi

Gianni Lorenzi è nato in Svizzera nel 1969, è cresciuto a Valdastico e da 15 anni vive a Sovizzo. Laureato in Lettere all'università di Padova con il poeta vicentino Fernando Bandini, ha lavorato in varie aziende come copy-writer, responsabile marketing e sales manager.
L'anno della grande nevicata, pubblicato nel novembre 2014 dall'editore David & Matthaus, è il suo primo romanzo.


Collaboratore recensioni



I MIEI LIBRI
Titolo:  L'ANNO DELLA GRANDE NEVICATA
Editore:  David & Matthaus
Genere: Romanzo
ISBN: 978-88-98899-85-2
Indice di gradimento Amazon: ★★★★★ 5/5                  


Costo Cartaceo: 15,90 €



Stefano Papini, responsabile marketing presso una grande azienda: una vita “normale”, a tratti noiosa, la solita sera dopo-lavoro al solito bar. Sembra una normale serata come le altre, quando la sua attenzione viene attirata da una suoneria di cellulare uguale alla sua. A rispondere a quel telefono è una donna, nella quale Stefano riconosce Simona, ex compagna delle superiori. Il tempo di alzarsi per ridurre la distanza che li separa, e la donna si dilegua verso l’uscita, facendo perdere in un istante le proprie tracce. Il giorno seguente, in ufficio, lo attende una sorpresa: il direttore generale lo convoca, presentandogli la nuova responsabile delle relazioni esterne, di nuovo “lei”, la donna del bar, la sua ex compagna di scuola, la quale finge di non riconoscerlo. Da qui in poi si intreccia una trama sentimentale che assume, in un secondo tempo, le sembianze di un giallo. Ma proseguendo nella lettura ci si accorge che il protagonista della vicenda è quasi una comparsa, mentre il narratore diventa personaggio principale, intento a elucubrare congetture e teorie, postillando mordacemente impressioni e pensieri.

Una scrittura creativa, che guarnisce, pagina dopo pagina, l’intero racconto, divertendo, intrattenendo e appassionando il lettore. Un romanzo ricco di invenzioni, ironico, commovente e difforme dai soliti componimenti narrativi. Una sorta di viaggio emozionale dove l’autore ci guida con eleganza in tutte le direzioni possibili. Un girotondo di trame, intrighi, riflessioni, sentimenti, scenografie da assimilare, da afferrare e conoscere. 

Una trama che inizia in maniera misteriosa e si sviluppa procedendo su due piani paralleli: da un lato la semplice storia, svelata progressivamente al lettore con pochi dettagli isolati, dall'altro l'interpretazione soggettiva e inverosimile del protagonista. Nel mezzo il narratore si diverte a sospendere la finzione del racconto, entra in scena, si sostituisce al protagonista, coinvolge e sorprende il lettore instaurando con lui una complicità che a tratti pare spingersi fino alla presa in giro. 
Una proposta di lettura diversa dal consueto. Non si tratta infatti di un romanzo di genere, ma di un testo difficilmente classificabile nelle categorie della narrativa contemporanea. Ci troviamo di fronte a una scrittura originale e ricca di invenzioni, che intende divertire e nel contempo commuovere e far riflettere. Ma per chi sa soffermarsi tra le righe, il romanzo si rivela essere un invito a mettersi in discussione, a non lasciarsi ingannare dalle apparenze, a non lasciarsi sopraffare dagli automatismi del pensiero e dell'agire. Spinge il lettore a riflettere sui casi della vita e sul destino dell'uomo, un destino che si rivela nei minimi accadimenti quotidiani.
È quindi una lettura da consigliare a quei lettori che non cercano un romanzo di genere, né una pura occasione di intrattenimento, e soprattutto a tutti coloro che trovano nell'ironia un punto di vista privilegiato dal quale osservare il mistero quotidiano dell'esistenza.





