Gli scrittori della porta accanto

Inside Out: la recensione









INSIDE OUT

REGIA Pete Docter, Ronaldo Del Carmen
PRODUTTORE Pixar Animation Studios, Walt Disney Pictures
SCENEGGIATURA Josh Cooley, PeteDocter, Meg LeFauve
DISTRIBUZIONE Walt Disney Pictures
MUSICHE Michael Giacchino
ANNO 2015








Cinema | Di Stefania Bergo. Inside Out, le 5 emozioni che formano la personalità: l'ormai collaudato e vincente binomio Disney–Pixar ha di nuovo fatto centro.

Inside Out racconta la storia di Riley, una ragazzina di 11 anni che si trasferisce con la famiglia dal Minnesota a San Francisco e deve affrontare tutte le problematiche legate al cambiamento, in un’età in cui, forse, il cambiamento più importante avviene dentro.
Ed è proprio questa l’idea traino del film: ciò che accade fuori è solo di contorno, perché la realtà dei complicatissimi e meravigliosi anfratti della mente umana è molto più interessante della narrazione di una vicenda ordinaria come un trasloco. Anche se qualcuno imputa alla Disney-Pixar la non originalità della cosa, riferendosi ad un film degli anni novanta… ma questa, credo sia l’unica critica che un intenditore di arte cinematografica possa fare.
E se anche la valenza educativa non è originale (ricordate “Esplorando il corpo umano”?), è comunque innegabilmente notevole: questo geniale film riesce a spiegare ai bambini, con il messaggio immediato e diretto dell’animazione e della personificazione delle emozioni, quali siano i meccanismi del cervello che stanno alla base delle nostre reazioni agli stimoli esterni, come si formi la personalità che ci distingue gli uni dagli altri, in che modo si creino i ricordi e soprattutto perché siano importanti le cinque fondamentali emozioni che governano il nostro cervello. Tutte, persino Tristezza, demonizzata, che all’inizio del film viene confinata in un cerchio...

Apre la narrazione Gioia, la prima emozione che nasce nella mente di un bambino appena venuto al mondo. 

La plancia di comando del nostro quartier generale (il cervello), alla nascita è molto semplice. C’è un unico tasto. L’unica emozione possibile per un neonato è quindi la gioia e ogni ricordo di questi primi momenti (il benessere provato tra le braccia di mamma e papà) avrà quest’imprinting, sarà per sempre associato alla gioia per il semplice fatto che sia stato da lei toccato.
Ma dopo appena trenta secondi, arriva Tristezza, apparentemente un’intrusa scomoda, in realtà fondamentale per gestire i bisogni primari del neonato attraverso il pianto. La plancia si modifica, si amplia, e i meccanismi con cui si associano i ricordi alle emozioni si complicano.
Intervengono: Paura, necessaria per renderci cauti e valutare le situazioni di pericolo; Disgusto, che attraverso l’analisi del colore e dell’odore dei cibi ci impedisce di avvelenarci, e ci preserva anche da un "avvelenamento sociale"; Rabbia, per l’affermazione di sé, la consapevolezza che con un "no" si possa manifestare il proprio disappunto e la ribellione a situazioni valutate per noi negative, come le ingiustizie.



Tutte ugualmente importanti, necessarie, essenziali per la sopravvivenza come individui e come specie. Eppure, nei primi anni di vita, Gioia pare avere il comando del quartier generale, come se un bambino non possa essere altro che contento, felice...
Nel corso degli anni, crescendo, si creano, tra quelli ordinari, dei ricordi base che plasmano la nostra personalità: si creano così delle isole, collegate al quartier generale, che vengono richiamate ogni volta che un nostro comportamento segue determinati meccanismi. Ed ogni isola nasce, in questa prima fase, da un ricordo felice. C’è l’isola Stupidera, che regola il comportamento insensato di quando Riley gioca o fa le facce buffe, l’isola dell’hockey, creata dal primo goal della sua vita, l’isola dell’amicizia, quella dell’immaginazione e quella della famiglia, i primi tasselli della personalità di un bambino, “quello che fa di Riley, Riley!”.

La genialità della Disney - Pixar sta nell’aderenza alla realtà della trasposizione fantastica delle strutture mentali e dei processi cognitivi e formativi dell’individuo. 