1.
"Fate vobis"

Leggere un libro è sempre un'incognita per me. Non ho idea se a voi succeda lo stesso ma io mi ritrovo davanti le copertine e scelgo la mento brutta o la più carina dipende dal bicchiere che hai in mano: da come lo guardi o da quanti te ne sei scolati. Vado alla ricerca di nomi sconosciuti e di libri corti perché sono un dannato pigro. Odio i mattoni, evito accuratamente i blasonati o presunti tali e preferisco leggere qualcosa che penso possa essere "sconosciuto". Poi capita che invece sono a casa e mi viene chiesto di fare la recensione per un certo Gianni Lorenzi che di conosciuto ha soltanto lo stesso nome del ignaro tizio che si ostinava a chiamare Tonino Guerra sentendosi rispondere che "l'ottimismo è il profumo della vita...l'ottimismo vola!!"...chissà quante grattate il povero Gianni. Lui non il nostro, perché il nostro,di ottimismo, deve averne assolutamente data la qualità del suo primo romanzo. Volete leggere sorridendo? "L'anno della grande nevicata!" Volete sentirvi degli investigatori? "L'anno della grande nevicata!" Volete un emergente che sappia scrivere BENE e che sappia guidarvi sapientemente fra latinismi; gerghi aziendali, psiche - psichiatrico e psicologico, senza farvi sentire dei cretini? "L'anno della grande nevicata". A questo punto eviterei di ripetere il titolo dell'opera ma terrei a precisare alcune piccole cose che molti spesso tralasciano quando leggono un romanzo: 1) Il personaggio principale è REALE. Nel senso che è descritto così minuziosamente da fartelo mancare ogni sera che chiudi il libro per andare a dormire 2) Lo stile è particolare, coinvolgente e udite udite...FRESCO 3) Il lettore è al centro del romanzo...quasi il romanzo si interessa a lui! Gianni è riuscito con l'abilità di un veterano a tenere alto il mio interesse per tutta la lettura e questo a parere mio è un motivo più che valido per riconoscere un grande merito all'autore! Se non bastasse questo vi dico che, con un fare colto ma mai saccente è riuscito a farmi passare delle piacevoli serate in compagnia del suo Stefano, di Monica, Patrizia e Galbusera, lasciandomi col dubbio di aver letto un giallo, un romanzo di narrativa o un romanzo rosa. Se avete voglia di togliermi questo dubbio acquistate il libro e scrivetemi..oppure scrivete a lui...
di Emiliano Gambelli

2.
“La sua ricercatezza nel parlare affabula la mente”.

Il vero protagonista di questa storia è il narratore onnisciente. Più di una volta “rompe la quarta parte” rivolgendosi direttamente al lettore, come quando richiama l’attenzione dei lettori pigri, invitandoli a riconoscere l’ironia che a volte riserva il destino e non ricercarla in una frase appena pronunciata da uno dei protagonisti, oppure quando vuole premiare la loro cieca e irrazionale pervicacia nel seguire gli sviluppi della trama. Difficile identificare questo romanzo in un genere solo, lo stesso narratore gioca su quest’aspetto definendolo in molteplici modi: “un romanzo di cassetta, un romanzo di avventura, un romanzo d’appendice (un feuilleton), un romanzo psicologico, un libro di stile post – moderno, un romanzo giallo, un romanzo storico e ecc.”.
Il narratore scherza con i suoi interlocutori, riassumendo spesso delle parti che ritiene poco importanti: “Per fortuna non abbiamo l’obbligo di trasporre fedelmente le parole del nostro protagonista, trovandoci a scrivere un semplice romanzo”. Più in là scopriremo che il narratore si differenzia dall’autore, prendendone le distanze in questo breve passo: “Ecco riapparire in scena e non, come poco fa, nel solito inopportuno commento dell’autore, il destino”. Lo possiamo, quindi, definirlo il vero protagonista e la cosa mi ha piacevolmente colto di sorpresa.
Un’altra figura che ha ottenuto le mie simpatie è una segretaria, identificata inizialmente solo con l’appellativo di “segretaria di Solagna”, una signorina dolce e composta, si chiama Deborah ma per scelta del narratore e per non appesantire il romanzo, il suo nome sarà menzionato sempre meno. L’interesse verso questo personaggio scatta nell’osservarla nei normali compiti d’ufficio, in cui è parecchio ingessata, e ritrovarla poi in un bar che precipita improvvisamente in un lessico triviale spiazzante, diventando una versione femminile del dottor Jekyll e Mr. Hyde.
In definitiva un testo ricco di episodi ben sviscerati per tutti i 23 capitoli.
di Nwanda

3.
Molto piacevole.

A volte accade di ritrovarsi tra le mani un libro che stupisce, che esce fuori dai soliti canoni, è capitato a me con “L’anno della grande nevicata” e si tratta di un… giallo? Sì, o forse no. Insomma, non saprei dirlo, ma l’ho letto in un lampo, è talmente ben scritto che mai o poi mai avrei immaginato che l’autore potesse essere un esordiente.
L’autore, Gianni Lorenzi, si è cimentato in una forma di letteratura sperimentale che sfugge alle normali classificazioni, ragion per cui è impossibile ascriverlo a un genere ben preciso. La storia è incentrata su Stefano, un personaggio che sembra scelto a caso in un bar, responsabile marketing di un’azienda e felicemente fidanzato, che una sera incontra una sua vecchia compagna di scuola: Simona. Lorenzi gli fornisce prima dei connotati per poi andare indietro nel tempo e iniziare la sua storia, non a caso parte con il capitolo zero. Fin dal primo momento il nostro eroe si ritrova protagonista di strani accadimenti sui quali il suo risvegliato interesse per la non certo bella, ma a suo modo affascinante, Simona lo porta ad arrovellarsi prima e a indagare dopo. Il narratore è onnisciente e interviene spesso, per delucidarci o semplicemente elargirci qualche dotta dissertazione, per poi riprendere subito il filo della narrazione, così come potrebbe fare un nonno un po’ svagato che racconta una favola ai nipotini. Discetta, celia, elucubra, disquisisce di latino e filosofia con garbo e impeccabile proprietà di linguaggio senza andare mai prevalere sull’essenza della narrazione, è lui stesso a fare un passo indietro quando si accorge di star divagando troppo. A volte mi è sorto il dubbio che voglia prendere un po’ in giro il lettore, ma in maniera benevola, scherzosa e arguta. Il Lorenzi è un affabulatore nato, gioca con i pensieri con un linguaggio elegante e aggraziato catturando la totale attenzione del lettore, ma questo non deve far pensare che sia solo un’opera di puro intrattenimento, giacché dalle righe deliziosamente ironiche emergono percorsi mentali tanto fantasiosi quanto ricorrenti in chi non riesce ad accettare passivamente notizie spiacevoli. Proprio per questo il substrato è un piccolo gioiello psicologico, oltre che narrativo, questo l’ho già detto?, in questa sorta di thriller in cui la vittima, o pseudo tale, non si trova e quindi il crimine è tutto da dimostrare. I personaggi di contorno contribuiscono a calare un velo di mistero: Patrizia, la fidanzata, sembra disinteressarsi a lui, favorendo l’insorgere di dubbi in Stefano. Il suo capo e gli amici restano volutamente a margine della storia come per sgombrargli la strada verso la verità. Il manager è libero di congetturare ai limiti dell’inverosimile a suo piacimento senza mai annoiare, tutt’altro. Alla fine non è ben chiaro chi sia il vero protagonista, se Stefano Papini o Gianni Lorenzi, ma di sicuro “L’anno della grande nevicata” è un romanzo che merita di essere letto, soprattutto dagli aspiranti scrittori che possono trovare nuovi e interessanti spunti, sia per quanto riguarda il registro linguistico sia per gli intrecci narrativi.
di pia Barletta