Si basa su lunghi periodi di studio e incontri con psicologi dell’infanzia, in modo da comprendere non solo come vengano percepite le emozioni, ma come queste si evolvano al mutare dell'età.
La personificazione delle emozioni, è perfetta fin dall’abbinamento dei colori, oltre ad una grafica eccezionale, dai tratti eterei, puntiformi e traslucidi, che conferisce immaterialità.
Gioia è gialla, longilinea, scalza, leggera e saltellante come una fatina, entusiasta, con due grandi occhi azzurri luminosi. In realtà, è tutta luminosa, avvolta da un alone iridescente che la rende “contagiosa”. Ricorda l’estate. È ottimista, cerca sempre il buono in ogni situazione. Si sente quasi in dovere di disperdere il suo umore ovunque, come se l’essere umano debba essere forzatamente felice. Sempre.
Tristezza è pesante fin dall’aspetto. Blu, piccola, con un maglione di lana a collo alto. Ricorda l’inverno. È sempre stanca, si lascia spesso scivolare a terra, parla con un sospiro affaticato alla fine di ogni frase. Vorrebbe trovare il suo spazio, partecipare, ma le altre emozioni, in particolare Gioia, cercano di confinarla, in un cerchio piccolo piccolo, per minimizzare la sua presenza, come se si volesse scordare la sua esistenza. Che invece si rivela fondamentale. Vitale.
Disgusto è verde broccolo, vestita alla moda. Ha il naso all’insù, lo sguardo di disappunto rivolto al cielo e una perenne espressione delle labbra disgustata, ovviamente, sottolineata da un inequivocabile atteggiamento del corpo adagiato su un fianco, la testa leggermente inclinata, il braccio piegato e il polso flesso. È l’emozione che difende i rudimenti della sopravvivenza, ci aiuta a non avvelenarci con ciò che ingeriamo sulla base degli stimoli sensoriali.
Rabbia è maschile, tarchiato, rosso. Ricorda Carl, il vecchietto di Up, un altro film della Pixar. Burbero, attaccabrighe, istintivo. Quando prende il comando della plancia, gli si infiamma la testa e riesce a tenere lontane tutte le altre emozioni fino a quando non ha esaurito il fuoco. È preposto all’affermazione di sé, all’opposizione a situazioni di disturbo fisico ed emotivo.
Paura è viola, alto, magrissimo. Ricorda un nerd, anche questa è una figura maschile, quindi. Perennemente tremolante, anche nel prendere l’iniziativa. Titubante sul da farsi, con le spalle incurvate. Aiuta Riley fin da piccola a riconoscere le situazioni di pericolo, anche esagerandone la valutazione, a volte, per avere un prezioso margine per la sopravvivenza.
Disgusto, Rabbia e Paura appaiono figure di contorno, quasi fossero relegate all’ipotalamo, a quell’inconscio necessario, involontario, che ci garantisce le funzioni base per la sopravvivenza senza un chiaro riflesso sull’umore. Gioia e Tristezza sono decisamente le protagoniste di questo lungometraggio. Quando si perdono nei meandri fantasiosi della mente di Riley, la bambina appare spenta. Soddisfa i bisogni primari senza però dimostrare emozioni. Eppure, le emozioni sono lì a controllare la sua plancia di comando

Molti sono i riferimenti a mio avviso splendidamente creativi.

  • al pensiero astratto, a come trasformi la realtà, anche le emozioni, scomponendola in forme e colori;
  • al meccanismo in base al quale si fa spazio a nuovi ricordi eliminandone di vecchi, relativi magari ad una fase di crescita ormai conclusa;
  • all’evolversi della personalità con la crescita dell’individuo, rappresentata con un numero maggiore di isole e da una plancia di controllo più ampia, che permetta un’interazione più complessa delle emozioni primarie;
  • alla diversa gerarchia delle emozioni nella mente delle persone, in particolare degli adulti, uomini e donne (non voglio fare spoiler, ma se andrete a vedere Inside Out, fate attenzione a chi è a capo del quartier generale della mamma e del papà di Riley, perfettamente corrispondente agli atteggiamenti tipici dei due sessi);
  • alla depressione, vista come uno stato vegetativo di sgretolamento della personalità (isole) e assenza di gioia e tristezza, nonché il blocco della consolle che non risponde più ai comandi;
  • al mondo onirico, rielaborazione fantastica del vissuto della giornata, espressamente organizzata dal nostro inconscio, quasi fosse il direttore artistico di uno studio cinematografico.