4.
L'allegra e malinconica patologia della confusione.

Stefano, il protagonista, una sorta di Zeno Cosini contemporaneo che vive una relazione senza entusiasmi con Patrizia, alloggia nel proprio caos interiore tra momenti di dolente ironia e sprazzi di impagabile comicità. Non è un avventuriero, Stefano, chiuso com’è nell’ambiente del suo ufficio, ma l’avventura lo coinvolge suo malgrado come la bufera di neve che dà il titolo al romanzo. E se l’avventura ha il nome di una donna, Simona, una vecchia compagna di scuola che riesce ad essere seduttiva pur priva di un aspetto seducente, e se l’avventura ha le contraddizioni delle incerte certezze, e se l'avventura ha risvolti di fantasia o comunque non facilmente decifrabili, ecco che l’intreccio e i personaggi ci coinvolgono, si svelano, ci ingannano in una suspense irresistibile. È un vorticare incessante di personaggi e complicazioni che ha il movimento leggero ma confuso dei fiocchi di neve, è un puzzle composto da tessere invitanti ma allo stesso tempo amare come i frammenti della fotografia lasciati sul bancone di un bar. Coincidenze, casualità, gelosie, dubbi, sospetti sono il filo rosso di una misteriosa femminilità che gioca, che confonde, che avvince il Protagonista, l’Autore e il Lettore in una Fabula che è rete di identità incerte, in un divertimento condotto con sapienza sterniana verso l’esito finale: l’Autore e il Lettore, alla fine, si fermeranno “di fianco a un lampione” e lasceranno “che Stefano Papini si allontani, che si addentri nella progressiva riduzione prospettica, divenendo sempre più piccolo e fievole fino a scomparire nell’oscurità di questa fredda notte invernale, mentre la neve cade sempre più fitta e forse domani sarà tutto bianco…”
Gianni Lorenzi ha saputo ridare vita e modernità all’omino che si allontana in campo lungo come uno Charlot redivivo, e ha saputo farlo con un’estrema padronanza degli strumenti narrativi. La sua scrittura accurata, la sua vivacità espressiva, i suoi abili ammiccamenti al Lettore, sono la prova, ancora una volta, che per accettare le nostre debolezze e la nostra incapacità di vivere, abbiamo bisogno di leggerle in qualche personaggio lontano e vicino: uno Stefano Papini irresoluto che si allontana tra fiocchi di neve.
di Nadia Bertolani

5.
L'apparenza ingannevole delle cose.

Un romanzo di difficile catalogazione (e questo - in tempi di omologazione obbligata - è già un pregio), che sembra quello che poi in realtà non è, illudendo e ammiccando al lettore con un linguaggio colto, originale e sempre gradevole. Forse un giallo, magari solo una storia sentimentale: una narrazione onirica che invita a mettersi in discussione, a non accettare le cose per come si mostrano in apparenza. Un'esortazione accorata a meditare sui fatti della vita e l'aleatorietà dei suoi accadimenti. Su tutto prevale lo sguardo attento e sornione dell'autore, che alterna una soffusa malinconia alla sagace ironia quale unico strumento per vedere con occhi nuovi il mistero quotidiano del vivere.
di Anubis

6.
Quotidianità e mondi possibili.

Mi è piaciuto molto come l'autore conduce il lettore come se stesse giocando con uno di quei cubi di Rubik. Come conversa con il personaggio principale come se lui, il personaggio e il lettore fossero in piedi su diverse piattaforme galleggianti...la sensazione di vagare tra tanti mondi possibili accompagnati per mano. Mai lasciati totalmente allo sbando, però incuriositi senz'altro. Adoro il lagavulin e voglio conoscere lo zio Vittorio.
di Claudia S.

7.
Regina incontrastata di questo romanzo è l'ironia, sempre presente nelle vicende dell'improbabile protagonista e nelle peripezie lessicali del maldestro narratore. Si sorride molto e si riflette, seguendo una trama originale e ingarbugliata ad arte, che sta in piedi per miracolo ma spinge a voltare le pagine una dopo l'altra, fino alla fine. Complimenti vivissimi!
di Silvano Spaziani

8.
L'anno della grande nevicata' sfugge volontariamente a una classificazione precisa e si colloca nel solco della letteratura sperimentale, atta a destrutturare, frammentare e ricomporre, in una parola "giocare" con la forma romanzo. Non vi fidate della sinossi, perché riassumere le vicende del protagonista senza inquadrarle nell'ottica narrativa adottata dall'autore rischierebbe di farle apparire banali. Tali, invece, non sono: bastano pochi ingredienti per fare di questo romanzo un ottimo piatto agrodolce, con sapori e sfumature diversi fra loro, niente affatto insipidi. È un'opera impeccabile sotto tutti i punti di vista: linguistico, narrativo, stilistico e tematico. Un'esperienza di lettura consigliatissima a chiunque voglia confrontarsi con un piccolo gioiello innovativo ed estraneo alle dinamiche preconfezionate dei romanzi di genere.
di Iaia

9.
L'anno della grande nevicata" è un romanzo che parla d'amore, ma anche un giallo, un saggio che induce a riflessioni non scontate. Qualunque sia il genere, al di là di ogni classificazione letteraria, è davvero un bel libro, soave in modo intelligente. Parla di curiosi incontri con il passato, con il presente, con i sogni del protagonista, appartenenti a un futuro che si può intravedere rimanendogli a fianco, pagina dopo pagina, seguendo le sue azioni e condividendone i pensieri. Difficile staccarsene, perché l'abilità del narratore è tale da coinvolgere il lettore con equilibrio, naturalezza, portandogli un pudico rispetto. Con questo stile originale si può, davvero, scrivere e leggere di tutto: delle fantasie nascoste, delle elucubrazioni mentali che crediamo appartenere solo a noi stessi e che sono proprie - qui, oltre a scoprirlo, ne siamo rassicurati - di ogni uomo. Gianni Lorenzi, che scrive davvero bene, riesce a darci tutto questo con un tono sempre garbato, a tratti velatamente ironico, in altri amabilmente malinconico, alternando con leggerezza la citazione dotta alle descrizioni del vivere quotidiano in cui tutti ci riconosciamo. Un bel gioco di equilibri, possibile grazie all'intelligenza dell'anima dell'autore.
di Toldo

10.
Per una volta vorrei partire dalla fine, ossia dal mio invito a tutti voi a leggere il libro per la forza persuasiva con la quale mi ha indotto a non smettere di leggerlo tutto d’un fiato e manterrò il segreto sui nodi della storia che verranno sciolti solo al termine di questo percorso narrato con indubitabile garbo e prodigiosa sapienza espressiva. C’è un gioco musicale sottile, in queste pagine eleganti, tracciato sulla sottile linea d’equilibrio tra la malinconia accorata del sax o della tromba di un blues e le note danzanti d’un tango triste o di una sensuale milonga di Piazzolla e la pungente ironia, un poco disincantata,dal dolce-amaro retrogusto del jazz,come filo conduttore sotterraneo di questa opera di Gianni Lorenzi. Tutto il percorso si snoda come in un cerchio predestinato ma ignoto al protagonista, tra l’immagine di partenza e quella finale, immerse nei fiocchi di neve che, vorticando silenziosi, danno lo spunto al titolo del libro. Dall’inquadratura iniziale il film della narrazione risale a ritroso l’intera vicenda, talvolta devia per carrellate d’ambiente e digressioni in prima persona dell’Io narrante che, con tenerezza ed insieme comprensione umana, si affianca alle giornate piene di imprevisti e di pensieri del protagonista. I dubbi di Stefano, sul suo ambiente lavorativo, le sue elucubrazioni solitarie sulle donne che lì incontra e con cui , in realtà, scambia ben poche parole, e tanto meno si apre, la frammentarietà della sua visione stessa di una possibile compagna che assembla con parti o tratti dell’una e dell’altra donna che occupano i suoi pensieri, ci riconducono, per assonanza, ai frammenti della fotografia sul bancone sui quali le prime pagine zoomano rapidamente e delineano, le sue personali interpretazioni della realtà che presto scopriremo ben lontane dal vero. Proprio questa incapacità di leggere i particolari non detti, i messaggi del corpo degli altri, la desolata solitudine in cui vive le giornate ritmate dai suoi contatti accennati a chi gli lavora accanto, come la collega Patrizia o Tania, sono i prodromi di quello che si rivelerà una sorta di accidia accennata, un desiderio inappagato di immergersi nella vita vera, a costo magari di sconfitte e di dolore, ma anche di gioia e di passione. Ci rivelerà quel suo fermarsi sulla soglia della decisione, per l’analisi di troppe varianti teoriche, del passo da compiere: quel suo attendere, attendere troppo. Perché la vita non aspetta, le occasioni ci sfiorano e passano accanto e occorre essere pronti a mettersi in gioco anche a rischio di perdere: perché la vita è un gioco il cui unico sicuro perdente è colui che troppo temporeggia senza tuffarsi nel suo corso impetuoso, pur soppesando il rischio di annegarvi. Il caso o gli altrui disegni ci danno chances che occorre saper interpretare, segni che aprono strade nuove ed inaspettate. Stefano riflette, teme, controlla, indaga, crede di riuscire a tutto comprendere e dirigere con la sua mente, ma tutto puà avere altre sfaccettature che egli potrebbe non aver colto: nella sua accentuata cerebralità crede di poter gestire gli eventi, pianificarli, organizzarli. Ma è la Vita che gioca a dadi con i nostri sogni e i nostri progetti e a noi non resta che muoverci sulla scacchiera dei nostri passi tra i movimenti possibili cui siamo pronti per indole. O forse meglio sarebbe essere capaci di danzarla la Vita, sotto una pioggia di fiocchi di neve, leggeri come loro, al ritmo d’una milonga triste o di un jazz d’annata.
di flameonair.wordpress.com