Un cartone animato decisamente da vedere. Una doppia chiave di lettura che farà ridere e piangere grandi e piccini, in tempi differenti, perché differente è il messaggio veicolato dalle immagini.

Per un adulto, infatti, il messaggio del film è estremamente profondo, essendo più attento a certi dettagli, semplicemente perchè fanno parte di un percorso che ha già vissuto. Mentre Gioia si ostina a essere allegra e a trasmettere ottimismo, ignorando a volte la realtà, Tristezza affronta la negatività prendendola di petto, senza fingere che non esista. Si abbandona allo sconforto, piange, perché "piangere (mi) tranquillizza, (mi) fissa sulla gravità dei problemi della vita". E perché la tristezza suscita empatia. Quando si vive la tristezza, si impara a conoscere cosa sia il dolore, si diventa anche più sensibili agli altri, ai loro problemi, li si comprende maggiormente. Come quando l'amico immaginario Bing Bong ripensa, malinconico, a quando lui e Riley erano felici insieme. Gioia, nell'unico modo che conosce, cerca di distrarlo con pensieri positivi. Tristezza gli si siede vicino e, insieme, vive la sua tristezza, con empatia. Ed è questo che aiuta Bing Bong a ritrovare il suo ottimismo.
Allo stesso modo, quando ci si sente affranti, si trova conforto attorno a sé nelle persone che ci stringono. Come nel ricordo di Riley, il giorno della sconfitta a hockey per un suo errore: il su essere affranta le assicura il conforto di mamma e papà, prima, e di tutta la squadra, poi. E il ricordo blu diventa felice.
Crescere, in altre parole, significa accettare che la tristezza sia necessaria alla nostra vita, anche come collante sociale, perché crea empatia. Non va demonizzata. Va lasciata libera di esprimersi, non confinata in un cerchio. Così come è giusto dare importanza, imparare ad ascoltare ogni nostra emozione. 


VOTO 9


CURIOSITÀ
C'è una componente biografica nel film. Pete Docter, infatti, è originario del Minnesota e si è dovuto trasferire con la famiglia in Danimarca per un anno, trovandosi poi in difficoltà nell'allacciare nuovi rapporti, vista la natura schiva e solitaria del suo carattere. 
In alcune delle scene del film, la produzione ha leggermente 
modificato alcuni dettagli, per adattare i riferimenti culturali a ciascun paese. In una delle prime scene del film, ad esempio, Riley bambina viene costretta dal papà a mangiare dei broccoli. Nella versione giapponese, però, i broccoli sono stati sostituiti dai peperoni verdi, essendo questi molto meno graditi ai bambini.
Come nella maggior parte dei cortometraggi della Dusney e della Pixar, la produzione ha inserito moltissimi riferimenti a oggetti o personaggi comparsi in altri film, i cosiddetti easter egg. Oltre alla consueta presenza del codice A113 – che è il numero di un’aula al California Institute of Arts, l’università di Valencia, California, dove hanno studiato molte persone che ora lavorano alla Pixar – ce ne sono alcuni che richiamano altri  lungometraggi, come lo stesso scivolo di Toy Story o addirittura scene intere di Up, riproposti all'interno delle sfere (i ricordi) nell'archivio di Riley (la sua memoria a lungo termine). 



Stefania Bergo
Non ho mai avuto i piedi per terra e non sono mai stata cauta. Sono istintiva, impulsiva, passionale, testarda, sensibile. Scrivo libri, insegno, progetto ospedali e creo siti web. Mia figlia è tutto il mio mondo. Adoro viaggiare, ne ho bisogno. Potrei definirmi una zingara felice. Il mio secondo amore è l'Africa, quella che ho avuto la fortuna di conoscere e di cui racconto nel mio libro.
Con la mia valigia gialla, 0111Edizioni.



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