11.
Il protagonista di questo romanzo si chiama Stefano e si occupa, nell'azienda per cui lavora, di marketing. Durante una giornata come tante, alla fine delle ore di lavoro, si reca al solito bar dove ad un certo punto un cellulare si mette a suonare e siccome la suoneria e simile a quella di Stefano, quest'ultimo drizza le orecchie in direzione del telefonino che squilla e scopre che la donna che rispone è una sua ex compagna di scuola di nome Simona. Stefano si muove tardi in direzione di quest'ultima e la perde nella folla, ma la incontrerà novamente il giorno successivo, quando scopre che in ufficio è stato assunta una nuova impiegata, che risulta essere proprio questa sua ex compagna. Da quel momento in poi il lettore si troverà immerso in un'avvventura dalle tinte gialle e thriller commiste ad altri generi e creando un romanzo che è un mix unico.
È soprattutto quest'ultimo elemento, e cioè il fatto di essere un romanzo difficilmente inquadrabile e definibile tramite uno o più generi, che lo caratterizza e distingue da molte letture simile che giocano sulla sperimentazione narrativa e che muovono tra generi molto diversi tra loro, con uno stile particolare e fluido e una trama che si muove e gioca con tasselli slegati tra loro cercando di crearne un puzzle unico.
La cosa che maggiormente salta all'occhio del lettore è la presenza costante e prepotente dello scrittore, che interferisce sempre nella storia - che man mano muove dal giallo all'esistenzialista - che non crea propriamente dei personaggi che abbiano una loro autonomia sulla carta, quanto piuttosto li usa per esprimere le sue opioni o i suoi punti di vista in merito alla vicenda ovvero ancora su consideraizioni e pensieri.
Come vi dicevo poca sopra è molto difficile riassumere in un breve spazio e con un numero di parole adeguate le vicende dei protagonista, che in realtà sono solo strumento nelle mani dello scrittore per comunicare, mediante una vicenda studiata e meditata (si vede), con i lettori consegnando loro una lettura certamente interessante, ma anche decisamente peculiare, soprattutto per coloro che sono poco avvezzi a questo stile, alla contaminazione di generi, al gioco di intenzioni letterarie che pescano nel passato per creare una scrittura tutta nuova, che sia anche viaggio ed esperienza che chi legge e cerca qualcosa di diverso.
È un romanzo che non mi è dispiaciuto per il viaggio che compie e fa compiere, per il linguaggio e lo stile che lo contraddistingue (è ciò che più mi ha copito) ma che talvolta non mi ha fatto apprezzare del tutto per come l'autore si imponga troppo verso i suoi personaggi, come li manovri troppo evidentemente e questi risultino più burattini che individui nella cui vita risulti piacevole immergersi dimenticanodo tutto il contorno che circonda normalmente un romanzo.
Certo è un'opera più complessa di quella che portebbe apparire all'inizio, questo mi preme più che altro farvi trasparire, ci sono tematiche complesse che sondano l'eistenzialismo, che aprono finestre sul metafisico e che conducono su sentieri della riflessione sulla propria persona, sulla razionalità dell'individuo e in un certo senso si inerpica sulle questioni della ricerca di se stessi, quindi occhio a non aspettarvi una storia puramente gialla e thriller!
di bostonianlibrary.blogspot.it




LETTO E RECENSITO



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2 commenti
  1. Leggere un libro è sempre un'incognita per me. Non ho idea se a voi succeda lo stesso ma io mi ritrovo davanti le copertine e scelgo la mento brutta o la più carina dipende dal bicchiere che hai in mano: da come lo guardi o da quanti te ne sei scolati. Vado alla ricerca di nomi sconosciuti e di libri corti perché sono un dannato pigro. Odio i mattoni, evito accuratamente i blasonati o presunti tali e preferisco leggere qualcosa che penso possa essere "sconosciuto". Poi capita che invece sono a casa e mi viene chiesto di fare la recensione per un certo Gianni Lorenzi che di conosciuto ha soltanto lo stesso nome del ignaro tizio che si ostinava a chiamare Tonino Guerra sentendosi rispondere che "l'ottimismo è il profumo della vita...l'ottimismo vola!!"...chissà quante grattate il povero Gianni. Lui non il nostro, perché il nostro,di ottimismo, deve averne assolutamente data la qualità del suo primo romanzo. Volete leggere sorridendo? "L'anno della grande nevicata!" Volete sentirvi degli investigatori? "L'anno della grande nevicata!" Volete un emergente che sappia scrivere BENE e che sappia guidarvi sapientemente fra latinismi; gerghi aziendali, psiche - psichiatrico e psicologico, senza farvi sentire dei cretini? "L'anno della grande nevicata". A questo punto eviterei di ripetere il titolo dell'opera ma terrei a precisare alcune piccole cose che molti spesso tralasciano quando leggono un romanzo: 1) Il personaggio principale è REALE. Nel senso che è descritto così minuziosamente da fartelo mancare ogni sera che chiudi il libro per andare a dormire 2) Lo stile è particolare, coinvolgente e udite udite...FRESCO 3) Il lettore è al centro del romanzo...quasi il romanzo si interessa a lui! Gianni è riuscito con l'abilità di un veterano a tenere alto il mio interesse per tutta la lettura e questo a parere mio è un motivo più che valido per riconoscere un grande merito all'autore! Se non bastasse questo vi dico che, con un fare colto ma mai saccente è riuscito a farmi passare delle piacevoli serate in compagnia del suo Stefano, di Monica, Patrizia e Galbusera, lasciandomi col dubbio di aver letto un giallo, un romanzo di narrativa o un romanzo rosa. Se avete voglia di togliermi questo dubbio acquistate il libro e scrivetemi..oppure scrivete a lui..."Fate vobis"

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  2. “La sua ricercatezza nel parlare affabula la mente”.
    Il vero protagonista di questa storia è il narratore onnisciente. Più di una volta “rompe la quarta parte” rivolgendosi direttamente al lettore, come quando richiama l’attenzione dei lettori pigri, invitandoli a riconoscere l’ironia che a volte riserva il destino e non ricercarla in una frase appena pronunciata da uno dei protagonisti, oppure quando vuole premiare la loro cieca e irrazionale pervicacia nel seguire gli sviluppi della trama. Difficile identificare questo romanzo in un genere solo, lo stesso narratore gioca su quest’aspetto definendolo in molteplici modi: “un romanzo di cassetta, un romanzo di avventura, un romanzo d’appendice (un feuilleton), un romanzo psicologico, un libro di stile post – moderno, un romanzo giallo, un romanzo storico e ecc.”.
    Il narratore scherza con i suoi interlocutori, riassumendo spesso delle parti che ritiene poco importanti: “Per fortuna non abbiamo l’obbligo di trasporre fedelmente le parole del nostro protagonista, trovandoci a scrivere un semplice romanzo”. Più in là scopriremo che il narratore si differenzia dall’autore, prendendone le distanze in questo breve passo: “Ecco riapparire in scena e non, come poco fa, nel solito inopportuno commento dell’autore, il destino”. Lo possiamo, quindi, definirlo il vero protagonista e la cosa mi ha piacevolmente colto di sorpresa.
    Un’altra figura che ha ottenuto le mie simpatie è una segretaria, identificata inizialmente solo con l’appellativo di “segretaria di Solagna”, una signorina dolce e composta, si chiama Deborah ma per scelta del narratore e per non appesantire il romanzo, il suo nome sarà menzionato sempre meno. L’interesse verso questo personaggio scatta nell’osservarla nei normali compiti d’ufficio, in cui è parecchio ingessata, e ritrovarla poi in un bar che precipita improvvisamente in un lessico triviale spiazzante, diventando una versione femminile del dottor Jekyll e Mr. Hyde.
    In definitiva un testo ricco di episodi ben sviscerati per tutti i 23 capitoli.

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